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25.671 cancellati

02.02.2009    scrive Stefano Lusa

Foto di Fabrizio Giraldi
Per la prima volta il ministero degli Interni sloveno rende noto il numero dei cosiddetti ''cancellati''. La loro vicenda sembra ora ad una svolta con l'attuale governo intenzionato a risolvere la questione. Ma l'opposizione insorge e il premier Pahor potrebbe cercare larghe intese
I cancellati in Slovenia sono 25.671. Questo il dato comunicato dal ministero degli Interni. E’ la prima volta che ci sono dei dati ufficiali e la cifra supera di molto le 18.305 persone di cui si era parlato sino ad ora. Sempre secondo il ministero, 24.369 persone sono ancora in vita e oltre 17.000 sono cittadini stranieri. 7313 persone, negli anni successivi alla cancellazione, hanno ottenuto la cittadinanza slovena, mentre altre 3630 si sono invece assicurate il permesso di soggiorno. Sono, così, 13.426 gli individui che al momento attuale non hanno ancora “regolarizzato” il loro status.

La cancellazione è avvenuta il 26 febbraio 1992. Proprio in quella data scadeva il termine per presentare domanda di cittadinanza slovena. Al momento della proclamazione dell’indipendenza Lubiana si era impegnata a concedere la cittadinanza a tutti i residenti, visto che nella federazione esisteva, oltre che una comune cittadinanza jugoslava, anche una repubblicana. Una categoria, quest’ultima, considerata fino ad allora del tutto insignificante, ma che risultò maledettamente importante al momento dell’indipendenza.







I cancellati, di Fabrizio Giraldi. Una galleria fotografica
Coloro che erano iscritti come cittadini sloveni non ebbero bisogno di far nulla, gli altri, invece, dovettero presentare domanda. In Slovenia vivevano circa 200.000 immigrati, provenienti dalle altre repubbliche della federazione. La maggioranza presentò regolare richiesta. Qualcuno se ne andò, qualcuno decise di non volere diventare cittadino sloveno, altri non riuscirono a raccogliere i documenti necessari ed altri ancora, magari essendo nati in Slovenia, ritennero di non aver nessun motivo per inoltrare formale richiesta di cittadinanza.

Ad onor del vero pochi si videro negare la cittadinanza. A conti fatti la ottennero in 170.000, ma gli altri vennero cancellati dal registro dei residenti. Nessuno poteva supporre che le due cose fossero correlate. In tal modo, chi non ottenne la cittadinanza, perse tutti i diritti che aveva: lavoro, sanità, possibilità di aprire un conto in banca, ecc.

Il tutto accadde in silenzio, in un clima di altissimo consenso. L’idea era che i cancellati se l’erano voluta. A loro era stata data la possibilità di diventare cittadini sloveni e non avevano saputo coglierla. A nessuno passò per la testa di mettersi a fare sottili distinzioni tra i diritti che spettano ad un cittadino e quelli che toccano ad un residente senza cittadinanza.

Nel 1992 la Slovenia era appena stata riconosciuta internazionalmente. Il paese si era tolto con successo dalle guerre jugoslave e stava cominciando a sognare di entrare nell’Unione europea. In quel clima nessuno voleva più pensare al fardello che aveva lasciato in eredità la Jugoslavia, anzi la Slovenia poteva vantarsi a livello internazionale per l’alto grado di tutela che concedeva alle due sparute minoranze nazionali riconosciute ufficialmente: quella ungherese del Oltremura e quella italiana dell’Istria.

Lubiana, rispetto al resto nel calderone jugoslavo, sembrava un’oasi felice e presto sparì anche dai rapporti sulla tutela dei diritti dell’uomo. A nessuno, o quasi, interessava la sorte dei cancellati.
I più si accorsero della loro effettiva cancellazione quando provarono a rinnovare i documenti. Arrivati allo sportello, accadeva che gli impiegati, con qualche scusa, li mandassero a prendere anche gli altri documenti per poi annullarglieli tutti.

La corte costituzionale, già nel 1999, constatò che la cancellazione era illegale e nel 2003 ingiunse di regolare la questione retroattivamente. All’epoca il governo di centrosinistra tentò di risolvere la cosa con due leggi, ma l’opposizione, capeggiata dai democratici di Janša, promosse un referendum.

A guidare il parlamento, allora, c’era l’attuale premier Borut Pahor. Probabilmente la questione si sarebbe risolta se avesse chiesto alla corte costituzionale di giudicare l’ammissibilità del referendum, ma Pahor dimenticò di richiedere il parere dei giudici in tempo utile. Quando lo fece gli dissero che il termine era scaduto il giorno prima. Alle urne si recò poco più del 30% degli aventi diritto ed il 94% si espresse contro quella legge. In Slovenia non esiste quorum per considerare valido in referendum e così la questione si arenò. Dopo le politiche del 2004, per il governo di centrodestra, capeggiato da coloro che avevano voluto quel referendum, risolvere il problema non era certamente una delle priorità.

Il ministro degli Interni, nonché leader demo liberale, Katarina Kresal ora sembra intenzionata a voltar pagina. Ha annunciato, infatti, che intende agire seguendo quanto stabilito dalla Corte costituzionale e questo mese dovrebbero essere spedite le delibere che riconoscono l’ininterrotta residenza in Slovenia a quei cancellati che hanno ottenuto successivamente la cittadinanza slovena. Il ministro ha anche annunciato che è al vaglio una legge che dovrebbe regolare la questione anche per gli altri. Del resto, nel corso di una visita a Belgrado, già il potente presidente della Commissione esteri della camera, l’esponente di Zares, Ivo Vajgel, aveva annunciato che la cosa sarebbe stata risolta. L’intenzione di chiudere la vicenda ha fatto andare su tutte le furie l’opposizione.

Per il momento il premier Pahor, però, non sembra essere tanto categorico Da una parte ha dichiarato che il governo è intenzionato a risolvere la questione, ma dall’altra ha precisato che a causa dei molti pregiudizi che ci sono in materia vuole prima informare dettagliatamente l’opinione pubblica. Qualcuno sospetta, così, che potrebbe essere lui l’ostacolo più duro da superare, soprattutto per la sua propensione a volere cercare larghe intese con l’opposizione.

A questo punto, comunque, appare chiaro che quei cancellati che oggi hanno la cittadinanza slovena si vedranno riconosciuta la loro residenza in Slovenia anche retroattivamente, mentre sembra ancora incerta la sorte degli altri. Per risolvere il caso bisognerà approvare la legge che sta preparando la Kresal. Il dibattito in parlamento e le polemiche tra i partiti non mancheranno.

Il centrodestra continuerà a fare della vicenda una delle sue battaglie politiche. Si dice che adesso ai cancellati andranno sostanziosi indennizzi e che tra coloro che li percepiranno ci saranno anche quelli che stavano sulle torrette dei carri armati dell’esercito jugoslavo, che tentavano di bloccare l’indipendenza della Slovenia. L’idea è di presentare questo gruppo di persone come dei profittatori che ora si accingono a svuotare le tasche dei contribuenti sloveni.

In realtà la vicenda è molto complessa. Da una parte, infatti, si tratta di fare i conti con una macchia sul processo d’indipendenza della slovena e dall’altra con l’azione di quei funzionari che, seguendo le direttive e senza alcuna pietà, misero in atto la cancellazione. A quest’ultimi varrebbe, comunque, la pena di regalare una copia de “La banalità del male” di Hannah Arendt, volume è uscito in un’edizione slovena solo nel 2007 (sic!).
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