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Cuore e ragione

16.02.2009    Da Capodistria, scrive Stefano Lusa

Un Giorno del ricordo a bassa intensità di polemiche. E il discorso del Presidente Napolitano ben accolto oltreconfine. Almeno in Slovenia. Di questa celebrazione dedicata al dramma delle foibe e dell'esodo, comunque, si parla sempre più anche a Lubiana e Zagabria
Nel Giorno del ricordo del 2007 il presidente italiano, Giorgio Napolitano, aveva parlato al cuore degli esuli. Lo aveva fatto adoperando un frasario che per anni era stato usato nelle stesse associazioni degli esuli e che molto probabilmente nessuno di loro avrebbe mai sperato di sentirsi rivolgere da un capo di stato uscito dalle file di quello che era stato il Partito comunista italiano.

Il 10 febbraio di quest’anno, invece, Napolitano ha parlato soprattutto tenendo conto di quelle che erano state le reazioni che, negli anni scorsi, si sono registrate in Slovenia e Croazia. Il Capo dello stato ha così precisato che la memoria coltivata dall’Italia “è quella della dura esperienza del fascismo e delle responsabilità storiche del regime fascista, delle sue avventure di aggressione e di guerra”. Poi ha aggiunto: “Non dimentichiamo e cancelliamo nulla: nemmeno le sofferenze inflitte alla minoranza slovena negli anni del fascismo e della guerra”.

Queste due frasi sono bastate a chiudere la disputa a bassa frequenza che si era registrata tra il Quirinale ed il presidente della repubblica slovena. Danilo Türk, infatti, ha subito affermato di “aprezzare molto il presidente Napolitano come vero democratico, come figura di levatura europea e come uomo che ha detto che il fascismo ha causato grandi sofferenze al popolo sloveno, alla minoranza slovena in Italia e al tempo della Seconda guerra mondiale a tutto il popolo sloveno”. Türk, poi, ha aggiunto che è stato un bene che nel corso delle celebrazioni di quest’anno tutto questo sia stato ammesso tra l’altro in un modo che ha messo in luce “la cronologia dei fatti e la relazione causa effetto”.

Türk non ha fatto alcun accenno a quanto accaduto nel dopoguerra e non ha quindi esplicitamente deprecato l’esodo degli italiani e gli episodi di esecuzioni sommarie, ma ha comunque implicitamente accettato l’interpretazione data da Napolitano. Il capo dello stato italiano, del resto - se si esclude il riferimento esplicito al fascismo ed alle sofferenze inflitte agli sloveni - non ha cambiato di una virgola la posizione che aveva espresso già negli anni scorsi. Napolitano, infatti, non ha mancato di sottolineare che non si possono “certo dimenticare le sofferenze, fino a un'orribile morte, inflitte a italiani assolutamente immuni da ogni colpa”. Poi ha anche voluto dire chiaramente che non si può non sentirsi vicini “a quanti hanno sofferto comunque di uno sradicamento a cui è giusto che si ponga riparo attraverso un'obiettiva ricognizione storica e una valorizzazione di identità culturali, di lingua, di tradizioni, che non possono essere cancellate”.

Del resto un presidente italiano difficilmente avrebbe potuto fare di più visto che proprio questa è oggi, in Italia, la lettura di quegli eventi condivisa sia del centrodestra sia dal centrosinistra. Napolitato ha però fatto quello che da tempo Lubiana voleva, cioè, ha implicitamente chiesto scusa per quanto aveva fatto il fascismo gli sloveni. Per Lubiana, infatti, prendere genericamente le distanze dal passato regime o condannare le leggi razziali non serviva a prendere coscienza di quanto era stato fatto agli sloveni.

In ogni modo Türk ha parlato di un passo avanti che rafforza la fiducia tra il popolo sloveno e quello italiano, mentre Napolitano ha terminato il suo intervento parlando di “sguardo rivolto al futuro”.

Se i vertici di Italia e Slovenia sembrano aver trovato una sintesi sulla Giornata del ricordo non è ancora così con la Croazia. Napolitano nel suo discorso ha citato gli sloveni, ma non ha fatto nessun accenno ai croati, che durante il periodo fascista non sono stati certamente trattati meglio degli sloveni. Del resto Türk per polemizzare aveva usato il fioretto, mentre il presidente croato, Stjepan Mesić, aveva usato la clava. C’è, così, chi ha visto anche quest’anno, nel discorso di Napolitano, l’ennesima risposta a Mesić. Napolitano, infatti, ha specificato che non vi è nessuna ragione perché all’estero vi siano polemiche e poi ha ribadito che il Giorno del ricordo non “ha nulla a che vedere col revisionismo storico, col revanscismo e col nazionalismo”.

I problemi degli esuli, comunque, continueranno a pesare sui rapporti tra Roma e Zagabria, mentre la cosa sembra gravare meno sulla direttrice Roma - Lubiana. Infatti se per la Slovenia la questione dei beni abbandonati sembra definitivamente chiusa, con la Croazia c’è ancora del margine per ottenere almeno la simbolica restituzione di qualche edificio.

In ogni modo a cinque anni dall’istituzione della Giornata del ricordo questa celebrazione non ha portato con sè solo polemiche. Gli esponenti delle associazioni degli esuli sono soddisfatti che in Italia ci sia sempre maggior consapevolezza di quanto accadde loro; ma quello di cui probabilmente non si rendono conto è che quelle vicende cominciano ad essere percepite, anche se magari con fastidio e preoccupazione, anche in Slovenia e Croazia. In prossimità del 10 febbraio nei due paesi si parla di esodo e foibe in prima serata e si riempiono le pagine dei giornali. Le interpretazioni sono, ovviamente, molto distanti da quelle italiane, ma non manca la consapevolezza che qualcosa è accaduto. Tutto ciò ha fatto aprire il dibattito.

Il professor Jože Pirjevec, dell’Università di Capodistria, ha ribadito che gli sloveni sono pronti ad ammettere e a deprecare quanto accaduto, ma non sono pronti ad accettare la tesi che l’esercito jugoslavo e quindi anche le unità slovene misero in atto una pulizia etnica ed ammazzarono italiani “solo perché italiani”.

La professoressa Marta Verginella, dell’Università di Lubiana precisa invece che la storiografia dovrà far chiarezza su molti aspetti della politica delle autorità jugoslave in Istria. “Formalmente la Jugoslavia non li scacciò, ci furono, però, pressioni per far andar via parte della popolazione italiana”.

In prospettiva, quindi, si può ipotizzare che le memorie resteranno divise, ma che c’è comunque la disponibilità a fare i conti con le proprie colpe. Quello che appare chiaro in Slovenia ed anche in Croazia è che più l’Italia farà pubblicamente i conti con il suo “fascismo di frontiera” più a Lubiana e a Zagabria si sarà disponibilità a confrontarsi con gli aspetti più bui della resistenza e soprattutto della rivoluzione comunista.

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