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Lo scoglio dell' immigrazione

11.08.2009    scrive Gilda Lyghounis
Stef/Flickr
Farmakonisi, uno scoglio nel mezzo dell'Egeo dove duemila anni fa Giulio Cesare fu prigioniero dei pirati. Oggi, l'isolotto disabitato è luogo di approdo degli immigrati clandestini prima che vengano trasferiti nei sovraffollati centri di accoglienza greci
Su questo scoglio in mezzo all’Egeo, Giulio Cesare è stato prigioniero per un mese. A Farmakonisi, un isolotto disabitato del Dodecanneso greco a otto miglia nautiche dalla costa anatolica, il futuro dictator ha passato 38 giorni in mano ai pirati, che lo avevano catturato insieme alla sua nave e trascinato nel loro nido d’aquila.

Spaventato il ventiseienne Giulio? Niente affatto. Costringeva i carcerieri ad ascoltarlo mentre declamava poesie. Era il 74 avanti Cristo e Cesare era capitato nel Mediterraneo orientale per amore, dopo essersi rifiutato di ripudiare la bella Cornelia, figlia di Cinna, uno dei leader del partito avverso a Silla, il tiranno che in quegli anni faceva il bello e il cattivo tempo a Roma. Disobbedire ai suoi ordini era costato al promettente ufficiale la condanna a morte e la confisca della dote della moglie, pena mutata nell’esilio in Oriente per intervento di amici comuni.

Proprio durante questo servizio militare così lontano dall’Urbe si era trovato faccia a faccia con i predoni del mare che per secoli hanno infestato l’Egeo: “Vogliamo venti talenti per lasciarti libero” gli intimarono, come racconta Plutarco nella Vita di Cesare. E lui, sprezzante davanti a quella misera cifra, perché i pirati non avevano capito su quale nobile rampollo avevano messo le mani, ne promise il doppio. Tanto, una volta libero si sarebbe vendicato noleggiando una flotta nella vicina città di Mileto, per inseguirli e impalarli uno a uno. Ma adesso, mentre aspettava che i suoi fidi servitori raccogliessero il riscatto fra i conoscenti, era deciso a godersi la prigionia in uno scenario selvaggio e bellissimo: come non sentirsi ispirati a recitare monologhi teatrali, su questo palcoscenico di onde e vento, con lo sfondo di due torri di guardia che ancora oggi domina l’isola e che anche Cesare doveva certamente vedere, dal momento che il castello aveva già 300 anni quando il futuro dittatore arrivò qui?

Da allora sono passati più di due millenni, a Farmakonisi non si vede più l’ombra di un pirata. Al massimo quella di qualche pecora sui frammenti di mosaici paleocristiani vicino al molo, o dei pochi turisti arrivati con un caicco da Leros per una gita in giornata. L’ultimo abitante, tale Christos Manoliodis, è morto nel 1966. Ma da qualche anno a Farmakonisi, come nella vicina Agathonisi, si vedono altre vittime dei predoni del mare: gli immigrati clandestini, portati lì dagli scafisti, i pirati del XXI secolo.

Solo ad Agathonisi, dove ci sono 112 abitanti, due maestri per 4 scolari ed una capitaneria di porto attiva, da gennaio sono approdati più di 2000 richiedenti asilo politico (molti arrivano dagli isolotti greci adiacenti come Farmakonisi o Imia, famosi perché meta da anni, ma soprattutto in questi giorni, di continui sconfinamenti nello spazio aereo ellenico da parte dell’aviazione turca: perché Ankara rivendica questi scogli). Nel 2008 sono arrivati in 2500 disperati: il business del traffico di esseri umani è in continuo aumento. Del resto in tutta la Grecia, secondo i dati del governo, nel 2008 si sono contati circa 140mila “arrivi”.

Ad Agathonisi approdano soprattutto dall’Africa subsahariana e dall’immensa Asia, in un’Odissea che li porta attraverso deserti o steppe sterminate sulla costa turca. Da lì salire su un canotto e attraversare otto miglia di mare è uno scherzo, se confrontiamo il ben più lungo e pericoloso braccio di mare che altri immigrati affrontano per arrivare dalla Libia all’italiana Lampedusa. Se vengono avvistati in mare dai pescherecci o dalle pattuglie militari greche, fanno un taglio con un coltello sul canotto così vengono recuperati come naufraghi per la legge del mare. Di morti annegati in un tragitto così breve non ce ne sono quasi mai. Naturalmente questi aspiranti abitanti dell’Unione Europea prima di approdare come moderni Ulisse sulle spiagge o di essere ripescati da una barca hanno già buttato a mare i propri documenti e dichiarano tutti di essere originari di un Paese in guerra, per richiedere asilo politico.

“Visto che arrivano comunque, potemmo mettere noi una nave a trasportarli dalla Turchia a qui: e incassare i mille euro a testa che gli scafisti e i loro mandanti chiedono a questi poveretti” dichiara al quotidiano ateniese “Kathimerini” Vaggelis Kottoros, sindaco di Agathonisi. “L’unica cosa che chiediamo è che li trasportino il più in fretta possibile nel moderno centro di accoglienza immigrati di Samo. Non siamo razzisti: ma qui puntiamo ad essere un paradiso turistico. Per questo abbiamo inscenato una protesta contro il governo che fa troppo poco per risolvere questo problema”.

Tralasciamo che nei caffè di Agathonisi i turisti vengono spesso serviti da giovani afgani sottopagati. Quanto alle autorità di Atene, al summit di Bruxelles a fine giugno il primo ministro Kostas Karamanlis ha puntato il dito contro l’indifferenza di Ankara, che chiude entrambi gli occhi sul passaggio lungo il proprio territorio di queste carovane di immigrati illegali che vogliono passare dalle coste anatoliche in Grecia, avendo scovato in questo modo una via più rapida per entrare in Eurolandia. “Le posizioni della Grecia sono state assolutamente recepite dagli altri Paesi membri - ha dichiarato il premier ellenico – sono d’accordo con noi sulla necessità di sensibilizzare e fare pressione sulla Turchia in merito al problema dell’immigrazione clandestina, in quanto candidata a entrare nella Ue”.

Ma torniamo agli isolotti meta degli immigrati. Da qui vengono portati nelle più grandi isole di Samo o Chio, sempre nel Dodecanneso, dove ci sono due dei numerosi centri di accoglienza e detenzione per immigrati illegali: gli altri Centri sono sparsi un po’ in tutta l’Ellade ma sono concentrati soprattutto a Lesbo, isola nell’Egeo nord orientale sempre di fronte alla Turchia dalla quale nel 2008 sono passati 12mila clandestini arrivati dalla Somalia, dall’Afghanistan, dall’Iran, dalla Palestina e da altri Paesi dai quali l’unica speranza di vita era fuggire. Oppure i Centri si trovano nella zona di confine terrestre fra Grecia e Turchia lungo il fiume Evros in Tracia, ad Atene e a Patrasso, altro grande punto di attrazione degli immigrati che non vogliono restare in Grecia ma puntano ad andare nascosti in un Tir su qualche traghetto in Italia e poi in Francia, Germania o in Inghilterra. A Patrasso c’è ormai una “città nella città” di migliaia di disperati, ammassati anche in baracche fuori dal controllo della polizia: una volta erano soprattutto curdi, ora prevalgono gli afgani.

Secondo un recente rapporto di Medici senza frontiere, sezione ellenica, le condizioni di vita nei Centri di detenzione sono disumane: le persone dormono in ripostigli sovraffollati. Senza assistenza medica neppure per donne e bambini, senza acqua calda. Un altro esempio? Secondo il quotidiano comunista “Rizospastis”, i cui giornalisti hanno visitato il Centro di detenzione di Elliniko, nei sobborghi di Atene, più di 100 profughi sono ammassati in 7 celle: “Se si alzano in piedi non c’è posto per tutti!”. Per ora è in programma l’apertura, entro la fine del 2009, di altri tre Centri ad Aspropyrgos, vicino ad Atene, a Ritsona sull’isola Eubea, e un ennesimo centro ancora nella “bollente” regione del fiume Evros. Perché, sempre secondo Medici senza frontiere, mentre il traffico di esseri umani dalle coste del Terzo mondo verso l’Italia e la Spagna sta diminuendo, quello verso la Grecia via Anatolia è in pieno boom.

Secondo la legge ellenica, una volta arrestato un immigrato senza documenti, la polizia lo può trattenere fino a tre mesi in uno di questi centri se ritiene che la persona costituisca un pericolo per l’ordine pubblico. Altrimenti, una volta consegnatogli il foglio di via, questi ha tempo 30 giorni per lasciare il Paese per tornare al proprio, cosa che - esattamente come in Italia - non avviene mai. Quanto allo status di asilo politico, è stato accordato solo a 8 persone su 25mila che ne avevano fatto richiesta nel 2007.

Molti immigrati, dicevamo, sognano solo di entrare in Grecia per poi disperdersi per la vasta Europa. Altri restano nell’Ellade. Con conseguenti “lotte fra poveri” fra neo arrivati e immigrati di vecchia generazione a tutto vantaggio dei datori di lavoro, che nel migliore dei casi sono agricoltori, famiglie che hanno bisogno di una badante o costruttori edili, nel peggiore membri della criminalità organizzata. Prendiamo ancora l’esempio di Samo: i custodi del locale Centro di detenzione (considerato da una missione dell’Europarlamento un “Centro modello” in confronto agli altri della Grecia e a quello di Lampedusa in Italia, oltre che a quello di Ceuta nell’enclave spagnola in Marocco) accordano agli agricoltori samioti il permesso di assoldare, ogni mattina, per una giornata di lavoro gli “ospiti” del Centro, a patto di riportarli indietro entro sera. Gli immigrati vengono così pagati 15 euro al dì per raccogliere le olive, contro i 50-60 euro al dì che ricevevano i “vecchi” immigrati albanesi arrivati qui negli anni Novanta.