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Data pubblicazione: 07.09.2009 10:20

Un sistema di tutele legislative all'avanguardia, ma non applicate perché calate dall'alto. La situazione della comunità LGBT in Kosovo in quest'intervista a Arbër Nuhiu presidente dell'ONG "Elysium"
(Siebuhr/flickr)
Qual è la situazione della comunità LGBT in Kosovo?

La situazione della comunità LGBT in Kosovo non è molto diversa rispetto a quella negli altri paesi balcanici. C’è discriminazione nonostante esistano delle leggi che la condannano. Questo avviene perché le leggi da noi non vengono applicate e rimangono solo sulla carta. La comunità LGBT non è accettata dalla società kosovara. Tuttavia bisogna riconoscere che rispetto a cinque o sei anni fa si nota un certo miglioramento.

In che cosa consiste tale miglioramento?

Se avessimo parlato della comunità LGBT cinque anni fa, avrei detto che semplicemente la società kosovara non riconosce il fatto che in Kosovo ci possano essere delle persone gay o lesbiche. La gente non credeva ci fossero. Oggi invece nonostante i notevoli problemi ci sono delle parti della nostra società che dimostrano una certa apertura. Dal punto di vista istituzionale tutti sanno che non possono discriminare per motivi sessuali, e quindi formalmente e in apparenza la discriminazione non c'è, ma la discriminazione è tacita. Per dare un esempio concreto se uno si reca presso le strutture della polizia per denunciare che l’hanno aggredito, la polizia si comporta bene ma poi il caso non viene seguito, viene dimenticato. Inoltre è chiaro che una persona omosessuale in Kosovo non può manifestare apertamente in pubblico la propria omosessualità.

Ha menzionato norme che garantiscono una certa tutela della comunità LGBT in Kosovo. Quali sono?

Si tratta di norme che non sono state purtroppo adottate per volere dei nostri legislatori per garantire più diritti alla nostra comunità. Sono in realtà modelli che sono stati copiati da sistemi legislativi  progrediti europei o americani. Si tratta di leggi che sono state elaborate dagli internazionali in collaborazione con gli esperti kosovari, e queste leggi in seguito sono state approvate senza venir discusse in parlamento a causa della pressione degli internazionali. Esiste una legge che  vieta la discriminazione delle persone che manifestano preferenze omosessuali. Inoltre nella costituzione del Kosovo esiste un articolo che ribadisce questo divieto.

Con che frequenza si presentano casi di violenza nei confronti degli omosessuali? E come si reagisce in questi casi?

L’anno scorso ne sono stati denunciati 3 , e quello precedente 4. Su quella verbale invece non posso dire nulla perché nella maggior parte dei casi non viene denunciata. In genere la polizia reagisce positivamente. Ma come ho detto prima i casi vengono seguiti con lentezza, e può capitare che durino per anni, finché vengono lasciati perdere. Bisogna riconoscere che non sono molti i casi di violenza, poiché le persone LGBT di solito sono nascoste e non si notano in pubblico.

Come è stata creata la vostra organizzazione?

E’ stata fondata nel 2002. Io e altre due persone abbiamo deciso che fosse arrivato il momento di fare qualcosa per i diritti di questa comunità. Ci siamo fatti riconoscere legalmente, abbiamo intrapreso delle azioni di sensibilizzazione e pensiamo di aver raggiunto dei risultati. Ad esempio abbiamo partecipato alla scrittura della legge contro la discriminazione nel 2005, e anche per la costituzione abbiamo dato il nostro contributo nella parte sui diritti umani. Abbiamo cercato di costruire un rapporto con la polizia per sensibilizzarli a questo problema. Abbiamo lavorato con diverse istituzioni come il ministero della Sanità e il ministero della Giustizia. Siamo riusciti a farci conoscere, la gente sa che esistiamo e ci rispettano, siamo riusciti a farci dare uno spazio nei media partecipando in vari dibattiti e trasmissioni. A Pristina penso che abbiamo raggiunto una maggiore emancipazione per  la comunità LGBT, ma non si può dire lo stesso per il resto del Kosovo. Nei primi anni, abbiamo puntato di più sulla formazione della comunità, perché la comunità LGBT praticamente non esisteva, era totalmente disorganizzata. Ora è sicuramente più organizzata.

Ci sono dei luoghi che fungono da punto di riferimento per la comunità LGBT a Pristina?

Non ci sono luoghi pubblici, ma noi abbiamo creato degli spazi presso il nostro centro. Abbiamo preso in affitto dei locali molto spaziosi di cui una parte l’abbiamo adibita alla vita sociale della comunità. Spesso organizziamo anche party ma quando abbiamo attività di dimensioni maggiori usufruiamo di un locale pubblico, del ristorante di un albergo con il cui proprietario abbiamo ottimi rapporti e lì organizziamo attività in cui possono partecipare 200-300 persone. Invece che io sappia gay-club o locali gay-friendly stabili non ce ne sono. Non ci sono ancora le condizioni necessarie per avere dei locali di questo tipo.

Lei si occupa di queste attività a causa del suo background da attivista della società civile in Kosovo, o per motivi personali?

Mi occupo di quest’ambito per entrambe le ragioni. Per anni mi sono occupato dei diritti umani in Kosovo, dei diritti delle minoranze, in particolare dei rom, ma è anche per motivi personali.

Che rapporti ha l'ONG Elysium con i media?

Per la prima volta siamo apparsi nella TV nazionale l’anno scorso, RTK, e non è da poco. E’ stata una decisione non solo mia ma di tutta l’organizzazione. Abbiamo pensato che fosse arrivato il momento di intraprendere questo passo, l’apertura al pubblico. Ho trovato il coraggio e sono uscito per parlare dei nostri obiettivi, dei nostri diritti. Poi abbiamo iniziato a partecipare alle trasmissioni di Rrokum TV di Migjen Kelmendi, ma la prima è stata la più difficile perché era la prima volta che in una televisione pubblica kosovara si parlava di questo argomento. Ci sono state delle reazioni negative in seguito, io ho avuto problemi e difficoltà con amici, e conoscenti. Abbiamo subito una certa pressione della società, c’è stato un certo linciaggio. Con Rrokum TV collaboriamo da due anni, e devo dire che ci hanno sostenuto molto.

In che misura partecipano alle vostre attività le persone LGBT?

Dato che il nostro lavoro consiste sia nella lotta per il riconoscimento dei diritti della comunità, e quindi in ambito istituzionale, sia nell’emancipazione della comunità, una parte di quello che facciamo avviene proprio con le persone LGBT. E’ un numero molto grande considerando che il Kosovo è un piccolo paese e la discriminazione è enorme. Sono 700-800 persone. La comunità si è notevolmente allargata negli ultimi anni. Solo pochi anni fa non c’erano che 200-300 persone.

Su questa emancipazione ha influito anche la presenza internazionale in Kosovo?

Sì, ha influito molto. Le leggi che abbiamo sono state stilate dagli internazionali e come tali non sono state discusse come dicevo prima. Inoltre gli internazionali aiutano notevolmente in questo senso, perché sono ancora qua a monitorare. Non si tratta solo della comunità LGBT naturalmente ma anche di altri diritti umani. Sono pienamente convinto che se non ci fossero gli internazionali non avremmo questa situazione neutrale in Kosovo. Questo fa sì che la società sia  più restia nell’esprimere le posizioni negative nei confronti della comunità. Penso che questo ruolo continueranno a giocarlo anche in futuro.

Quanto aiutano i media internazionali e internet? Quanto influiscono ad esempio  i modelli di persone LGBT che vengono trasmessi attraverso le produzioni televisive?

Certamente i media aiutano, sopratutto quelli televisivi, che sono molto più seguiti e che fanno un lavoro migliore rispetto ai media scritti. Nei media televisivi non si è mai fatto un lavoro a danno della comunità LGBT. I reportage, i film seriali presi in prestito dalle TV o case di produzione occidentali, sono molto importanti per sensibilizzare e abituare l’opinione pubblica a questo fenomeno. Forse non è estremamente rilevante ma ha la sua importanza. Alcune serie televisive in cui i protagonisti sono gay, o altri film a tematica gay sono stati trasmessi senza pregiudizi dalle televisioni kosovare. La maggior parte delle famiglie passa molto tempo davanti alla TV e quindi questo ha influito sicuramente a migliorare la situazione. I media che invece hanno fatto un lavoro dannoso sono i media scritti, i giornali principalmente. Ma per fortuna i giornali sono pochi, la tiratura è irrisoria, e pressoché nessuno li legge, quindi per quanto possano fare danno, le conseguenze sono ridimensionate da queste condizioni.

Che ruolo hanno avuto internet  e i network sociali come mezzo di coesione all’interno della comunità LGBT? E’ risaputo ad esempio che in Albania la comunità LGBT si ritrova esclusivamente su facebook.

Sicuramente un ruolo importante. Forse  per ora facebook non è così rilevante, anche se devo ammettere che il fenomeno inizia a prendere piede. Ci sono diversi siti internet costruiti dalla comunità LGBT del Kosovo, e diversi forum anche internazionali.

Avete collaborazioni con ONG o associazioni LGBT nei Balcani?

Ci sono stati tentativi in passato. Ma sono puntualmente falliti, e a dire la verità non ho mai sopravvalutato questo tipo di collaborazioni. Sono dell’idea che nei Balcani per quanto riguarda il mondo LGBT ogni paese presenta proprie specificità. Il Kosovo soprattutto è molto diverso dagli altri paesi vicini, perché è uno stato nuovo, con legislazioni nuovissime, e che viene monitorato da strutture internazionali. E’ naturale che in queste condizioni, in Kosovo si debba agire in modo diverso, rispetto a come si possa agire in Albania, in Serbia o in Macedonia. Ora abbiamo rapporti di comunicazione e di scambi d’esperienza. Abbiamo rapporti più stretti con la Macedonia, perché lì hanno bisogno di noi, dato che ci sono molti albanesi. Abbiamo invece enormi difficoltà con l’Albania e non abbiamo concluso nulla di concreto. Abbiamo dei rapporti con un’associazione in Bosnia, e una in Serbia, ma sempre rimanendo nell’ambito dello scambio di informazioni ed esperienze.

Cosa pensa della proposta del premier albanese Sali Berisha di voler legalizzare i matrimoni omosessuali? E’ un esempio da seguire anche in Kosovo?

No. Non penso che il premier Berisha sia favorevole ai matrimoni tra omosessuali. E’ evidente che è costretto a bruciare le tappe per fare bella figura di fronte all'Unione europea. Ma in realtà fare proposte del genere è troppo affrettato non solo per il Kosovo, ma anche per l’Albania e il resto dei Balcani. Si potrebbe fare una legge, ma tale legge non troverebbe applicazione perché la società kosovara non è preparata e soprattutto la comunità gay non è preparata. E’ inimmaginabile sposarsi e convivere apertamente da gay in una società così omofoba. Si possono prendere queste iniziative legislative, ma si tratterà di leggi che poi rimarranno sulla carta. Tuttavia la costituzione kosovara ha aperto la strada a questi matrimoni con un suo articolo, in cui si afferma la libertà di sposarsi con chiunque senza specificare il sesso delle persone. Si parla di “persone”, non di una “donna” e un “uomo”. Se in un futuro si volesse aprire un dibattito in questo senso, si ha un punto forte da cui partire. Questi matrimoni potrebbero infatti avvenire già ora. Bisogna come prossimo passo modificare la legge sui matrimoni. Ma questo passo verrà effettuato quando sia la società kosovara, sia la comunità LGBT del Kosovo saranno effettivamente pronte.