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Cambio della guardia

29.09.2009    Da Chişinău, scrive Iulian Lungu

Vladimir Voronin
Fine dell'era Voronin in Moldavia. Dopo 8 anni, il leader comunista lascia la presidenza per consentire l'elezione a premier del liberal democratico Vlad Filat. Integrazione europea e soluzione della crisi in Transnistria le sfide del nuovo esecutivo
Il 25 settembre 2009 il parlamento moldavo ha sancito l'elezione a nuovo Primo ministro di Vlad Filat, leader del Partito liberal-democratico, conferendo al tempo stesso la fiducia ad un nuovo governo di coalizione composto da 19 ministri.

Nelle sue prime dichiarazioni ufficiali come nuovo premier, Filat ha dichiarato che le priorità del nuovo esecutivo saranno nuovi negoziati con la Russia e con le altre potenze coinvolte per risolvere la questione della Transnistria, insieme al processo di avvicinamento all'Unione europea.

Con l'elezione di Filat, l'Alleanza per l'Integrazione Europea ha portato a termine il proprio obiettivo primario: sottrarre il governo del paese al Partito comunista che ha governato la Moldavia negli ultimi otto anni. Resta però da vedere se la nuova alleanza di governo sarà anche in grado di eleggere un nuovo presidente, che viene scelto a maggioranza qualificata. La sua mancata elezione potrebbe far ripiombare la Moldavia nel caos politico.

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Il Partito comunista ha dovuto fare i conti proprio con la incapacità di eleggere il nuovo presidente. Pur avendo ottenuto la maggioranza relativa alle elezioni dello scorso 5 aprile (segnate da proteste violente a Chişinău), i comunisti infatti non erano riusciti ad eleggere il presidente della Repubblica. Si è quindi tornati alle urne (il 29 luglio) e il Partito comunista è stato sconfitto dalla neonata Alleanza per l'Integrazione Europea, in cui sono convenuti i principali movimenti politici filo-occidentali.

Visti i risultati dell'ultima tornata elettorale e la creazione di una coalizione in grado di formare un governo alternativo, Vladimir Voronin, leader dei comunisti, ha rassegnato le proprie dimissioni come presidente ad interim (il suo mandato alla Presidenza era ufficialmente terminato nello scorso aprile) scegliendo di restare come semplice deputato all'interno del parlamento di Chişinău.

Voronin avrebbe potuto mantenere le proprie prerogative presidenziali fino all'elezione di un nuovo capo dello Stato, procedimento che dovrebbe aver luogo nel prossimo novembre. Una scelta di questo tipo avrebbe però creato gravi difficoltà per la creazione di un nuovo esecutivo, visto che è proprio il presidente a nominare ufficialmente il primo ministro in pectore.

Dopo le dimissioni di Voronin il parlamento ha dunque nominato come presidente ad interim il suo portavoce, Mihai Ghimpu, leader del Partito liberale, che ha designato come nuovo premier Vlad Filat.

La creazione del nuovo esecutivo guidato da Filat ha prodotto un cambiamento sostanziale nella scena politica moldava. Termina infatti un lungo periodo politico dominato a senso unico da un partito, quello comunista, e dal suo principale esponente, Vladimir Voronin.

Il Partito comunista era arrivato al potere in Moldavia nel 2001, vincendo democraticamente le elezioni parlamentari tenutesi in quell'anno nella Repubblica. Da allora Voronin, leader indiscusso dei comunisti, è stato eletto per due mandati alla presidenza della Repubblica.

Questi otto anni hanno visto però la creazione di un vero e proprio monopolio politico nel paese: una situazione dai molti risvolti controversi, segnata da stabilità socio-economica ma anche da crescenti violazioni e limitazioni dei diritti umani e politici.

Se controverso è il bilancio del lungo governo dei comunisti, ancora più controversa appare la figura di Vladimir Voronin. Imprevedibile e impulsivo, ma spesso in grado di grande pragmaticità, Voronin è spesso riuscito a sorprendere gli osservatori.

Arrivato al potere nel 2001 con la proposta di far entrare la Moldavia in quella che si delineava allora come un'unione tra Federazione Russa e Bielorussia, nel 2005 Voronin fece un completo dietro-front, dichiarando che l'integrazione nell'Unione europea era il più importante obiettivo strategico della Moldavia.

Pur accusando l'Occidente di essere coinvolto nel conflitto in Transnistria, Voronin ha accettato gli Stati Uniti e l'Unione europea nel ruolo di osservatori nei negoziati, rifiutando al tempo stesso il “piano Kozak” proposto da parte russa che, se da una parte avrebbe forse potuto mettere fine alla disputa, avrebbe assicurato a Mosca la sua presenza militare sul territorio moldavo per 25 anni.

In generale la politica estera di Voronin in questi otto anni ha oscillato tra Romania e Russia, con momenti di relazioni altalenanti sia con Bucarest che con Mosca. Dopo il rifiuto del “piano Kozak”, la Moldavia ha subito un lungo embargo economico da parte russa. Ciò nonostante, Mosca ha appoggiato apertamente lo stesso Voronin durante le elezioni succedutesi quest'anno.

La retorica aggressiva nei confronti del vicino romeno, utilizzata ampiamente da Voronin in questi anni, è culminata con l'espulsione dell'ambasciatore di Romania a Chişinău e l'introduzione di visti d'ingresso per i cittadini romeni subito dopo gli incidenti seguiti alle elezioni di aprile, incidenti che secondo Voronin sarebbero stati fomentati dalle autorità di Bucarest.

Sul versante economico, gli otto anni del governo comunista hanno significato un costante tasso di crescita per l'economia moldava. I risultati in questo campo non hanno però evitato che la Moldavia restasse il paese più povero di tutto il continente europeo, né che continuasse a dipendere in larga misura dalle rimesse inviate dai numerosi cittadini emigrati all'estero. All'interno del paese, poi, la creazione di larghi monopoli ha compresso ogni tipo di concorrenza economica fino quasi a sopprimerla, rappresentando così un forte ostacolo ad uno sviluppo equilibrato.

Lo stile autoritario di governo, e le pressioni esercitate sistematicamente sull'opposizione e sui media indipendenti, hanno dato adito a numerosi parallelismi tra Voronin e il presidente bielorusso Alexander Lukashenko. Il governo Voronin però, a differenza di quello bielorusso, è stato sempre cauto nel mantenere un livello minimo di legittimità democratica, anche per conservare un'immagine accettabile e buone relazioni con gli USA e l'Unione europea.

Ora, dopo otto anni al potere e di fronte ad un cambiamento sostanziale della scena politica interna, il Partito comunista e il suo leader dovranno adattarsi e imparare a muoversi in una realtà nuova, in cui giocheranno forse a lungo il ruolo di opposizione.
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