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Fiducia

22.10.2009    scrive Fazıla Mat

Stay (Foto Piermario, Flickr)
La posizione dei principali partiti turchi nella verifica parlamentare sulla ratifica degli accordi con l'Armenia. Il punto di vista dei kurdi. Le bandiere di Bursa, il dibattito nella stampa
Dopo lunghi mesi di preparativi e mediazioni, e evitando all’ultimo minuto un disastro diplomatico per le posizioni diverse sulle dichiarazioni da rilasciare alla stampa, il 10 ottobre i ministri degli Esteri della Turchia e dell’Armenia, Davutoğlu e Nalbandyan, hanno sottoscritto a Zurigo due protocolli per la normalizzazione delle relazioni dei propri paesi.

I documenti firmati, che dovranno essere ratificati dai parlamenti armeno e turco, prevedono il riconoscimento reciproco dei confini e la loro apertura entro due mesi dalle approvazioni parlamentari, l’istituzione di rappresentanze diplomatiche, collaborazioni su diversi livelli operativi e la formazione di una “sottocommissione incentrata sulla dimensione storica” per una “analisi imparziale dei documenti riguardanti i fatti del 1915”.

Solo pochi giorni dopo la firma dei protocolli, nella giornata del 14 ottobre, il capo di Stato armeno Serzh Sarksyan si è recato a Bursa per assistere al ritorno della partita di qualificazione per i Mondiali del 2010 tra le nazionali dei due paesi, sedendo assieme al suo omonimo turco Gül. Quest’ultimo si era recato a Yerevan nel settembre del 2008 in occasione della partita di andata e realizzando la prima visita ufficiale nella storia dei due paesi dopo 73 anni.

Per la partita, conclusasi con lo 2-0 per la Turchia, erano state prese severe misure di sicurezza. I biglietti non erano stati venduti attraverso i canali normali ma distribuiti su presentazione di referenze, e una parte delle tribune è rimasta vuota. La maggioranza degli spettatori era costituita da militari, poliziotti e studenti delle accademie militari. Erano inoltre presenti circa 200 tifosi arrivati dall’Armenia e un gruppo di intellettuali turchi che sostengono il processo di pace tra cui il prof. Ahmet İnsel, la legale della famiglia di Hrant Dink, Fethiye Çetin, e i collaboratori del giornale Agos.

All’ingresso dello stadio si sono verificate proteste quando la polizia, seguendo le direttive della FIFA, ha impedito che si portassero dentro lo stadio manifesti o bandiere che non fossero quelle della Turchia o dell’Armenia. Sono comunque apparse tra le tribune bandiere dell’Azerbaijan e un manifesto con scritto “Benvenuti nel paese di Hrant”. Un gruppo di tifosi del Bursaspor, chiamato Teksas, durante la partita ha gridato slogan come “I martiri non muoiono, il paese non si divide” e “bastardi di Apo [Abdullah Öcalan nda]” con riferimenti alla questione curda piuttosto che ai rapporti con l’Armenia. A parte l’inno nazionale armeno coperto di fischi non si sono verificati incidenti e, a fine partita, la folla si è dispersa tranquillamente.

Sayat Tekir, di Radio Nor, presente tra gli spettatori ha dichiarato: “Abbiamo esposto bandiere dell’Armenia e della Turchia. Per noi la cosa importante era che i due paesi fossero assieme. Ci sono stati momenti in cui non abbiamo potuto fare a meno di notare delle incongruenze, quando abbiamo mostrato le bandiere sono arrivati degli insulti sia dalla nostra stessa tribuna che dalle altre. Poi sono state liberate delle colombe bianche. Ce la siamo un po’ presa per gli insulti, ma non più di tanto. Anche perché l’atmosfera generale era positiva.”

Secondo Tuğçe Sönmez (27), Makbule Şahin (23) e Ganime Demirbilek (46), cittadine di Bursa che hanno assistito alla partita con i loro compagni nel gruppo dei tifosi del Teksas, “si è esagerato con la sicurezza. Tanto non avremmo fatto niente. Siamo venute qui con entusiasmo per sostenere la nostra squadra. Se la nazionale giocasse sempre a Bursa non perderebbe mai. E alle parolacce, a furia di sentirle, ci siamo ormai abituate.”

Forse, dato anche l’andamento del girone (nessuna delle due squadre avrebbe potuto qualificarsi per i Mondiali del 2010), a Istanbul in piazza Taksim non c’erano folle di persone come accade di solito in occasione di simili incontri sportivi. I giornalisti locali di Bursa hanno detto che, nonostante nei giorni precedenti alla partita circolasse una campagna fomentata da gruppi conservatori contro l’arrivo di Sarksyan e lo svolgimento dell’incontro a Bursa, i negozianti si dichiaravano contenti dell’afflusso di persone giunte in città per la partita.

“Non stiamo scrivendo la storia, la stiamo facendo”, ha detto il presidente Gül commentando gli ultimi sviluppi nelle relazioni con l’Armenia. Gül ha definito la firma dei protocolli come “la base giuridica del processo che andrà attuato nel prossimo periodo”. Sarksyan ha invece aggiunto di aver avuto “grosse difficoltà nel periodo iniziato col 31 agosto”, di essersi “opposto a tutte le difficoltà”, ma che “sta aumentando sempre più il numero delle persone che pensano che i passi compiuti sono positivi” e che “questo numero continuerà ad aumentare perché la direzione in cui si va è quella giusta.”

In Turchia il CHP (Partito repubblicano del popolo) e l'MHP (Partito del movimento nazionalista), pur con toni diversi, restano contrari all’apertura del confine con l’Armenia fino a quando non sarà risolta la questione del Nagorno-Karabakh, e considerano la firma dei protocolli come un tradimento nei confronti dell’Azerbaijan.

Il leader dell'MHP, Bahçeli, ha affermato che la firma dei due documenti rappresenta non una data storica ma “un giorno buio della storia”, un “tradimento”. Il quotidiano Taraf, che ha riportato quest’ultima espressione, ha sollevato un polverone per il suo commento con cui ha definito il linguaggio usato da Bahçeli uguale a quello della diaspora armena.

Il vicesegretario del CHP, Onur Öymen, ha affermato che “questi protocolli sono purtroppo una prova che la Turchia sta retrocedendo da una politica fondamentale perseguita per 17 anni”, mentre il leader del CHP Baykal ha detto che i protocolli sono stati firmati per motivi derivanti dall'attuale situazione politica e ha criticato il premier Erdoğan per aver lasciato al parlamento l’ultima parola sull’approvazione degli accordi, ribadendo che loro non compieranno alcun passo che possa offendere l’Azerbaijan.

Il premier Erdoğan ha ribadito la propria posizione, espressa di fronte al parlamento azero durante la sua visita a Baku lo scorso maggio, sostenendo che “fin quando l’Armenia non si ritirerà dalle terre azere, anche la Turchia non potrà assumere un approccio positivo su questo punto.” Erdoğan auspica che con la mediazione del gruppo di Minsk si potrà arrivare a una soluzione della questione e che, in tale prospettiva, “i due protocolli firmati con l’Armenia si potranno attuare più velocemente” rendendo al contempo possibile che “la nostra opinione pubblica accetti meglio la normalizzazione dei rapporti con l’Armenia”.

Un sostegno all’azione del governo è arrivato dal leader del DTP (Partito della società democratica, kurdo). “Ci auguriamo che prevalga una politica che realizzi e sviluppi un rapporto democratico e corretto con i paesi confinanti, e la fratellanza tra i popoli”, ha affermato il leader del partito Türk anticipando un sostegno che sarà di vitale importanza quando il parlamento dovrà votare i protocolli.

In effetti, nonostante il premier auspichi di instaurare con l’Armenia “rapporti buoni come quelli che abbiamo con la Georgia e la Siria”, gli analisti ritengono che il processo non sarà rapido né privo di ostacoli.

Fikret Bila, sul quotidiano Milliyet, ha paragonato i rapporti turco-armeni con quelli tra Ankara e la Siria, sottolineando come “nonostante solo dieci anni fa Turchia e Siria fossero sull’orlo di una guerra” ora sia stato abolito il visto d’ingresso in Turchia per i cittadini siriani, e come il ministro degli Esteri Davutoğlu abbia addirittura dichiarato che “i confini artificiali sono da eliminare”. Secondo l’editorialista, tuttavia, “dato il peso storico del conflitto tra Turchia e Armenia, e il fattore Azerbaijan, non sarà così facile portare avanti il processo come è invece stato possibile con Damasco.”

“Si sta cercando di superare un’inimicizia secolare e, nonostante alcune convinzioni sedimentate nelle persone, si cerca la pace. Questo è un passo talmente importante e che richiede così tanto coraggio che non va preso alla leggera”, scrive invece Mehmet Ali Birand su Hürriyet. “Il fatto che il presidente Sarksyan sia venuto alla partita delle squadre nazionali corrisponde a una seconda ratifica dei protocolli firmati. Ma sarebbe un autoinganno pensare che dopo queste firme il popolo armeno e la diaspora rinunceranno alla loro tesi sul genocidio. Sarebbe anche un torto fatto agli armeni. Il “genocidio” non è una cosa da poter abbandonare facilmente perché è quasi un credo sacro tramandato da generazione in generazione per queste persone. La popolazione turca nega il genocidio. Non usa questa parola. Anch’io lo nego, ma tuttavia condivido il dolore degli armeni che hanno perso la vita nei fatti del 1915-16.”

“La politica non si interessa dei buchi lasciati dai tarli nelle identità, e nemmeno degli abissi della nostra memoria”, ha scritto invece la giornalista turco-armena Karin Karakaşlı su Radikal 2, “ma persino in quei testi estremamente politici che sono i protocolli si sono trovate quelle parole sacre che stanno alla base di tutto: ‘al fine di stabilire tra i due popoli la fiducia…’”
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