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Sindrome Italia

20.11.2009    Da Roma, scrive Laura Delsere
Patate al mercato di Chisinau (foto Ghirigori Baumann/flickr)
Sono circa 90mila i moldavi che risiedono in Italia, con tassi di crescita doppi rispetto alle altre nazionalità. Lo rileva il recente rapporto di Caritas-Migrantes. Tra le difficoltà del vivere all'estero si diffonde la "Sindrome Italia", il male oscuro dei clandestini e dei figli dei migranti
Ad Est è ‘Sindrome Italia’, il male oscuro dei clandestini e dei figli dei migranti
Non essere in regola può far ammalare l’anima. Non significa solo non avere acceso ai servizi, né poter affittare una casa, “ma sentirsi perseguitati e spiati – chiarisce Tatiana Nogailic di Assomoldave, che si è occupata a fondo di questo tema - Non si esce per mesi dalla casa in cui si lavora perché una leggerezza può essere fatale, e si è costretti all’isolamento per la paura di essere intercettati dalle forze dell’ordine. In una parola, si perde il contatto con la realtà. Mi auguro che non accada anche ai moldavi di dover pagare lo stesso prezzo di molti lavoratori romeni e filippini, che nei loro Paesi devono essere curati dalla ‘sindrome Italia’. E’ così che viene indicata dai medici questo complesso di malattie mentali invalidanti, con illusioni di persecuzioni, di maltrattamenti ed ossessioni ricollegabili alle attività lavorative svolte in Italia. “Conosco diversi connazionali che per l’abitudine al timore in Italia, perfino al rientro in Moldova per le feste, impallidiscono alla vista di un poliziotto” aggiunge la Nogailic.

Ma la “sindrome Italia” ha anche una declinazione ulteriore in patria. In Moldova per ora non ha colpito gli adulti come in Romania, dove lo scorso Natale, ripartiti i migranti dopo la momentanea riunione familiare per le feste, ha generato atti di autolesionismo o tentativi di suicidio, in numero tale da attirare l’attenzione della stampa. Piuttosto tocca in massa i minori figli di immigrati all’estero, rimasti soli in Moldova, spesso in una casa vuota, o con nonni troppo anziani per occuparsi di loro. “In Moldova non c’è più cerniera tra le generazioni, nel Paese sono rimasti solo vecchi, bambini e giovanissimi – spiega Tatiana Nogailic - Così i minori forzatamente abbandonati sviluppano una forma depressiva acuta. Anche questa, per i giornali di Chisinau, è ‘sindrome Italia’”. Rende i bambini ansiosi, apatici, spesso aggressivi perché senza più punti di riferimento. “Un’anziana, nonostante l’affetto, non può supplire al ruolo di genitore, né spiegare ai minori un mondo che cambia vorticosamente”, confermano altre madri moldave. Nelle regioni rurali più della metà dei bambini vive solo o con i nonni. “E’ un tema che colpisce al cuore la nostra diaspora e il presente nazionale”, secondo la Nogailic, anche perché questi ragazzi sono esposti a rischi crescenti, da un’esistenza come street children fino alla migrazione precoce. Questa cruda epopea dell’assenza quotidiana sulla pelle dell’ultima generazione moldava è finita anche in un film, uscito a dicembre 2008 e già pluripremiato in Europa.

“’Arrivederci’ del regista moldavo Valeriu Jereghi, tra l’altro vincitore del Gran Prix Forum Euroasiatic Moscova, è la storia di due fratelli soli al mondo, con i genitori all’estero. “Il suo neorealismo ha spaccato la Moldova, dove il film conta partigiani e oppositori accesi” conferma la Nogailic. Un destino simile, per citare un precedente illustre, lo ebbe ‘Ladri di biciclette’ di Vittorio De Sica nell’Italia della ricostruzione. Al centro del film moldavo c’è ancora l’Italia, e ci sono bambini che sarebbero piaciuti a De Sica. Come nella sequenza del viso melanconico del figlio quando ascolta ‘O sole mio’ senza capire le parole e pensando solo che viene da un mondo da cui attende oscuramente il ritorno di sua madre. La pellicola di Jereghi è stata proiettata anche a Venezia e a Roma, durante incontri con la diaspora. E per rispondere a chi in patria lo accusa di speculare su un grande male nazionale, Jereghi il mese scorso ha organizzato una settimana di proiezioni gratuite del suo film in un cinema centrale di Chisinau. “A vederlo – racconta Tatiana Nogailic - sono venuti anche dalle campagne con i pullman”. L.D.
Italia, snodo europeo per la diaspora moldava. Non solo gli immigrati dalle rive del Dnester e del Prut nel nostro Paese hanno tassi di crescita doppi rispetto a quelli delle altre nazionalità, tanto da diventare la decima comunità straniera, e la terza dell’Est, dopo romeni e ucraini. Ma addirittura Roma è la seconda città europea dopo Mosca per presenza di moldavi: rispettivamente 145 mila e 12.800, davanti a San Pietroburgo (oltre 9 mila), Istanbul (8 mila), Odessa (7.650) e Milano (5.800). Il profilo più aggiornato di questa comunità è nell’ultimo rapporto 'I moldavi in Italia' realizzata da Caritas e Fondazione Migrantes in collaborazione con l`Ambasciata della Repubblica di Moldova a Roma.

Oggi nel nostro Paese i moldavi sfiorano i 90 mila residenti. Ma impressionano i numeri della crescita nell’ultimo decennio: da circa 4 mila presenze nel 2001, passando per le 38 mila del 2004, i residenti moldavi in Italia nel 2008 risultano cresciuti di un terzo (+30,4%), a fronte di un aumento medio della popolazione straniera residente del +13,4%. Avamposto dell’emigrazione, le donne. Si dirigono soprattutto verso l’area del Mediterraneo (Italia, Spagna) per lavori di cura, tanto che nel nostro Paese sono tuttora il 67% della comunità, mentre per i moldavi maschi partono per lo più per Russia, Romania, Ucraina o Israele.

Cresce la seconda generazione

I moldavi sono sempre più orientati all’inserimento stabile in Italia, secondo i dati del Rapporto: oggi il 5% è venuto al mondo in Italia, pari a circa 2000 nati nel 2008. E sono 15 mila circa i minori iscritti nelle scuole italiane. “Scuole e università sono luoghi strategici dell’integrazione dei giovani” spiegano alcune iscritte under 30 dell’associazione della diaspora in Italia ‘Dacia’. E a sorpresa citano soprattutto gli atenei religiosi, in cima a tutti l’Angelicum, dove studiò ventenne Karol Wojtyla. “Non era qui, nell’Italia culla della cultura umanistica che doveva nascere la parola clandestino”, scandiscono gli universitari moldavi.

Per gli adulti un punto di riferimento importante sono anche le chiese, “dove possiamo preservare la storia, i valori, la lingua ma anche la fiducia nei diritti”, spiegano attivisti della onlus ‘San Mina’, un’altra sigla a tutela dei diritti civili per i moldavi in Italia. La formazione culturale è una conquista importante, ma “crea inevitabilmente anche fratture tra i genitori e i figli, che a tutti gli effetti si sentono di cultura italiana”, secondo il Rapporto Caritas-Migrantes. “Il risultato è che spesso la seconda generazione non desidera più tornare in patria”. E si trova nella terra di nessuno: per loro, “sospesi tra terra d’origine e partecipazione incompleta alla nuova società –secondo lo studio - sarà decisivo il riconoscimento di cittadinanza e nazionalità italiana”.

I nuovi moldavi ‘laziali e veneti’

Ci sono due ‘capitali moldave’ oggi nella penisola: sono Roma (e il Lazio) e Padova (in Veneto), le aree a maggior concentrazione, con circa 8 mila residenti complessivi, per lo più impiegati nel settore domestico (32%), nell'edilizia (12%) ed in imprese di servizi (11%). La mappa regionale del Rapporto Caritas-Migrantes rintraccia i moldavi per lo più nel nord ovest (35,2%), poi nel nord est (27%) e al centro (25,1%). Meno al sud (9,1%) e nelle isole (3,7%). Ma il loro cammino è in salita, secondo diverse voci della diaspora. “Il rinnovo del permesso di soggiorno è il problema più grande, ed è sempre più difficile”, spiega Natalia Moraru, presidente dell’associazione ‘Dòina’.

Nettamente migliore la situazione dei regolari, che comunque hanno accesso ad impieghi spesso inferiori alla propria formazione. Il Rapporto lo ha verificato: a Roma ad esempio il 70% dei moldavi sono laureati (di cui il 5% con due lauree o un dottorato di ricerca), il 30% ha fatto studi medi o professionali. Ma solo il 30-35% ha un lavoro rispondente al curriculum, prevale l’impiego come manovalanza nei servizi, nelle famiglie e negli hotel. Nonostante le molte associazioni sorte finora, i centri di aggregazione per i moldavi restano soprattutto in strada: i piazzali davanti alle chiese di riferimento, spesso anche ‘mercati del lavoro’, e le stazioni degli autobus (a Roma, da Tor di Valle), il mezzo simbolo del pendolarismo con Chişinău. Dove, confermano in molti, i viaggi sarebbero controllati da racket di autisti o trasportatori, ‘dominus’ sulle tariffe e sulla merce spedita, che in molti casi comprende pacchetti di contanti. Qualche volta vengono ‘rubati’ e – come nel caso di una donna che ha visto sparire i suoi 8 mila euro di risparmi inviati in patria - per riaverli va pagato un riscatto.

La diaspora moldava, è all’estero un cittadino su quattro

La grande ondata di migrazioni dalla Moldavia cominciò nel 1999, l’anno dopo il default russo in cui – ricorda il Rapporto Caritas-Migrantes, citando stime della Banca Mondiale - il piccolo Paese toccò il suo record di povertà: 80,9% nei piccoli centri, 76,9% nelle campagne 50,4% nelle grandi città. In quei dodici mesi partirono in 100 mila. Nel 1992 una nuova spinta era già venuta dal conflitto militare con la Russia in Transdnistria, zona ad elevata concentrazione industriale, che aggravò la catastrofe occupazionale.

Oggi sui circa 4,2 milioni di abitanti, un moldavo su quattro è all’estero. La repubblica è entrata inoltre nella top list mondiale dei Paesi con le maggiori rimesse in proporzione alla popolazione: circa un terzo del Pil nazionale (36%, con 1.4 miliardi di dollari nel 2008). Denaro inviato per vie informali, con uno scarso ricorso alle banche. Quelle dall’Italia sono state nello stesso anno 54.5 milioni di euro. Secondo il Rapporto Caritas-Migrantes, “se la famiglia è in Italia un immigrato moldavo invia in media nel Paese d’origine 400-600 euro l’anno; se invece marito e figli sono in Moldova, allora si può arrivare a 10 mila euro l’anno”. La somma media è di 7-8000 euro annui, “usata per mantenere la famiglia, pagare gli studi ai figli, comprare una casa”.

Tra i più sfavoriti dell’Est per il visto Ue

Oltre a povertà, disoccupazione e bassi salari, oggi a sostenere l’emigrazione “sono soprattutto l’instabilità governativa, la corruzione e i diritti umani negati - spiegano gli analisti del Rapporto 2009 - Tuttora i moldavi sono i più sfavoriti nell’accesso ai visti per i Paesi europei”. Basti pensare che dal 2007 (anno dell’ingresso della Romania nella Ue) fino al 28 gennaio 2009 (quando la sede diplomatica italiana a Chişinău ha cominciato a rilasciare i visti), i moldavi andavano a chiedere il visto per Roma all’ambasciata italiana di Bucarest, così come per i visti in Spagna o Slovenia. Per ottenere il visto per Grecia o Cipro invece partivano per l’Ucraina. “Una situazione a dir poco dorata per le organizzazioni criminali”.

Per un tariffario aggiornato basta consultare gli stessi migranti: oggi costa 4.500 euro un visto per l’Italia, rilasciato dalle opache agenzie moldave per l’impiego, che preparano anche i candidati ai colloqui nelle ambasciate (‘sii naturale’, non arrossire’, ‘ripeti la risposta precisa che ti indichiamo’), mentre nel 2004 i mediatori dovevano accontentarsi di 2.500 euro.

La maggior parte de moldavi arriva in Italia con visto turistico, ma è ancora tra le più alte dell’Est la percentuale di vittime di trafficking. Sono 919 quelle assistite in Italia negli ultimi anni, secondo il Rapporto, dato che ne fa la terza comunità più esposta dopo quelle di Nigeria e Romania.

L’arbitrio della burocrazia, veri ostacoli alla vita in Italia

“I nostri emigrati qui hanno soprattutto bisogno di informazioni e di non restare da soli” spiega Tatiana Nogailic, presidente di Assomoldave. “L’informazione per un immigrato è vita. Al punto che per nuovi provvedimenti di legge, oltre che al nostro blog su internet, puntiamo sugli sms. Ne spediamo fino a mille”.

Quali le maggiori difficoltà per i moldavi? “Variano a seconda se si ha o no il permesso di soggiorno. Il primo gruppo conta anche i titolari di cittadinanza rumena, mentre oggi quelli del secondo, con il nuovo “pacchetto sicurezza”, sono equiparati a fuorilegge. Personalmente ho vissuto con terrore l’attesa, prima del rilascio e poi del rinnovo del permesso di soggiorno. La prima volta per due anni, poi per un anno e mezzo. Per tutto il tempo da irregolare, ci è impedito di tornare in patria, e questo ci rende inesistenti”. In genere, prosegue la Nogailic, “l’insicurezza non finisce mai per le leggi innumerevoli e interpretate in mille modi. Basti pensare al certificato di residenza richiesto per ottenere la Carta di soggiorno: a fronte di un'unica legge regionale, ogni Municipio di Roma ha una procedura diversa che va da 2 a 12 certificati”.

Sempre più nascosti, così è fallita l’ultima sanatoria

Che cosa è cambiato con l’ultima sanatoria? “E’ stata un successo parziale, sono arrivate appena metà delle richieste previste – commenta Nogailic - Uno dei motivi dell’insuccesso è dovuto al licenziamento massiccio attuato dai datori di lavoro prima della sanatoria. Per tre ragioni: l’eccessivo costo a carico di chi assume, il suo timore della burocrazia nella fase applicativa nella legge e infine la possibilità di reperire sul mercato lavoratori pendolari a basso costo. Ma il maggior difetto della legge è stato sanare chi aveva un solo datore di lavoro, escludendo così ad esempio ogni colf impiegata in una molteplicità di famiglie. Tutti sappiamo che queste donne continuano a lavorare, con molti disagi in più, in tante case, ma pur superando le 12 ore al giorno complessive e volendo pagare i costi di persona, non ha avuto la possibilità di mettersi in regola. Abbiamo denunciato inutilmente quello che stava accadendo al Prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno”. Ma è stato di recente lo stesso funzionario ad ammettere, presentando i risultati della regolarizzazione, che “c’è ancora molto sommerso e la sanatoria andrebbe ampliata”.
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