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Com'è profondo l'Ibar

10.12.2009    Da Mitrovica, scrive Tatjana Lazarević
Il ponte di Mitrovica sul fiume Ibar
Le amministrative in Kosovo hanno messo ancora in evidenza il diverso approccio dei serbi a nord e a sud del fiume Ibar. Tra i primi, che vivono in un sistema separato, ha vinto il boicottaggio, tra i secondi, chi ha votato vede il controllo del potere locale come una necessità vitale
A sud dell'Ibar, fiume che divide la città di Mitrovica e segna il confine ufficioso tra il nord a maggioranza serba e il resto del Kosovo, le elezioni amministrative di metà novembre sono rimaste per giorni sulle prime pagine dei giornali. Consultazioni che hanno attirato l'attenzione internazionale, essendo le prime organizzate da Pristina dopo la dichiarazione di indipendenza dalla Serbia del febbraio 2008, e considerate dagli organismi internazionali come un sostanziale successo.

Domenica 15 novembre, però, a nord dell'Ibar l'attenzione dei serbi era tutta concentrata sulla morte del patriarca Pavle, guida della chiesa ortodossa serba. E in molti hanno saputo che “i vicini” a sud del fiume stavano votando solo grazie alle notizie pubblicate dai media.

Mentre nei giorni seguenti gli albanesi del Kosovo erano tutti presi dalle questioni post elettorali, possibili coalizioni, presunte irregolarità, il seguente ballottaggio; molti serbi del Kosovo viaggiavano su macchine e autobus alla volta di Belgrado, dove hanno reso omaggio alla salma del patriarca.

Se non fosse stato per alcuni villaggi albanesi e poche aree etnicamente miste, a nord dell'Ibar non sarebbe stata aperta alcuna sezione elettorale, visto il boicottaggio quasi totale dei serbi che risiedono in questa regione del Kosovo.

I serbi del Kosovo settentrionale non hanno mostrato alcun interesse a partecipare alle amministrative, non si sentono parte della nuova società kosovara e continuano a vivere in un sistema politico e amministrativo completamente separato da quello degli albanesi. La separazione delle due comunità si rispecchia in modo evidente nella presenza sul territorio di sistemi paralleli.

Le istituzioni dello stato serbo funzionano appieno a nord dell'Ibar, e qui i cittadini mostrano la loro piena lealtà. Quelle di Pristina, invece, sembrano lontane, e comunque non degne di essere prese in considerazione.

Un altro fattore che ha contribuito al poco risalto dato alle elezioni a nord dell'Ibar è stata l'assenza dell'usuale contro-campagna condotta dai leader politici locali. La loro influenza si è significativamente ridotta nell'ultimo anno e mezzo, da quando cioè a Belgrado i partiti nazionalisti hanno perduto posizioni.

Anche se sui giornali di Pristina e nell'analisi di qualche osservatore internazionale Belgrado è stata accusata di aver agito attivamente per scoraggiare la partecipazione elettorale dei serbi del Kosovo, stavolta la pressione è stata davvero lieve rispetto al passato, e si è concretizzata soprattutto con una nota in cui si sottolineava la mancanza di condizioni per la partecipazione dei serbi a queste consultazioni.

Anche le autorità kosovare hanno, seppur indirettamente, riconosciuto la mancanza di tali condizioni nelle aree a maggioranza serba, posticipando le elezioni nelle municipalità a nord di Mitrovica (e in quella, appena costituita di Parteš, nei dintorni di Gnijlane) alla prossima primavera.

A sud dell'Ibar, in una realtà completamente diversa, parte dei serbi ha partecipato alle elezioni, dopo i vari boicottaggi degli anni scorsi. Anche per questo motivo i rappresentanti di Pristina e della comunità internazionale hanno sottolineato l'importanza della creazione di tre nuove municipalità a maggioranza serba. Dei 74 partiti registrati alle elezioni del 15 novembre, 22 erano espressione della comunità serba.

L'attenzione mediatica si è concentrata su Gračanica, alle porte di Pristina, dove è stato registrato il numero più alto di serbi recatisi alle urne (3.500 votanti, pari al 23,62% degli aventi diritto). Alcuni dei canditati, dato da tenere in considerazione, occupano posizioni significative nelle istituzioni sponsorizzate da Belgrado.

Non è chiaro quale sia il numero esatto dei serbi che si sono recati alle urne. Di 700mila voti espressi in totale, si stima che circa 8mila siano dei serbi e di altre minoranze non albanesi. Questo dato è pari a circa il 5% dell'elettorato serbo del Kosovo. I partiti serbi hanno vinto nelle tre nuove municipalità, perdendo però in due are a maggioranza serba, Novo Brdo e Štrpce.

A Štrpce, dove i serbi rappresentano circa il 70% della popolazione, l'affluenza è stata del 30,91%, ma la maggioranza dei voti sono stati espressi dalla comunità albanese. Si aspetta ora il ballottaggio, previsto per domenica 13 dicembre. Una situazione simile si è verificata anche a Novo Brdo, dove l'affluenza è stata del 25,64% con una netta predominanza del voto albanese.

Nell'atmosfera post elettorale, gli avversari della partecipazione al voto e i candidati della comunità serba hanno dato vita a una serie di polemiche su presunte irregolarità e furto di voti.

Un gruppo di leader serbi di Gračanica ha annunciato che chiederà ai membri della comunità di ricorrere alla disobbedienza civile se la Commissione elettorale centrale non annullerà i risultati del voto nella municipalità, visto “l'evidente e pubblico furto di voti”. Questi accusano la formazione uscita vincitrice dalle urne, il Partito Liberale Indipendente, di aver compiuto gravi irregolarità.

A Belgrado, il Coordinatore per il Kosovo Goran Arsić parla di “numerose irregolarità”, e di corruzione. “Gli elettori erano sotto pressione, e i voti potevano essere comprati per una cifra compresa tra i 200 e 450 euro a famiglia, o 50 euro a persona. Voti sono stati assicurati anche con la fornitura di legna, farina, zucchero e olio”. Accuse simili sono state pronunciate anche da Goran Bogdanović, ministro per il Kosovo e Metohija.

La creazione di nuove municipalità era prevista dal “piano Ahtisaari”, inizialmente respinto dai serbi. Questa tornata elettorale arriva dopo una campagna sulla decentralizzazione durata due anni, promossa dell'Ufficio Civile Internazionale (ICO) e diretta soprattutto alle aree a maggioranza serba. E' evidente, però, che i risultati a nord dell'Ibar sono stati nulli.

Per molti serbi del Kosovo la partecipazione alle elezioni non è stata il risultato di una campagna elettorale particolarmente riuscita o della promozione del processo di decentralizzazione, quanto la conseguenza della mancanza di sostegno e di una chiara strategia da parte di Belgrado sul destino dei serbi che vivono a sud dell'Ibar. Se tale sostegno esiste, non è certo stato articolato in modo visibile sul territorio. Temendo di essere abbandonati dall'apparato statale serbo e in stato di isolamento, le comunità serbe del Kosovo centrale e meridionale non vedono altra possibilità se non quella di mantenere il potere a livello locale, laddove questo è possibile.

Ulteriore confusione è stata creata dalle reazioni contraddittorie arrivate dai politici di Belgrado. Dopo la pubblicazione dei primi risultati, Oliver Ivanović, segretario di Stato per il Kosovo e Metohija ha affermato che la partecipazione dei serbi del Kosovo alle elezioni “ha minato significativamente la credibilità del governo serbo nella provincia”, e che la politica nei confronti del Kosovo deve quindi essere modificata. “Si creerà una frattura tra i serbi a sud e a nord dell'Ibar, e tra questi e le autorità serbe”, ha affermato Ivanović, sottolineando come l'esistenza di due amministrazioni locali (una delle quali fa riferimento a Pristina, l'altra a Belgrado) in piccole municipalità sia di fatto insostenibile.

Sempre secondo Ivanović, nei prossimi mesi è molto probabile si arrivi allo scontro tra i rappresentanti di queste due realtà.

D'altro canto, il ministro Bogdanović ha sottolineato che la partecipazione serba è stata comunque marginale (erano 120mila gli aventi diritto) e ha definito i nuovi rappresentanti serbi eletti il 15 novembre come “illegittimi”.

“Una vasta maggioranza dei serbi del Kosovo ha seguito le raccomandazioni del governo e ha difeso sia gli interessi nazionali che quelli personali [boicottando il voto]. Non ci sarà però revanscismo nei confronti di chi ha deciso di votare. L'unica punizione che li attende è conseguenza dell'astensione, che di fatto nega loro ogni diritto a rappresentare altri se non se stessi”, ha aggiunto Bogdanović.

Il numero dei serbi recatisi a votare nelle ultime amministrative è di certo superiore a quello registrato nelle tornate elettorali in Kosovo a cui hanno partecipato sia Ivanović che Bogdanović. Entrambi hanno infatti speso vari anni all'interno del parlamento kosovaro, prima di assumere il loro attuale ruolo nel governo di Belgrado.

Affluenza, punti di vista contrastanti e idee divergenti simboleggiano la profonda divisione della comunità serba del Kosovo, e danno via a nuovi problemi, dovuti alle polemiche interne, soprattutto lungo l'asse nord-sud. Vivendo in un contesto radicalmente diverso, le due componenti della comunità riconoscono un solo interesse indisputabile, quello di continuare a vivere nelle proprie case.
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