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Morti silenziose

26.01.2010    Da Skopje, scrive Risto Karajkov

Billjacobus1/flickr
In Macedonia la questione delle "morti bianche" e degli infortuni sul lavoro occupa poco spazio nel dibattito pubblico. Questo non significa però che il problema non esista, anche se né le istituzioni né i sindacati riescono a riportarlo in cima all'agenda politica del paese
Si possono capire molte cose dello spirito di un’epoca, sia essa passata o presente, andando a vedere quali temi occupavano o occupano il dibattito pubblico. Ma forse se ne possono capire ancora di più andando a vedere quali temi ne sono assenti. I mass media macedoni attualmente stanno dedicando tutta la loro attenzione ai quiz televisivi con le telefonate da casa: per intenderci, quegli stupidi spettacoli in cui gli spettatori vengono incoraggiati con ricchi montepremi a telefonare in diretta (a costo altissimo, ovviamente).

L’anno scorso, i temi su cui verteva il dibattito pubblico in Macedonia erano per lo più di carattere culturale: l’identità dei macedoni, a chi spetta l’eredità storica di Alessandro Magno, la “slavità” o meno dei macedoni, l’opportunità di costruire o meno una chiesa nella piazza centrale di Skopje, la legittimità dell’aborto, l’insegnamento della religione a scuola etc.

Questi temi sono importanti per molti, ma la cosa preoccupante è che ci sono temi altrettanto importanti che passano del tutto inosservati. Uno di questi è il valore della vita umana sul posto di lavoro.

In base a quanto riportato dalle statistiche fornite dall’Associazione Macedone per la Sicurezza sul Lavoro (MOSHA) e consultate dall’autore del presente articolo, 34 lavoratori hanno perso la vita sul posto di lavoro lo scorso anno. Il dato non comprende i poliziotti uccisi in servizio, la morte di autisti professionisti causata da incidenti stradali, gli incidenti sul lavoro avvenuti per cause di forza maggiore come i lavoratori colpiti da fulmini (due pastori sono morti in questo modo lo scorso anno).

La maggior parte dei morti sul lavoro sono minatori, operai edili e altre tipologie di lavoratori che utilizzano o sono comunque a stretto contatto con macchinari e attrezzi. I lavoratori agricoli, in particolare quelli che utilizzano regolarmente il trattore, costituiscono una grossa fetta dei decessi avvenuti sul posto di lavoro (almeno 5 i decessi registrati).

Oltre ai casi di decesso, diverse centinaia di lavoratori hanno riportato ferite di varia entità sul posto di lavoro nel 2009. La buona notizia è che il numero di infortuni è comunque molto inferiore rispetto all’anno precedente. In base a quanto riportato dal MOSHA e dai mass media, nel 2008 i casi di infortuni sul lavoro con esito mortale sono stati infatti 62. L’ispettorato al lavoro del governo riporta invece soltanto 12 casi di decessi sul posto di lavoro. Questa differenza è dovuta ai diversi parametri utilizzati: sui registri MOSHA vengono infatti riportati tutti i casi di infortunio sul lavoro apparsi sui media, mentre, evidentemente, i parametri utilizzati dall’ispettorato fanno sì che molti infortuni non vengano classificati come incidenti avvenuti sul posto di lavoro.

Gli esperti ritengono che le principali cause degli infortuni siano rappresentate dalla scarsa attenzione alla sicurezza e dalla messa in atto di politiche improntate alla drastica riduzione dei costi, nonché dalla scarsità dei controlli effettuati dagli enti statali preposti alla vigilanza in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Pare, ad esempio, che molti datori di lavoro nel settore edilizio taglino i costi violando sistematicamente tutti i regolamenti vigenti in materia di sicurezza. I lavoratori, per ovvie ragioni, sono molto restii a denunciare i propri datori di lavoro. D’altro canto, neppure gli organismi preposti a verificare il rispetto della normativa funzionano in maniera efficace, così come altri settori della pubblica amministrazione. Inoltre, gli esperti sostengono che i pochi processi a carico dei datori di lavoro accusati di aver provocato la morte di un dipendente sono lunghissimi, e spesso l’iter giudiziario non viene neppure completato.

E questo accade nei casi di responsabilità penale; nei casi di semplice negligenza, la situazione è ancora peggiore. Come se tutto ciò non bastasse, il ricordo dell’ultima protesta organizzata dai sindacati in seguito alla morte di un lavoratore si perde ormai nella notte dei tempi.

Tutto ciò è indicativo della scarsa importanza attribuita dalla società macedone a questi temi. In poche parole, a nessuno importa nulla dei morti sul lavoro, tutti sembrano presi da questioni ben più importanti e il tema della sicurezza sul posto di lavoro non ha nessuna attrattiva dal punto di vista politico.

Questo diffuso atteggiamento di noncuranza è dovuto, tra l’altro, al silenzio pressoché totale dei media riguardo alle morti bianche e agli incidenti sul lavoro. Quando si verifica un infortunio escono sui giornali un paio di articoli stringati; in occasione della giornata mondiale per la sicurezza sul lavoro in aprile vengono pubblicati editoriali striminziti e nulla di più. L’anno scorso, il docente universitario Dimitar Mircev paragonò la Macedonia odierna all’Inghilterra di 150 anni fa, dove il governo effettuava severe ispezioni sui posti di lavoro e dove Friedrich Engels scrisse nel 1844 il suo “La condizione della classe operaia in Inghilterra”. Il professor Mircev sosteneva che l’Inghilterra dell’800 si preoccupava dei lavoratori più della Macedonia di oggi.

Se i media non fanno pressione, i politici fanno gli gnorri. I partiti politici, inclusi quelli che contengono la dicitura “social-democratico”, non sembrano particolarmente interessati all’argomento. La Commissione Europea, che ha l’abitudine di “esprimere preoccupazione” e “auspicare progressi” praticamente riguardo a qualsiasi cosa accada nei paesi candidati all’accesso alla UE, sembra non essersi accorta degli infortuni sul lavoro che si verificano ogni giorno.

Ma la responsabilità maggiore ricade, ovviamente, su chi si definisce “portavoce” dei diritti dei lavoratori, vale a dire, sui sindacati. I sindacati dovrebbero essere i primi a schierarsi a favore della sicurezza dei lavoratori e a fare pressione sui media e sui politici affinché si occupino di questi temi. I sindacati macedoni sono in generale deboli, divisi al proprio interno e politicizzati, ma occasionalmente hanno dimostrato di possedere grande forza e determinazione.

Nessuno stato è in grado di eliminare completamente gli infortuni sul lavoro e le morti bianche. Tuttavia, la frequenza con cui questi infortuni si verificano rappresenta un importante indicatore del, se così si può definire, livello di sviluppo di uno stato.

La morte di un lavoratore non dovrebbe essere considerata semplicemente il risultato di una semplice negligenza tecnica o, in caso di mancate ispezioni, amministrativa. Il decesso di un lavoratore implica responsabilità ben più ampie, che coinvolgono, tra l’altro, le istituzioni governative. Ma purtroppo le morti sul lavoro oggi sono considerate semplici incidenti.

Sulla carta, la Macedonia ha un’ottima legislazione in materia di sicurezza, che garantisce ai macedoni un ambiente di lavoro sicuro. La realtà è, triste a dirsi, molto diversa. Le autorità politiche dovrebbero per un attimo alzare gli occhi dal dibattito pubblico di livello infimo in cui è invischiato il paese, e dichiarare chiaramente che la situazione attuale è inaccettabile. Sarebbe già un buon inizio.
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