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L’Europa avvicina Bulgaria e Romania

04.04.2005   

Due Stati collegati da un unico ponte fluviale e a lungo divisi da un muro di pregiudizio scoprono di avere più cose in comune di quanto immaginassero. Un reportage sullo stato dei rapporti tra i due vicini balcanici alla vigilia dell’ingresso nella UE
Di Albena Shkodrova, Sofia, e Marian Chiriac, Bucarest IWPR, 23 marzo 2005, (titolo originale: "Special Report: Europe Heals Old Divide Between Bulgaria and Romania")

Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta


Giugno 2004, i Primi Ministri bulgaro e rumeno celebrano il cinquantenario dell'unico ponte tra i due Paesi
Più di un decennio dopo la dissoluzione del blocco sovietico nell’Europa dell’Est, la Bulgaria e la Romania sono rimaste due perfette estranee. Uniti dalla geografia, questi vicini balcanici sono rimasti divisi pressoché sotto ogni altro aspetto.

Fino ad oggi, un’eredità di dispute economiche ed ambientali, problemi interni e le immagini negative che ognuna delle due nazioni ha serbato dell’altra, hanno impedito loro di cooperare.

Ma negli ultimi due anni le cose sono cambiate e ci sono segnali che indicano che litigi vecchi di decenni e stereotipi risalenti alle generazioni passate stanno crollando.

Diversi importanti progetti congiunti e la crescente cooperazione tra gruppi civici ed imprenditoriali stanno invertendo le antiche tendenze e modificando la percezione che ciascuna delle due nazioni ha dell’altra.

C’è ancora molta strada da fare, perché milioni di Bulgari e Rumeni si vedono ancora reciprocamente attraverso le lenti deformanti del pregiudizio storico. Inoltre recenti litigi sull’inquinamento, sulle questioni energetiche in particolare, non sono stati interamente risolti.

Ma la spinta della loro futura congiunta adesione all’Unione Europea, così come i loro interessi politici ed economici, stanno avvicinando ed unendo i due popoli per la prima volta da un secolo a questa parte.

L’era della finta fratellanza sotto il comunismo lascia dispute irrisolte

A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, fino al 1989, la Bulgaria e la Romania facevano parte entrambe del blocco sovietico. Anche se i regimi comunisti di tutte e due le nazioni proclamavano di desiderare la cooperazione bilaterale, la natura superficiale di queste dichiarazioni ufficiali divenne evidente alla fine dell’era comunista, quando i due Paesi scoprirono che le loro relazioni erano avvelenate da dissidi.

Dal 1965 alla fine del 1989, la Romania fu governata da Nicolae Ceausescu sotto un regime caratterizzato da centralizzazione dittatoriale, culto della personalità e da una forma di nepotismo che i Rumeni soprannominarono “Socialismo di un’unica famiglia”.

Il regime di Todor Zhivkov in Bulgaria fu ugualmente dittatoriale e, in quanto fervente alleata dell’Unione Sovietica, la Bulgaria cercò di attuare la politica di Mosca di promuovere strette relazioni multilaterali all’interno del blocco.

Per dimostrare la solidarietà tra i due dittatori vicini, fu stabilito su base regolare un periodico scambio di visite ufficiali, e Zhivkov aveva perfino, per la famiglia Ceausescu, una speciale ala costruita vicino alla sua residenza nella cittadina di confine di Ruse.

Allo stesso tempo, i due Paesi diplomaticamente differivano nei loro regimi – con la Romania che era la più totalitaria delle due, mentre la Bulgaria era il più leale membro del Patto di Varsavia.

Nonostante l’apparente armonia, l’asse Ceausescu-Zhivkov era improduttivo e temporaneo. Per più di un decennio, l’unico grosso progetto comune fu la costruzione a metà anni ’50 del “Ponte dell’Amicizia” sul Danubio, che collegava la città rumena di Giurgiu con Ruse in Bulgaria.

Le relazioni divennero tese negli anni ‘80 per la politica estera indipendente della Romania, per la sua opposizione alla politica di “perestroika” di Mikhail Gorbachev e per le reciproche accuse di inquinamento ambientale.

Il deteriorarsi delle relazioni personali tra Zhivkov e Ceausescu contribuì al declino dell’amicizia tra i due Paesi. Ma in nome del Patto di solidarietà di Varsavia, il regime di Zhivkov moderò le critiche al suo vicino, specialmente sull’inquinamento chimico che derivava dagli stabilimenti rumeni sul Danubio.

Dopo il cambio di regimi del 1989, queste liti messe a tacere vennero alla superficie e la questione ambientale emerse come questione prioritaria.

Mentre le accuse s’inasprivano da entrambi i lati, le commissioni congiunte formate nel 1991 cercarono di arrivare a un compromesso sulla questione ambientale e di ripristinare le pragmatiche e relativamente amichevoli relazioni del dopoguerra.

Ma questo non diede immediatamente dei frutti. Le difficoltà della democratizzazione ed il processo di riforma economica assorbirono la maggior parte delle energie politiche in entrambi i Paesi e spostarono la loro attenzione sulle questioni interne. Anche l’obiettivo politico comune dell’adesione alla UE non riuscì a riunirli.

La decisione di Bruxelles di separare Bulgaria e Romania dagli altri Paesi candidati dell’Europa dell’Est e di farle entrare insieme, tre anni dopo gli altri, nel 2007, doveva costringere Sofia and Bucarest ad un nuovo tipo di partenariato.

Ma solo negli ultimi anni questa partnership è diventata significativa. Per molti anni, è sembrata più che altro una competizione.

Una lunga eredità di mutua ignoranza

Con un commercio attraverso la frontiera incrementato di sette volte dal 1998 al 2004, gli imprenditori di entrambe le parti hanno assunto un ruolo determinante nel riavvicinare e riunire i due Paesi.

Ma smantellare l’eredità di mutua indifferenza non è stato semplice. Come ha ricordato Emil Vutchev, manager dell’ufficio bulgaro della S&T, una azienda nel campo delle tecnologie informatiche, "Il mio primo incontro con i miei colleghi rumeni fu una sorpresa, perché quasi mi aspettavo di vedere uomini con lunghe barbe vestiti con giacconi di lana di pecora.”

Vutchev ha poi aggiunto, “Mi trovai invece di fronte persone sofisticate, dall’inglese fluente e dai modi raffinati. In seguito, scoprii che essi avevano avuto inizialmente su di me esattamente gli stessi sospetti.”

Un giornalista bulgaro, Georgi Kalenderov, si dice d’accordo sul fatto che il muro di reciproca diffidenza che divide Bulgaria e Romania riflette una generalizzata ignoranza delle reciproche storie e culture.

“Se due nazioni si trattano con arroganza, è perché non si conoscono,” ha detto Kalenderov. Ha aggiunto che la maggior parte dei Bulgari ne sapevano di più sugli Usa, lontani svariate migliaia di chilometri, che sul Paese sull’altra sponda del Danubio.

Entrambi i popoli continuano a tratteggiare tradizionali stereotipi balcanici, che sono stati rafforzati nella recente era socialista ma che derivano da tradizioni popolari molto più antiche.

Prendiamo ad esempio i reciproci soprannomi: i Rumeni chiamano i Bulgari "cu capul mare", che significa “teste dure”, mentre i Bulgari chiamano i loro vicini "mamaligari", che deriva dal tradizionale cibo rumeno “mamaliga”, un piatto di farina di mais che i Bulgari vedono come dieta della povera gente. “Noi pensiamo ai Rumeni come loro pensano a noi,” ha detto Kalenderov. “Loro raccontano su di noi le stesse barzellette che noi raccontiamo su di loro, solo che noi diciamo ‘i Rumeni’, e loro dicono ‘i Bulgari’.”

I soprannomi spregiativi riflettono le diverse storie delle due nazioni. I Rumeni sono acutamente consapevoli di essere un’isola latina in un mare di Slavi. I Bulgari, d’altro canto, vedono i Rumeni principalmente come contadini afflitti dalla miseria.

Ci sono state anche serie dispute territoriali, specialmente riguardo alla regione meridionale della Dobrudja, che la Romania conquistò alla Bulgaria nel 1913 e fu costretta a restituire dopo la Seconda Guerra Mondiale. “Non c’è quasi differenza tra gli stereotipi di un secolo fa e quelli di oggi,” ha fatto notare Daniel Cain, uno storico dell’Istituto di Storia “Nicolae Iorga” di Bucarest. Cain, che ha studiato anche in Bulgaria, ha aggiunto: “È difficile rendersi conto di quanto poca conoscenza questi due popoli abbiano l’uno dell’altro, nonostante che per secoli sono stati confinanti.”

I mutui pregiudizi si attenuarono momentaneamente negli anni ‘80, quando i Rumeni – che si lamentavano del regime di Ceausescu – iniziarono a guardare con maggiore favore al loro vicino meridionale, come al più sviluppato e più liberale dei due.

Mentre cibo ed energia venivano sottoposti a razionamenti sempre più duri in Romania (come parte della politica di Ceausescu per eliminare il debito estero), i Rumeni che vivevano vicino al confine incominciarono ad attraversare il Danubio per andare a Ruse a comprare cibo, petrolio e altri prodotti. Iniziarono anche a guardare la televisione bulgara, per evadere dalla TV Rumena, gestita dallo Stato, che proponeva una ampollosa dieta di discorsi di Ceausescu e di propaganda comunista.

L’avvento della democrazia peggiora solo le cose

L’avvento della libertà politica sia in Romania che in Bulgaria nel 1989, ironicamente, ha messo fine a questo periodo di tentato riavvicinamento. Le difficili riforme interne assorbirono le energie di entrambi i Paesi fino ad escludere pressoché qualsiasi altra cosa e li divisero ulteriormente.

Quando le due Nazioni iniziarono a competere per l’approvazione di UE ed USA, prestarono sempre meno attenzione l’una all’altra. Quando i media da entrambe le parti scrivevano dello stato confinante, era solitamente in termini negativi, per descriverne i problemi politici ed economici.

La stampa Rumena sviluppò il concetto che la Bulgaria era un Paese povero che era arrivato a dipendere dal supporto finanziario dell’UE. Ciò accrebbe il senso di superiorità e l’arroganza in Romania. Anche i media bulgari si concentrarono sulle disgrazie dei loro vicini ed adottarono un simile tono di superiorità. Una delle insinuazioni preferite era che la Romania sopravviveva solo grazie all’aiuto di altri Stati latini, come Francia, Italia, Spagna e Portogallo.

La crescente attenzione di entrambi i Paesi verso l’adesione all’UE non riuscì ad unirli. Viceversa, i media delle due parti sottolinearono l’aspetto della competizione per il raggiungimento di uno scopo comune.

Durante il procedere dei negoziati con l’UE, per esempio, i media bulgari protestarono contro la decisione di accorpare il proprio Paese alla Romania, sostenendo che il più lento progresso dei loro vicini avrebbe potuto ritardare l’ammissione della Bulgaria al consesso. Facevano intendere che la Bulgaria stava trainando la Romania nell’Unione Europea.

Quando la Romania concluse i suoi negoziati, i media bulgari ebbero ancora qualcosa da ridire, cioè che la Romania aveva accettato delle condizioni sfavorevoli solo per riuscire a chiudere in tempo i colloqui con l’UE.

A dispetto di questo scenario di negatività e competizione, comunque, le due nazioni si sono gradualmente trovate a cooperare maggiormente, e ad accantonare nel corso del processo le loro visioni stereotipate ed inadeguate.

Come ha ricordato Emil Vutchev, “Al mio primo viaggio in Romania, ho giocato a un gioco: trova le dieci differenze. Ho concluso che in effetti non c’erano differenze drammatiche. Per esempio, la Bulgaria ha delle strade migliori ma la Romania ha dei migliori ospedali.”

L’Europa aiuta a risolvere la querelle sull’inquinamento

Un progetto che simbolizza l’arrivo congiunto di Romania e Bulgaria sotto gli auspici dell’UE è la formazione della cosiddetta “Euro-Regione” che collega la città rumena di Giurgiu con Ruse in Bulgaria.

Creata nel 2001, comprende un pacchetto di interventi di cooperazione tra le due città, che consiste principalmente in commissioni congiunte sull’ecologia e la sanità, che gestiscono una serie di problematiche ambientali, di prevenzione sanitaria e veterinaria. Le commissioni si incontrano ogni tre mesi per affrontare tutti i problemi intorno a un tavolo e per farne uscire raccomandazioni alle amministrazioni locali su come gestirli. Una iniziativa è stata quella di sviluppare un piano regolatore armonico per Ruse e Giurgiu, il che significherà tracciare progetti di infrastrutture comuni.

Tutto questo segna un completo cambiamento dalla rancorosità degli anni ‘90, quando le due città erano bloccate in quello che sembrava un’insanabile disputa riguardo all’inquinamento dell’aria.

Allora, Ruse, Nikopol e Svisthov in Bulgaria accusavano Giurgiu, Turnu Magurele e Zimnicea al di là del Danubio di avvelenare sistematicamente la loro aria - e viceversa.

La Romania e la Bulgaria hanno una lunga tradizione di accuse “botta e risposta” sull’inquinamento derivante dagli stabilimenti industriali sul Danubio, che data fin dall’era comunista, quando i due Paesi erano impegnati in una rapida industrializzazione.

Per anni, Bulgaria e Romania in particolare si sono scambiate aspre parole sull’attività di una fabbrica chimica rumena nel porto sul Danubio di Turnu Magurele.

I media bulgari e i le autorità locali di Nikopol sostenevano insistentemente che l’alto livello di ammoniaca nell’aria fosse il risultato dell’attività dello stabilimento rumeno.

La Romania protestò, dicendo che i Bulgari esageravano il problema. Contraccambiò anche, protestando che nubi tossiche provenienti dalla Bulgaria venivano trasportate dai venti sul porto rumeno sul Danubio di Zimnicea.

Anche recentemente, nel 2000, il ministero romeno dell’Ambiente sostenne che l’inquinamento da acido solforico proveniente dallo stabilimento tessile nella città bulgara di Svishtov attraversava il fiume e andava a colpire Zimnicea.

Ma dopo circa 15 anni di contese verbali sull’inquinamento di aria e acqua, l’ Europa sta ora aiutando a porre fine a questa rancorosa disputa. La soluzione non sta nel decidere “chi ha ragione”, ma nell’imposizione di più alti standard ambientali ad entrambi i contendenti. Messi sotto pressione da Bruxelles, sia la Bulgaria che la Romania hanno dovuto aggiornare i loro controlli sull’ambiente. Come risultato, lo stabilimento di Turnu è stato chiuso per mesi mentre veniva migliorata la sua attrezzatura e, quando fu privatizzato, i nuovi proprietari furono obbligati ad adeguarsi agli standard antinquinamento dell’UE.

Gli stessi standard vengono ora applicati a tutte le fabbriche, da entrambe le parti della frontiera costituita dal Danubio, se esse vogliono rimanere in attività dopo che i due Stati si saranno uniti all’UE nel 2007.

Finalmente un termine allo spreco delle guerre di energia

L’energia è un altro tradizionale campo di battaglia tra i due Paesi. Tuttora resta fonte di controversie. Ma si è dato avvio ad un dialogo interstatale su un certo numero di casi, il che accresce la speranza di più positivi sviluppi, ed è un esempio di come le relazioni bilaterali possono trarre beneficio dalle riforme orientate all’UE.

Come per l’inquinamento, la tensione sull’energia è cresciuta all’inizio degli anni ‘90. Il caso contingente erano le richieste, da parte dell’UE, che la Bulgaria chiudesse quattro dei sei reattori della sua centrale elettrica nucleare di Kozloduy. Questo fu posto come precondizione all’avvio dei colloqui per l’adesione.

L’UE disse che i reattori erano vecchi e non potevano essere aggiornati. Ma la richiesta fu uno shock per la Bulgaria che ricavava più del 40 per cento della sua energia da quello stabilimento, sito sul confine nord con la Romania, la cui produzione è importante sia per il consumo interno bulgaro, sia per le esportazioni, dato che fornisce energia a Grecia, Turchia, Albania e Macedonia.

Mentre la Bulgaria viveva la prematura chiusura di gran parte dei reattori di Kozloduy come un vero colpo, la Romania cercava di sfruttare la situazione, e di assumere il controllo del mercato energetico regionale.

Bucarest annunciò subito che per anni Sofia aveva bloccato i progetti rumeni di esportare elettricità nei Balcani, tenendola fuori dal mercato regionale imponendo tasse eccessive per il transito dell’energia attraverso il suo territorio.

In risposta, la Bulgaria accusò la Romania di condurre una campagna diffamatoria e denunciò la richiesta di chiusura di Kozloduy come parte di una congiura occidentale. Il quotidiano bulgaro “24 Chassa”, per esempio, nel 1999 sostenne che compagnie francesi e canadesi progettavano di investire nella centrale nucleare rumena di Cernavoda per assicurarsi che la Romania “rimpiazzasse la Bulgaria come fornitrice d’energia dei Balcani”. Molti altri media fecero eco alla supposizione.

I giornali bulgari sottolinearono anche le scarse prestazioni della Romania per quanto riguardava la protezione dell’infanzia e le riforme di mercato – ambedue criteri UE per i colloqui d’adesione – insistendo sul fatto che la Romania si occupasse di quei problemi prima di intervenire sui problemi energetici della Bulgaria.

Alla fine, la Bulgaria accettò di chiudere i quattro reattori obsoleti della centrale. Comunque, determinata ad impedire che il mercato regionale dell’energia cadesse in mani rumene, annunciò il progetto di costruire una nuova centrale a Belene, a 13 chilometri dal confine rumeno.

Benché la maggior parte degli osservatori locali dubitasse che ci fossero concrete ragioni economiche per un tale sforzo, Sofia procedette con la preparazione di uno studio sull’impatto ambientale del progetto.

La Romania rispose con rabbia. Nel settembre 2004, ONG rumene dimostrarono contro il progetto della centrale nucleare a Belene, denunciando la prospettiva futura di “un’altra Chernobyl”.

Bucarest resta preoccupata dell’impatto ambientale del progetto e insiste che rispetti gli standard europei. Ma come nella disputa sull’inquinamento, la chiave sembra risiedere nell’armonizzare gli standard di entrambi i Paesi ai requisiti europei. Quando entrerà nell’UE nel 2007, la Bulgaria non potrà continuare a costruire nuove centrali nucleari, a meno che esse non ottemperino ad alti standard di sicurezza. Nello stesso tempo, Sofia non potrà più continuare a bloccare la penetrazione rumena sul mercato energetico dei Balcani. Un segno che le relazioni sono in corso di miglioramento riguardo a questa spinosa questione è giunto alla fine dell’anno scorso, con la formazione di un gruppo di esperti congiunto per analizzare il progetto della centrale nucleare bulgara.

L’anno precedente, alla fine del 2003, i due Stati si accordarono anche per liberalizzare i loro mercati energetici, a partire da metà del 2004, e per consentire ai rispettivi enti pubblici preposti all’energia l’accesso alle reciproche infrastrutture. Sono anche stati annunciati piani per collegare l’intera rete energetica dei Balcani alla principale rete europea (a cui la Romania è già connessa).

Anche se per il momento i negoziati sull’energia sono stati chiusi, Romania and Bulgaria devono ancora lavorare sulla questione, secondo il rapporto della Commissione Europea aggiornato ad ottobre 2004.

Ma tutti e due i stanno facendo passi da gigante nel modernizzare le loro centrali nucleari con un forte aiuto dell’UE. Nel dicembre 2002, la Bulgaria fermò i reattori 1 e 2 a Kozloduy e chiuderà le unità 3 e 4 nel 2006. NeI frattempo, sta modernizzando i due reattori più recenti con un supporto finanziario dell’UE nell’ordine dei 500 milioni di euro.

L’unica centrale nucleare della Romania, a Cernavoda sul Danubio, che fornisce circa il 10 per cento dell’elettricità del Paese, sarà anch’essa completata ed ammodernata, con una seconda unità che entrerà in funzione nel 2007. In marzo 2004, la CE approvò un prestito di 223.5 milioni di euro per supportare l’operatore rumeno dell’energia nucleare.

Il secondo ponte sul Danubio

Una terza area di conflitto, che una combinazione di aiuto, pressioni e mediazioni da parte dell’UE sta aiutando a risolvere, riguarda il secondo ponte sul Danubio, a lungo atteso.

Ma la Bulgaria e la Romania, significativamente, possiedono un solo ponte lungo i 500 chilometri del loro confine fluviale, e questa struttura è anche il loro unico collegamento stradale.

Questo isolato monumento dell’amicizia socialista tra Romania e Bulgaria ha ora 50 anni ed è pesantemente congestionato – le due corsie stradali e ferroviarie essendo completamente inadeguate per l’accresciuto volume di traffico.

Trovandosi a sud di Bucarest ma circa 300 km a est di Sofia, la sua posizione è molto sconveniente per i Bulgari che cercano di arrivare in Europa Centrale attraversando la Romania. Come risultato, la maggioranza dei Bulgari, così come la maggior parte dei viaggiatori provenienti dall’Asia Minore e dal Medio Oriente, prendono la strada che attraversa la Serbia e il Montenegro. I due Paesi hanno incominciato a pianificare la costruzione di un secondo ponte più di dieci anni fa, ma i disaccordi e la mancanza di fondi hanno a lungo ostacolato il progetto.

Il lavoro fu rimandato per otto anni, mentre Bulgaria e Romania disputavano sulla sua localizzazione. La Bulgaria voleva un sito più a monte e la Romania un sito più a valle, ognuna sperando di aumentare il livello di traffico stradale che attraversa il proprio territorio.

Ancora una volta, le pressioni dell’UE unite all’assistenza finanziaria sono risultate in un accordo, raggiunto nel 2003, per collegare Vidin in Bulgaria e Calafat in Romania. Il ponte ha un costo stimato di 230 milioni di euro e sarà completato nel 2006. Nel febbraio di quest’anno l’Unione Europea ha annunciato che accorderà alla Bulgaria 70 milioni di euro per aiutarla a costruire il nuovo ponte, tramite lo Strumento per le Politiche Strutturali per il Pre-Accesso dell’UE, ISPA, che supporta i progetti infrastrutturali negli Stati che chiedono l’adesione.

Il ponte tra Vidin e Calafat avrà due corsie stradali ed un binario ferroviario per ognuno dei sensi di marcia. Entrerà a far parte di uno dei principali corridoi viari dell’UE, il Corridoio IV, che collega Dresda in Germania con Salonicco in Grecia ed Istanbul in Turchia.

Gli imprenditori come Ivan Zhuvetov, proprietario di un antico negozio a Vidin, sulla sponda bulgara, attendono avidamente il nuovo collegamento. Egli si reca spesso a Calafat ma attualmente può scegliere solo tra un piccolo traghetto bulgaro, che parte senza orari precisi, e un vecchio battello rumeno. “Salirvi a bordo è una cosa più adatta ad amanti di sport estremi che a uomini d’affari,” ha detto. Gli abitanti di Vidin si attendono grandi benefici dall’accresciuto traffico e dalla accresciuta cooperazione che risulteranno dall’apertura del nuovo ponte.

A Calafat, lo scoramento per la povertà in cui versa la maggioranza della popolazione locale sovrasta in gran parte il pubblico entusiasmo per il nuovo ponte. “È una buona notizia per i politici, ma non per me,” ha detto Gabriela Mocanu, una casalinga del posto.

Ma se molti residenti sono indifferenti, non lo è il mondo degli affari. La notizia della costruzione del secondo ponte ha portato alle stelle i prezzi delle proprietà immobiliari sulla sponda rumena. “Noi ci aspettiamo un accresciuto interesse da parte degli investitori stranieri, per comprare proprietà o intraprendere attività nella regione,” ha detto Petre Calin, un locale agente immobiliare.

“Io spero che l’integrazione nell’Unione Europea riporterà la prosperità che la Romania aveva prima,” ha detto Ion Popica, un tassista di Calafat. “Spero di poter presto attraversare il nuovo ponte e di fare un bel po’ di soldi trasportando turisti e uomini d’affari.”

Due vicini iniziano a conoscersi in Europa

Inquinamento, energia e il ponte sul Danubio sono solo alcune delle aree in cui un comune coinvolgimento nel progetto europeo ha aiutato due stati confinanti, a lungo divisi dal sospetto, dal pregiudizio e da un muro d’ignoranza, a superare le differenze e a lavorare insieme.

I sondaggi d’opinione mostrano che il desiderio di un comune futuro europeo unisce i due popoli. Più di due terzi dei Rumeni e dei Bulgari approvano l’adesione all’UE, principalmente perché la vedono come una garanzia di futura sicurezza e crescita dopo che 40 anni di comunismo li hanno lasciati in una condizione di arretratezza rispetto all’Europa Occidentale.

Ma mentre i due Paesi stanno scoprendo (o meglio, riscoprendo) i loro legami con la più ampia famiglia europea, essi stanno anche scoprendosi a vicenda – forse per la prima volta. Una combinazione di pressioni politiche dell’UE, scopi comuni e una comune agenda di riforme ha portato a questo positivo cambiamento.

Per il momento, il cambiamento rimane largamente guidato dalla politica o dagli affari, ma ci sono segni importanti che l’interesse tra le due nazioni sta crescendo anche al livello della gente comune.

“C’è bisogno di una rinascita degli scambi economici tra Romania e Bulgaria,” ha detto Daniel Cain. “Infrastrutture e investimenti è ciò di cui c’è ora maggiormente bisogno nella regione, e l’UE deve giocare il ruolo principale in questo processo. Gli anni migliori devono ancora venire.”

*Albena Shkodrova e Marian Chiriac sono direttori di progetto per IWPR, rispettivamente a Sofia e a Bucarest. Sono anche direttori della Rete di Giornalismo d’Inchiesta sui Balcani di IWPR, BIRN, di recente costituzione. Vanya Miteva, giornalista freelance di Vidin, ha contribuito a questo articolo


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