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Srebrenica che non è Prijedor

29.04.2005    scrive Michele Nardelli

Sead Jakupovic, dirigente di una organizzazione non governativa per il ritorno dei Bosgnacchi a Prijedor, spiega a Osservatorio sui Balcani perché in quell'area il rientro sta funzionando. E perché invece a Srebrenica la situazione è molto più complicata. E statica
Srebrenica (Foto di G.Fassino)
Sead Jakupovic, deputato presso la Dom Naroda (Camera dei Popoli) della Republika Srpska (RS), è nato a Prijedor il 9 settembre 1954. Laureato in ingegneria chimica, prima della guerra era dirigente della Celpak (produzione di carta) e ispettore della sicurezza sul lavoro per 17 municipalità. Internato nei campi di concentramento di Omarska e Maniaca, all'inizio del 1993 riesce a riparare in Inghilterra grazie all'UNHCR (Alto Commissariato per i Rifugiati). Nel 1996 ritorna in Bosnia, a Sanski Most, con la moglie e i tre figli. Inizia a lavorare presso l'UMCOR [United Methodist Committee of Relief] per poi fondare il Dipartimento per lo sviluppo e la ricostruzione della Municipalità di Sanski Most. Nel 1998 rientra a Prijedor, dove viene eletto vice presidente della giunta comunale della città. Molto attivo nel settore non governativo, ha cercato di sostenere il ritorno dei Bosgnacchi anche a Srebrenica e nella Bosnia orientale


Come ricordi la fase iniziale del tuo lavoro a Prijedor, nel 1998?

In quel periodo il mio lavoro è stato quello di coinvolgere le organizzazioni internazionali per il ritorno dei rifugiati a Prijedor. E' stato un periodo molto duro per i musulmani di Prijedor, poiché il partito SDS [Partito Democratico Serbo, ndr] era molto forte. Per questo abbiamo organizzato alcuni gruppi di persone a Sanski Most e abbiamo registrato una ong [organizzazione non governative, ndr], la "Fondazione per il ritorno e la ricostruzione Prijedor 98". Attraverso questa organizzazione abbiamo fatto progetti e richiesto finanziamenti per le case, le infrastrutture e le scuole, alle organizzazioni internazionali.

Sette anni dopo, qual è la situazione dei ritorni a Prijedor?

Oggi in Prijedor abbiamo circa 20.000 ritornati. Abbiamo aiutato la ricostruzione di più di 5.000 case, quasi tutte la scuole, ambulatori, acquedotti, e ora stiamo cercando di aiutare a rendere sostenibile la vita delle persone. Cioè li aiutiamo a realizzare progetti di impresa e di sviluppo per permettere loro di ricevere finanziamenti per creare lavoro, soprattutto nel settore agricolo, che ora è il settore di maggior interesse per i ritornati. Durante questo periodo abbiamo aiutato anche i rifugiati serbi a ritornare, soprattutto nella regione di Dabar (che appartiene alla Municipalità di Sanski Most), Bosanska Bojna (Velika Kladusa), Pritoka (Bihac) e nella regione di Bugojno.

Qual è stato invece il tuo ruolo nel processo di ritorno delle popolazioni bosgnacche a Srebrenica?

USAID [la cooperazione governativa statunitense, ndr] durante la cerimonia di inaugurazione dell'illuminazione nell'area Kamicani e Kevljani (Prijedor) mi ha chiesto di andare a Srebrenica per fondare un'organizzazione tipo la ‘Fondazione' per aiutare il processo di ritorno a Srebrenica, per avere là delle persone locali che potessero prendere la vita nelle proprie mani e utilizzare i finanziamenti delle organizzazioni internazionali. Sono stato a Srebrenica molte volte, ho visitato molti villaggi e ho visto che la situazione nella regione è molto difficile. Ho parlato con molte persone a Srebrenica, ma sfortunatamente non ho trovato un modo per creare una organizzazione locale simile alla mia a Prijedor.

Ho fatto in modo che l'organizzazione Bauern helfen Bauern (Austria), che ha aiutato molto a Prijedor nelle fasi del ritorno con aiuti diretti soprattutto in alimentari, aprisse un proprio ufficio a Srebrenica, e più volte sono andato lì con loro.

Cos'è cambiato in questa città dalla fine della guerra ad oggi?

Cambiamenti ne sono avvenuti, ma in misura non sufficiente. A Srebrenica le persone continuano a vivere nelle case distrutte e nelle tende e molti di loro ancora vivono nei centri collettivi nella Federazione o in sistemazioni alternative in Tuzla, Zenica, Sarajevo e altre città della Federazione. Ho conosciuto a Bratunac un'associazione di donne molto interessante, che opera anche a Srebrenica: penso che per questa città ci sia una possibilità di sopravvivere solo se la comunità internazionale e il governo di BiH vogliono realizzare una vita normale a Srebrenica con una strategia chiara e precisa.

Quali difficoltà hai incontrato nell'avviare questo processo di ritorno rispetto a Prijedor?

Ho visto che il problema più grande a Srebrenica, e in generale nella Bosnia Orientale, è che le persone che rappresentano la comunità e che dovrebbero essere i leader del processo di ritorno in quest'area lavorano e vivono a Sarajevo e Tuzla, o altre città della Federazione, e questo è un esempio negativo per le persone che dovrebbero ritornare. L'esempio di Prijedor è molto positivo perché i leader del ritorno nella Municipalità di Prijedor sono ritornati per primi, a differenza della Bosnia Orientale. Penso che per Srebrenica noi tutti (locali e comunità internazionale) dobbiamo essere meglio organizzati: il mio suggerimento per la comunità internazionale è di sviluppare una strategia per lo sviluppo della regione (Srebrenica, Bratunac e Milici) indicando esattamente il numero della case, il numero delle scuole, strade, impianti di illuminazione, settori per lo sviluppo economico. Da questa strategia dovrebbero nascere dei programmi e da qui i progetti che il governo locale e la comunità internazionale dovrebbero sostenere. Altrimenti ancora per 10 anni continueremo a parlare parlare parlare, e le persone di Srebrenica non vedranno niente, come adesso. La comunità internazionale dovrebbe definire una strategia, individuando le persone adatte e formandole affinché possano prendere la situazione nelle proprie mani.

Intorno a Srebrenica c'è molta politica, mentre non c'è un reale desiderio di aiutare quella comunità. Il mio suggerimento per il governo della BiH e per la comunità internazionale è che si fondi una commissione per lo sviluppo di Srebrenica, come dicevo, per creare strategie, programmi, progetti e la loro implementazione. Le altre cose sono solo politica, politica, politica.

Srebrenica (Foto di G.Fassino)
Qual è stato il tuo rapporto con gli amministratori della municipalità di Srebrenica?

Ho avuto contatti con il sindaco e altre persone dell'amministrazione, che sono state solo delle relazioni formali. Non ho trovato un atteggiamento pronto ad accettare consigli e aiuto da una persona che proviene da una regione diversa. Se qualcuno vuole aiutare seriamente Srebrenica sono pronto a far parte della squadra che può fare un buon lavoro per quella regione. Penso che il governo locale e le organizzazioni internazionali dovrebbero essere più seri e trovare modalità e persone per fare meglio e più per Srebrenica.

Come valuti il ruolo della comunità internazionale in questa municipalità?

La comunità internazionale a Srebrenica ha investito molte risorse, ma non ci sono risultati rispetto ai finanziamenti. Quando a Prijedor c'è stato un intervento molto grande per la ricostruzione delle case, abbiamo messo in piedi il nostro RRTF (Return and Reconstruction Task Force), un organismo dove OHR, OSCE, SFOR Cimic Centre, UNHCR, organizzazioni internazionali che intendevano investire a Prijedor, Fondazione '98, a volte anche il governo locale, si ritrovavano regolarmente per parlare dei problemi, delle risorse disponibili: lì abbiamo indicato le nostre priorità e le proposte per i progetti da realizzare. A Srebrenica non c'è coordinamento tra le organizzazioni internazionali e non esiste un'organizzazione locale come Fondazione '98, che ha raccolto i problemi e i bisogni della popolazione rientrata.

Il problema è che la comunità internazionale non si è coordinata e non ha realizzato una valutazione appropriata della situazione, ma questo è dovuto al fatto che non esisteva una forte organizzazione locale che poteva fornire le informazioni alla comunità internazionale. Ce ne sono alcune ma non sono buone, e non c'è una buona comunicazione tra di loro.

Qual è l'immagine che ti viene in mente pensando alla Srebrenica di oggi?

L'immagine che mi viene è quella di villaggi lontani chilometri dalla città, strade in cattive condizioni, case devastate, agricoltura senza equipaggiamento.

Molte volte mi trovo a paragonare Prijedor e Srebrenica, mi vien da dire che qui siamo molti passi avanti, e al tempo stesso mi intristisco pensando alla situazione di Srebrenica, anche perché mi sento molto vicino a quella gente. La comunità internazionale e il governo di BiH devono fare tutto il possibile affinché le organizzazioni delle donne e le ong che organizzano dimostrazioni a Tuzla e Sarajevo possano organizzare queste attività a Srebrenica stessa, che possano quindi ritornare e promuovere le loro rivendicazioni dal posto dove vivono, non come profughi da Tuzla o Sarajevo.

Ci sono stati esempi positivi di collaborazione fra le diverse nazionalità?

Quando sono stato a Srebrenica ho visto poche persone comunicare tra loro, come era a Prijedor nel 1998. Anche in base alla nostra esperienza posso però dire di non essere pessimista, purché si aiutino le persone a realizzare una vita normale. E' molto più facile lavorare sulla comunicazione tra musulmani e serbi, se i rientranti avranno condizioni buone per vivere (case, ambulatori, scuole), altrimenti continueranno ad odiare i serbi per la distruzione delle loro case, proprietà, etc. Ho conosciuto due organizzazioni di donne, una musulmana e una serba, che lavoravano insieme. Hanno avviato insieme coltivazioni nelle serre. Ma hanno bisogno di un maggior supporto. Ad esempio, bisognerebbe che la comunità internazionale sostenesse quei progetti che hanno fra i loro requisiti la cooperazione tra le due nazionalità.

E poi un altro suggerimento: quello di aprire un'Agenzia della Democrazia Locale anche lì, a Srebrenica.


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