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mercoledì 07 settembre 2022 17:16

 

Srebrenica: un difficile rientro

28.04.2005    scrivono Luka Zanoni e Andrea Rossini

Una famiglia di sole donne e una famiglia di soli uomini, due storie di vita speculari, ma al contempo analoghe. In comune hanno un difficile rientro a Srebrenica e grosse difficiltà economiche, in una città dove l'economia è totalmente ferma. Due nostre interviste raccolte a Srebrenica
Ibrima con la sua famiglia (foto G. Fassino)
Ibrima ha cinque figli. Il marito è morto durante la caduta di Srebrenica. È tornata quattro anni fa, coi figli e la madre, malata di diabete. Prima erano profughi a Vozuca. Oggi abitano in una modesta casa fuori dal centro della città. Per arrivarci occorre attraversare un campo fangoso e un traballante ponticello di legno. Una scala all'ingresso porta al primo piano della casa, nelle due stanze riscaldate dalla stufa a legna, dove durante il giorno si raccoglie la famiglia. Quella di Ibrima è una voce tra le tante. Non c'è odio né rimpianto nelle sue parole, piuttosto la schiettezza e il disincanto di una donna sola e senza lavoro, sulle cui spalle pesa un'intera famiglia, e che nonostante tutto ha deciso di tornare nella propria casa.


Da quanto tempo siete qua?

Questo è il quarto anno. Prima sono venuta io da sola, per un anno, finché non abbiamo sistemato la casa.

Questa era la vostra casa anche prima?



Dove eravate come profughi?

A Vozuca.

Lavoravi prima della guerra?

No, non era necessario, c'era mio marito che lavorava e io curavo la casa. Quando è caduta Srebrenica mi sono nati due figli.

E adesso, lavori?

No! Non c'è lavoro qui. Spero nella fabbrica di pasta che hanno in progetto di fare qui a Srebrenica.

Quel progetto è la vostra speranza?

Ho la speranza, ma non posso dire di più... ho cinque figli, vanno a scuola qui a Srebrenica... nessuno è mai venuto a chiederci, come viviamo, cosa facciamo se riusciamo a vivere...

Ricevete aiuti?

Macché! Devo andare io da sola a tagliare la legna, con cinque figli... nessuno che dica, dai aiutiamo quelle famiglie... ero tra le prime... dicevo dai andrà meglio, andrà meglio, ma ogni giorno è peggio.

Chi vi ha aiutato a sistemare la casa?

Mi sembra un'organizzazione olandese. Ma non è stata fatta come si deve, entra acqua dalle pareti... e se hai i soldi puoi riparare, altrimenti resti a guardare cosa è stato fatto.

E aiuti dallo stato?

No. Finché ci sono le elezioni tutti si danno da fare, solo per avere i voti e la poltrona, poi ti voltano le spalle. E sarà così anche alle prossime elezioni, prometteranno qualcosa... poi quando passano le elezioni, non succede niente.

No, non andremo più a votare, finché continuano a promettere belle cose e poi non fanno nulla. Pensano solo ai propri figli, e non badano agli altri... come faccio quando non ho la possibilità di dare ai bambini quello che vogliono?

Avete problemi con i Serbi che vivono qui?

No, con le altre nazionalità non ne abbiamo. Ognuno va per la sua strada. Io sono arrivata qui con cinque bambini. Nessuno mi ha mai detto mezza parola. Nemmeno coi vicini, non ho mai avuto problemi. Ecco, i figli vanno a scuola tranquillamente e non ci sono mai stati problemi.

C'è almeno una cosa positiva che puoi dire su Srebrenica oggi?

Non saprei proprio cosa dire. L'unica cosa è che i miei figli sono sani, ecco questa è l'unica cosa positiva.


Salim (foto G. Fassino)
Salim ha 53 anni è vedovo, vive con il figlio Safet di 21 anni. Da diverso tempo sono rientrati a Srebrenica ma non hanno lavoro, non ricevono aiuti se non dalla famiglia, dai loro parenti stretti che sono emigrati all’estero. Beviamo un caffè insieme e ci raccontano le loro difficoltà. I loro sguardi sono tristi, a volte lontani. Secondo loro dovranno passare decenni prima che Srebrenica ritorni ad essere una città normale.

Avete qualche aiuto sociale?

No, i nostri in comune litigano per un sacco di patate, per 25 chili di patate.

Come avete ricostruito la casa?

La casa me l'ha ricostruita la THV, un'organizzazione internazionale.

Per quanto riguarda la sicurezza, incidenti vari, non ci sono problemi qui?

No, non ci sono. Qui i vicini sono tutti quelli che c'erano prima. Qui c'è una casa serba, là un'altra.

Sono profughi?

No, gente di qua. Per quanto riguarda il vicinato non c'è nulla da dire. Proprio quando mi sono trasferito qua, non avevo nemmeno l'elettricità, la vicina, nonna Milena, che è morta, mi disse: non è possibile che il mio vicino stia al buio… e mi ha dato i cavi per l'elettricità. Da questo punto di vista va bene. Ma non c'è lavoro. Vedete la città com'è... Ho cercato anche delle donazioni, ho chiesto di avere alcune pecore, perché ho un villaggio su in montagna non lontano da Srebrenica. Perché su al villaggio ho tutto, c'è anche l'elettricità, non mi manca nulla. Volevo allevare del bestiame e venderlo, ma non mi hanno dato nemmeno questo. Non danno il bestiame a chi ha la casa in città. Devo scegliere o la casa in città o la fattoria al villaggio.

Era meglio quando stavate a Vozuca?

No, non c'è posto migliore delle propria casa.

Quanta gente è tornata?

Dallo scorso anno non è tornato nessuno che io conosca. Ecco vedete quante case ci sono, tutte ricostruite, ma sono vuote.

Quindi la gente, ricostruisce la casa e poi non la abita?

Sì, fanno così. Ricostruiscono la casa e poi se ne vanno. Perché dovrebbero tornare? Nemmeno una fabbrica di Srebrenica ha iniziato a funzionare. La Guber era una azienda fortissima, ma adesso non funziona niente e nessuno si preoccupa. Almeno per i giovani, per la gioventù.
Per me è terribile quando mio figlio deve andare in centro e mi dice, dai papà dammi un marco per bere un tea o un caffè al bar. Come se mi chiedesse chissà che cosa, ma io non ho nemmeno quello da dargli. Lui se ne andrà da questa città...

Se posso chiedervelo, da dove vi arrivano i soldi?

Ce lo mandano dall'America, un po' da Sarajevo, dalla famiglia. Mia figlia vive in America.
Mia moglie è morta nel 1999, e adesso è difficile trovare un'altra moglie. Non ho nemmeno la pensione! (sorride)
Qui non c'è futuro, non c'è possibilità... anche i dottori abbandonano Srebrenica... cosa devono fare? Chi vuoi che voglia vivere qui?

Ci sono persone che lavorano nella miniera?

Poche, cinque o sei... adesso è tornato il direttore che c'era prima. Ma non hanno le macchine, devono lavorare a mano...

Non c'è stata la privatizzazione?

No

Quindi è ancora proprietà dello stato?

Sì a livello della entità della RS

Vivono meglio quelli che stanno qui a Srebrenica o quelli che vivono nei villaggi?

Quelli che vivono nei villaggi, almeno hanno il bestiame, hanno di che lavorare.

Safet e amici (foto G. Fassino)
Safet come passi il tempo adesso che non vai più a scuola?

Così come viene. Ci sono pochi bar, non è più come prima. Si va poco nei locali. Ho degli amici che vengono qui da me...

Non vi incontrate fra ragazzi di nazionalità diverse?

Dipende, non sono tutti uguali. Conosco due o tre ragazzi che sono bravi. Ma ci salutiamo e basta.

Pensate che Srebrenica possa ritornare come era prima?

Forse fra 20 o 30 anni.



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