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Colazione da Paddy

24.10.2005    Da Ginevra, scrive Andrea Rossini

Un incontro a Ginevra con l’Alto Rappresentante della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina. Paddy Ashdown annuncia che lascerà il proprio incarico il 31 gennaio prossimo, segnando simbolicamente la transizione dalla Bosnia di Dayton a quella di Bruxelles. Conversazione e nostra intervista
Paddy Ashdown interviene alla conferenza di Ginevra
Un Alto Rappresentante cordiale e disponibile ci accoglie di fronte ad una tazza di the nella hall dell’Hotel Wilson di Ginevra, per presentare e discutere i temi principali del discorso che avrebbe tenuto di fronte all’assemblea plenaria della conferenza “Dieci anni da Dayton e oltre”. Il tono rilassato è quello di chi, ormai sulla strada della pensione, sente di aver svolto la gran parte dei compiti per i quali era stato chiamato e lascia al proprio successore, che verrà nominato nelle prossime settimane, alcune raccomandazioni fondamentali a guisa di lascito testamentario. Ashdown annuncia infatti ufficialmente che lascerà l’ufficio di Alto Rappresentante il prossimo 31 gennaio. Il successore resterà in carica fino alle prossime elezioni, che si terranno in Bosnia Erzegovina nell’ottobre 2006, dopo di che l’Ufficio dell’Alto Rappresentante dovrebbe essere sostituito da una missione internazionale dimagrita e guidata da un Rappresentante Speciale dell’Unione Europea.

Proprio da Bruxelles è arrivata in questi giorni la notizia che per Ashdown rappresenta una sorta di coronamento del proprio mandato, cioè l’avviso positivo dato dalla Commissione all’apertura di negoziati per la firma di un Accordo di Associazione e Stabilizzazione (SAA) con la Bosnia Erzegovina. Secondo Ashdown, il Consiglio europeo potrebbe recepire la raccomandazione della Commissione nel prossimo incontro del 12 dicembre, aprendo così ufficialmente la fase dei negoziati che traghetterà la Bosnia dalla fase di Dayton a quella di Bruxelles. Proprio da qui inizia il suo racconto, di cui riportiamo una sintesi e l’intervista finale.

“Quando sono stato designato Alto Rappresentante tre anni e mezzo fa – esordisce Ashdown - mi ero posto tre obiettivi: porre le fondamenta della creazione dello Stato, porre il Paese irreversibilmente sulla strada per l’Europa, arrivare al punto in cui l’Ufficio dell’Alto Rappresentante non fosse più necessario, affinché la Bosnia Erzegovina diventasse una democrazia piena e sovrana”.

I progressi

“In Bosnia Erzegovina c’è oggi un sistema unico di tassazione, un unico sistema giudiziario, doganale, un unico sistema di intelligence responsabile di fronte al parlamento, c’è stata la unificazione di Mostar, ci sono forze armate uniche sotto il controllo dello Stato, abbiamo avviato il percorso che porterà alla creazione di una forza unica di polizia. Anche le competenze del governo centrale sono state rafforzate, con un Primo Ministro unico che non ruota più ogni otto mesi ma resta al potere per un mandato pieno, e un Consiglio dei Ministri ampliato da sei a nove ministeri. Questo è stato lo sforzo fatto verso la creazione delle strutture necessarie ad uno Stato europeo moderno fortemente decentralizzato”.

Sulla soglia dell’Europa

“Come conseguenza di questi progressi, e grazie al compromesso raggiunto sulla questione della unificazione delle forze di polizia nel Paese, oggi siamo al secondo punto, sulla soglia dell’Europa. Il Commissario Rehn ha detto che raccomanderà al Consiglio europeo l’apertura dei negoziati il prossimo 12 dicembre, e sono fiducioso del fatto che ce la faremo. Una volta varcata quella soglia non c’è modo di tornare indietro: questo passaggio marcherà la fine dell’era di Dayton e l’inizio dell’era di Bruxelles. Da qui in avanti non ci saranno più il bastone e la carota dell’Alto Rappresentante con i suoi “Bonn powers” [i poteri dell’Alto Rappresentante di far passare per decreto leggi e regolamenti o di rimuovere politici locali che ostruiscano il processo di pace, ndr] ma il potere magnetico di attrazione della UE da una parte e della Nato dall’altra”.

Dalla stabilizzazione alla transizione

“Il 90% dei problemi che affrontiamo oggi in Bosnia Erzegovina non hanno più a che vedere con il conflitto e la stabilizzazione, ma sono i problemi della transizione che hanno dovuto affrontare l’Ungheria, la Polonia o la Germania Est anni fa uscendo dal sistema comunista, cioè ad esempio la riforma dell’economia, la creazione di uno spazio politico e di un sistema giudiziario con standard europei”.

I Bonn Powers e l’Alto Rappresentante

“Ho sempre creduto che i Bonn Powers fossero necessari in questa fase di transizione, ma recano con sé un danno implicito: ogni volta che vengono utilizzati il vantaggio costituito dal progresso veloce si accompagna ad uno svantaggio, la creazione di dipendenza.

Oggi è arrivato il momento di porre fine ai ‘Bonn powers’, come da tempo raccomando alla comunità internazionale. Appena il Paese entrerà nel processo del SAA dovremo gradualmente abbandonare i ‘Bonn powers’, utilizzandoli unicamente per vicende legate al Tribunale Internazionale dell’Aja o a questioni fondamentali relative alla stabilizzazione.

La comunità internazionale nel corso del prossimo anno valuterà i progressi fatti e potrebbe fissare la data dell’ottobre 2006, in coincidenza con le prossime elezioni in Bosnia, per porre fine all’Ufficio dell’Alto Rappresentante, sostituendolo con un Rappresentante Speciale dell’Unione Europea, possibilmente senza Bonn Powers, sul modello di quello che c’è in Macedonia”.

Uno Stato senza la lealtà dei propri cittadini

“Terminerò il mio mandato il 31 gennaio prossimo. Il nome del mio successore verrà deciso nelle prossime settimane [indiscrezioni parlano di un possibile Alto Rappresentante italiano, ndr].

Il lavoro del mio successore sarà quello di rendere lo Stato e le istituzioni funzionali. Abbiamo utilizzato i meccanismi che Dayton consentiva per rafforzare lo Stato, ma non credo che potremo continuare con questo passo relativamente lento, dobbiamo accelerare il processo del cambiamento. I compromessi fatti a Dayton erano necessari, ma quell’Accordo ha portato ad eccessi insostenibili nel tentativo di soddisfare tutte le differenze di tipo etnico e religioso. E’ stato creato uno Stato non funzionale, con 13 Primi Ministri, 13 Ministri degli Interni, 13 della Sanità, 16 forze di polizia, un governo in ogni cantone e uno in Republika Srpska. Il risultato è uno Stato che spende il 70% delle tasse semplicemente per amministrare se stesso, mentre solo il 30% va ai cittadini. Uno stato che spende così tanto per i politici e l’amministrazione e così poco per sanità, pensioni, educazione, non avrà mai la lealtà dei cittadini.

La grossa questione che resta aperta per la stabilità della Bosnia Erzegovina è proprio questa, il fatto che questo Stato non ha ancora la lealtà dei due terzi per etnia, non per numeri, dei propri cittadini. La maggior parte dei Croati e dei Serbi non crede nello Stato bosniaco. Dieci anni fa hanno combattuto per impedirne l’esistenza, l’hanno accettato a fatica e ora capiscono che è l’unica cornice attraverso la quale possono raggiungere la meta che vogliono raggiungere, l’Europa, ma non provano un sentimento di lealtà nei confronti dello Stato.

L’identità con lo Stato non può avvenire per decreto, è un processo che si realizza quando lo Stato stesso riesce a garantire ai propri cittadini un sistema sanitario e scolastico decente, pensioni decenti, un sistema di sicurezza sociale decente, lavoro, servizi pubblici. Per questo c’è ancora moltissimo da fare, sia sul piano istituzionale che psicologico”.

Alcune domande

Durante le negoziazioni sulla questione della riforma della polizia è sembrato che in Republika Srpska (RS) anche partiti tradizionalmente più moderati, come l’SNSD (Partito Socialdemocratico Indipendente) di Dodik, prendessero posizioni più radicali e vicine ai nazionalisti dell’SDS (Partito Democratico Serbo). Quanto crede che la persistente latitanza di Karadzic e Mladic influenzi ancora la politica della RS e quanto il loro arresto potrebbe cambiare le cose?

Paddy Ashdown - La politica che noi abbiamo seguito li ha isolati sempre più. Quest’anno 10 ricercati sono stati trasferiti all’Aja dalle autorità serbe in Serbia o in RS, e questo è stato un grande successo. Ci stiamo però avvicinando al periodo elettorale. In un Paese lontano solo 10 anni da una guerra nella quale 250.000 persone sono state uccise, non è sorprendente che i politici utilizzino la carta radicale, quella della paura, per guidare i cittadini nelle urne. Questa crescente retorica nazionalista, tipica del periodo elettorale, è uno dei motivi per cui volevo concludere la questione della riforma della polizia adesso. Credo che a partire da gennaio dell’anno prossimo ogni possibilità di riforma, proprio a causa della campagna elettorale, sarà diminuita rispetto ad oggi. Questo riguarderà tutti i partiti, anche quelli che si definiscono riformatori ed europei, non solamente quelli nazionalisti.

Credo peraltro che Karadzic sia più vicino all’arresto ora rispetto al passato, che lui e Mladic siano più isolati e che il loro network di sostegno sia molto indebolito. La differenza tra Karadzic oggi e Karadzic diciamo 4 anni fa è che mentre allora era ancora sufficientemente potente per fermare le riforme, oggi non lo è più. Ma non c’è dubbio che i messaggi che Karadzic manda dalle montagne abbiano ancora un forte effetto nel rallentare il processo di riforme. Il momento in cui questi due saranno arrestati rappresenterà un vero momento di chiusura rispetto al periodo della guerra, che provocherà un enorme passo in avanti per il Paese.

Sarà davvero un passaggio fondamentale per la Bosnia post-conflitto?

Sì. Ho sempre detto che ci sarebbero stati tre grandi momenti di cesura per chiudere con il periodo della guerra. Il primo sarebbe stato la posa dell’ultima pietra dello Stari Most a Mostar, il secondo sarebbe avvenuto quando l’ultimo rifugiato che desiderasse tornare a casa lo potesse fare – e ora siamo abbastanza vicini a questo obiettivo – e il terzo è appunto l’arresto di questi latitanti.

La Bosnia e i Balcani si stanno muovendo verso l’Europa. L’Europa è pronta ad accoglierli dopo i fallimenti degli anni ’90?

Il fallimento dell’Europa nei primi anni ’90, morale e materiale, ha ancora un effetto enorme nel Paese, riverbera specialmente tra i Bosgnacchi. Oggi però la sensazione di impotenza dell’Europa sta diminuendo, soprattutto per l’enorme sforzo profuso in termini di investimenti. Quando poi è arrivata l’EUFOR a sostituire la forza militare di stabilizzazione (SFOR), ha fugato ogni dubbio. Oggi la maggioranza crede nell’Europa come futuro.

I referendum in Francia e Olanda hanno naturalmente provocato un’ondata di choc nel Paese, quella è stata la notte in cui Banja Luka ha votato contro la riforma della polizia. La gente si è effettivamente chiesta: ‘Siamo sulla strada per l’Europa, ma l’Europa ci vuole? Chiuderanno le porte?’

Io credo che gli Europei devono rendersi conto che esiste solo una colla che può tenere insieme questa regione sulla strada verso la stabilità, e questa colla è l’Europa. Se si toglie questa forza di attrazione, allora i Balcani sarebbero a rischio di tornare indietro verso la loro storia più recente, e questo sarebbe molto dannoso per l’intero continente. L’Europa non è conclusa senza i Balcani occidentali, perché c’è un buco nero nel mezzo. Come sappiamo dalla storia del secolo scorso, quel buco nero può creare l’infezione dell’instabilità ben al di fuori dei propri confini. E’ nel migliore interesse dell’Europa fare in modo che una regione instabile, senza legge, attraverso cui transitano il 70% delle donne trafficate, qualcosa come il 70% della droga che arriva nelle nostre città, sia integrata nell’Unione.

Ai miei amici dei Balcani voglio però dire che questa porta potrebbe chiudersi. C’è certamente un umore che sta cambiando nell’elettorato europeo, cercate di entrare in fretta e soprattutto non fatelo come dei mendicanti, implorando un atto di carità. Unitevi come regione, avete molto da offrire culturalmente, economicamente e da un punto di vista geopolitico. Non dimentichiamo che oggi la Bosnia rappresenta un potenziale ponte verso il mondo musulmano, verso un diverso tipo di Islam europeo, che esiste da 400 anni, non da 40 come quello che è arrivato con le recenti migrazioni. Quando lascerò la BiH passerò certamente molto del mio tempo visitando le cancellerie europee sostenendo l’ingresso di questi Paesi, è nel nostro interesse che questo avvenga il più presto possibile, non abbassiamo i nostri standard per loro ma facciamoli entrare al più presto possibile.

Lei ha assunto il suo incarico nel maggio 2002, sono trascorsi tre anni e mezzo. Farebbe ancora l’Alto Rappresentante?

E’ stato un grandissimo privilegio, estenuante, ma lo rifarei certamente. Questo è un grande Paese i cui abitanti ammiro moltissimo. Allo stesso tempo, è giusto che io me ne vada adesso? Credo di sì. Tornerò in Bosnia, ma come turista.

E’ soddisfatto di questi anni?

Io ho amato questa esperienza, se sia stato un successo o un fallimento lo decideranno gli altri.

A cosa pensa di dedicarsi dopo il 31 gennaio?

Al mio giardino…
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