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Fuori dalle miniere

06.02.2006   

Entro la fine del 2006, altri 13.000 minatori rumeni della Valle del Jiu perderanno il posto di lavoro. Per chi li ha preceduti, vivere fuori dai pozzi non è stato facile. Nascita e declino di un insediamento produttivo, sociale e politico. Da Transitions Online, nostra traduzione
Di Cristinela Ionescu*, Transitions Online, 12 gennaio 2006 (titolo originale: "Out of the pits")

Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta



Minatori rumeni [AFP]
Valle del Jiu, Romania - Per i Rumeni Valle del Jiu è sinonimo di minatori, ed anche del rude, talvolta violento potere di pressione politica di cui i minatori della valle hanno dato prova nel corso degli anni ‘90. Ma ora, nove anni dopo che i primi minatori furono lasciati a casa, altri 13.000 stanno per iniziare il loro ultimo anno nei pozzi, e ci sono segnali che indicano che lo faranno senza protestare.

I minatori ebbero il massimo momento di notorietà all'inizio degli anni '90, quando venivano trasportati nella capitale rumena, Bucarest, per schiacciare le dimostrazioni antigovernative degli studenti e degli intellettuali, oppure quando invasero la città per protestare violentemente contro le politiche del governo.

Prima di diventare truppe d'assalto, dapprima per il governo postrivoluzionario rumeno e poi per i suoi pericolosi oppositori, i minatori della Valle del Jiu venivano considerati come un modello dal regime di Nicolae Ceausescu. Durante gli anni ‘80 Ceausescu trasformò l'area, col sogno di crearvi un "perfetto" laboratorio sociale, mescolando gente proveniente da tutte le parti della Romania e di ogni tipo di estrazione etnica e sociale. I più erano attratti dai salari più elevati, ma per alcuni la Valle del Jiu era un luogo d'esilio, un posto usato come campo di rieducazione per i dissidenti anticomunisti.

Sotto molti aspetti l'esperimento ebbe successo. Le sei principali città minerarie della valle, Petrosani (la più grande, con una popolazione di 60.000 abitanti), Uricani, Vulcan, Aninoasa, Lupeni e Petrila furono trasformate in una omogenea società multiculturale, in cui la discriminazione etnica era estremamente rara. "Quando usciamo dalla miniera, alla luce del sole, siamo tutti neri", spiega Silviu Fieraru, un minatore che vive nella città di Petrosani.

Ma per molti l'esperimento fallì. Octavian Rusu, minatore nella città di Livezeni, ha detto che era venuto nella Valle del Jiu nel 1987 per fare soldi, ma che aveva gradualmente realizzato di non aver fatto una buona scelta. "Qui è troppo difficile crescere i miei bambini", dice Rusu, che ha 10 figli. "Lavorerò ancora qualche anno per fare abbastanza soldi per comprare un'automobile e costruire una casa in campagna". Vivere in quest'area era così difficile che pressoché nessuno è riuscito a ricavarne molto.

La Valle del Jiu, però, ha qualcosa che ti strega, dice Rusu. Secondo un detto locale, prosegue, chi beve l'acqua del fiume Jiu non se ne va mai più.

Per alcuni, questa potrebbe suonare come una maledizione. Dopo il 1989, l'industria delle miniere di carbone iniziò solo lentamente ad adeguarsi al nuovo assetto economico, con il crollo della produzione di ferro e acciaio, e le miniere statali della Valle del Jiu accumularono enormi perdite, che venivano sempre colmate dal governo. I governi post-comunisti ritardarono la ristrutturazione dell'industria estrattiva, una scelta politica che trasformò l'area in un ricco giacimento di voti.

Ma la situazione cambiò nel 1997. Alla fine del 1998 erano già stati licenziati 20.000 lavoratori, quasi la metà dei minatori della regione. L'ultima grande ondata di licenziamenti iniziò nel 2002, quando fu ripreso il programma di ristrutturazione. Tra il 2002 e il 2005 altri 3.800 minatori furono lasciati a casa. In tutto, il numero di minatori è stato ridotto di 27.000 unità.

Ulteriori pesanti colpi sono imminenti, con la Compania Nationala a Huilei, di proprietà dello Stato, intenzionata a licenziare 13.000 persone in 12 miniere entro il 2007.

Come le molte migliaia che li hanno preceduti, anche questi 13.000 dovranno lottare per rifarsi una vita in superficie.

Vivere di sopra

Quando il processo di ristrutturazione ebbe inizio, il governo tentò di mitigare la messa in mobilità dando ad ognuno dei minatori in esubero somme fino all'equivalente di 4.000 dollari. Nei negoziati i minatori ne chiesero 10.000 ma, anche così, 4.000 dollari era comunque allora una grossa somma in Romania. Non abituati a una simile ricchezza, i minatori licenziati spesero le loro indennità di licenziamento nell'arco di poche settimane, dando grandi feste che celebravano la fine di una vita di duro lavoro, oppure facendosi portare in taxi per diverse centinaia di chilometri, fino alle loro città natali, spesso nella Moldavia rumena. Un gran numero di loro rimase senza un soldo.

Molti dei minatori più giovani che avevano perso il posto pensarono di non avere altra scelta che tornare alle città e ai villaggi da cui erano venuti. Ma, come Fieraru, molti scoprirono di non potersi reintegrare nelle loro vecchie comunità. Perfino le famiglie non erano troppo felici di riaverli, dicono alcuni. "Si sono costruiti una vita senza di noi", dice Fieraru. "Noi non apparteniamo più a quei posti". Egli, come numerosi altri, è ritornato nella Valle del Jiu.

Altri sono andati in Ungheria e alcuni in Paesi dell'Europa occidentale, come il Portogallo, talvolta per lavorare in miniera, o in settori differenti dell'industria. Ma "noi Rumeni non siamo ben pagati all'estero, e non siamo rispettati, così facciamo i lavori più pesanti", dice Toader Vulc, che un tempo lavorava nella miniera di Aninoasa. Nel caso di Vulc, ciò significava cavare marmo in Portogallo per una frazione della paga locale, un lavoro così duro da suscitare lamentele perfino in un ex minatore. "Mi guardi le mani", dice. "Iniziano a farti male dopo appena un mese che fai quel lavoro".

Molti di quelli che sono rimasti o sono ritornati nella valle hanno cercato di aprire attività in proprio ma, non avendo familiarità con il capitalismo, la gestione d'impresa ed il lavoro d'ufficio, non sono riusciti a sistemarsi. Qualcuno ha aperto piccoli negozi o chioschi ma pochi hanno avuto successo come imprenditori privati, per non dire nessuno.

Imre Bobotzi, direttore del dipartimento di Hunedoara dell'Ufficio statale per l'Impiego, dice che il due per cento dei minatori licenziati hanno avviato imprese edili. Una piccola percentuale ha trovato un impiego, alcuni hanno trovato lavoro nello scavo dei tunnel, o in una grande compagnia locale che si occupa di sicurezza, lavorando allo stipendio minimo nazionale di 100 euro al mese. Il resto dei 27.000 minatori licenziati nel corso degli ultimi nove anni sono pensionati o disoccupati. Ufficialmente il tasso di disoccupazione nella regione è solo dell'11,9 per cento, ma in realtà è superiore al 40 per cento; molti minatori non si iscrivono al collocamento perché, dicono, non ne hanno fiducia.

Finora quindi l'Agenzia Nazionale per lo Sviluppo e l'Implementazione di Programmi per la Ricostruzione delle Aree Minerarie (ANDIPRZM), un'agenzia fondata quando la ristrutturazione ebbe inizio, ha avuto un impatto modesto.

Dalle miniere all'impresa?

Il compito principale dell'ANDIPRZM è quello di offrire un supporto finanziario ai minatori licenziati e alle piccole imprese da essi fondate nella regione. Negli ultimi anni il governo ha moltiplicato i suoi sforzi per un nuovo sviluppo economico. Nel 2004 il parlamento approvò una legge che fissava misure e piani di intervento per lo sviluppo della regione, rendendo centrale per il suo mandato l'obiettivo di ridurre l'impatto sociale dei licenziamenti, ed enfatizzando la necessità di un migliore coordinamento degli sforzi del governo, attraverso una commissione speciale incaricata di lavorare con la ANDIPRZM.

Bobotzi ritiene che, senza un massiccio investimento, la regione non ha possibilità di risollevarsi. "Stiamo aspettando che nella Valle del Jiu arrivino gli investitori stranieri", dice Bobotzi.

Storicamente, gli stranieri hanno giocato una parte importante nello sviluppo della regione. Bisogna tornare al 1840, quando l'attività principale nell'area era l'allevamento di bestiame, e compagnie polacche, ceche e tedesche diedero l'avvio alla trasformazione della regione in un centro dell'industria mineraria, portando con sé lavoratori provenienti da ogni angolo dell'Impero Asburgico.

Finora però non ci sono stati investimenti sostanziali.

Le autorità locali pensano che la locale industria estrattiva possa essere ancora redditizia, a patto che le miniere siano modernizzate. Ma se e quando arriveranno degli investitori, essi potrebbero guidare l'economia della regione verso un futuro post-industriale. Bobotzi sostiene che l'area ha un grande potenziale turistico, dato che confina con il Parco Nazionale di Retezat nei Carpazi. Il suo ufficio sta cercando di preparare i disoccupati ad una vita post-industriale, organizzando corsi sulla gestione aziendale e sulle tecnologie informatiche.

L'unica cosa che sembra chiara è che, sia che i futuri investitori siano compagnie minerarie, sia che arrivino da altri settori industriali, troveranno molte persone tra cui scegliere.


*Cristinela Ionescu è giornalista e production manager presso Tumende, uno studio televisivo che serve la comunità Rom della Valle del Jiu

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