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BTC, la geopolitica del petrolio

17.07.2006    Da Istanbul, scrive Fabio Salomoni

Inaugurato in Turchia l'oleodotto Baku-Tiblisi-Ceyhan (BTC), che trasporterà sulle sponde del Mediterraneo il petrolio del Mar Caspio. L'alleanza tra stati e multinazionali per il sostegno a una politica energetica novecentesca. Il ruolo dell'Italia
Il tracciato della BTC (dal sito della Baku-Ceyhan campaign, www.bakuceyhan.org.uk)
I presidenti di Turchia, Georgia, Azerbaijan, i rappresentanti istituzionali di 32 paesi, tra i quali l’Italia, 400 giornalisti, un'orchestra sinfonica, 2.500 gendarmi. La Turchia ha voluto celebrare in grande stile l’inaugurazione ufficiale del terminale petrolifero di Ceyhan, tappa finale dell’oleodotto Baku-Tiblisi-Ceyhan (BTC), la “Via della seta del 21° secolo”, destinato a far arrivare ogni anno sulle sponde del Mediterraneo 50 milioni di tonnellate del prezioso petrolio del Mar Caspio - Azeri Light. Le celebrazioni avevano avuto un prologo ad Istanbul dove il presidente della Repubbica Sezer aveva offerto una cena a 600 ospiti.

Nella giornata di Ceyhan, la ribalta era riservata ai massimi rappresentanti dei tre paesi coinvolti nel progetto. Il presidente georgiano Saakashvili, dopo aver sottolineato come l’oleodotto significa “la vera indipendenza per la Georgia”, ha insistito particolarmente sull’importanza che l’oleodotto ricopre per i paesi dell’Unione Europea. Il presidente turco Sezer ha ricordato come il progetto abbia soprattutto la funzione fondamentale di creare un corridoio energetico tra Oriente ed Occidente. Il presidente azero Ilham Aliev, figlio dell’ex padre-padrone dell’Azerbaijan Haydar, alla cui memoria è dedicato il terminal di Ceyhan, si è soffermato invece sul ruolo avuto dal padre nel sostenere l’ambizioso progetto.

Accanto ai rappresentanti politici la British Petroleum (BP) che, per bocca del suo presidente Lord Browne, ha definito l’oleodotto “un passo storico dal punto di vista dell’industria petrolifera”.

Tra le società che gestiranno l’oleodotto, la BP è infatti quella che ha la parte del leone, con una partecipazione del 30%. Accanto alla multinazionale inglese poi la SOCAR, l’industria petrolifera di stato azera, con il 25%, e a seguire altre nove società, americane, turche, giapponesi, saudite, la francese Total e l’italiana Eni che ha nel progetto una partecipazione del 5%.

Con l’entrata in funzione dell’oleodotto, la città di Baku ed il Mar Caspio recuperano nel campo dell’industria petrolifera quel ruolo di primo piano che già avevano in un lontano passato. La storia del petrolio del Caspio risale almeno alla seconda metà dell’800, quando a Baku arrivavano investitori da tutto il mondo, tra i quali i Rothschild ed i Nobel, allettati dalle prospettive offerte dallo sfruttamento dell’oro nero. Nel corso della seconda guerra mondiale proprio il petrolio di Baku, tra gli obbiettivi mancati delle armate hitleriane, permise all’URSS di avere un vantaggio decisivo nella lotta contro l’invasione nazista. In epoca sovietica invece, a causa della particolare divisione del lavoro tra le diverse repubbliche, il petrolio del Caspio venne marginalizzato a vantaggio dei giacimenti siberiani.

La storia dell’oleodotto BTC, lungo 1744 chilometri, dei quali 1074 in territorio turco, costato 4 miliardi di dollari, affonda la sue radici agli inizi degli anni ’90.

Con la caduta dell’Unione sovietica e la necessità di trovare soluzioni che permettessero di incrinare il monopolio dei paesi mediorientali nel campo delle forniture petrolifere, l’attenzione tornò nuovamente a rivolgersi ai giacimenti del Caspio.

Uno dei padri del BTC fu indubbiamente l’ex presidente della Repubblica turca Turgut Ozal che nel 1991 mise sul tavolo l’idea trovando un interlocutore molto interessato nell’allora presidente azero Elcibey. All’epoca esistevano però almeno due altri progetti alternativi, in fase di studio, per far arrivare il petrolio del Caspio sui mercati occidentali. Un oleodotto da Baku al porto georgiano di Supsa ed uno che collegasse la capitale azera al porto russo di Novorossirsk, sul Mar Nero. Tra le multinazionali petrolifere interessate, l’inglese BP in particolare si mostrava scettica sulla economicità della soluzione turca e preferì inizialmente sostenere la soluzione Supsa. Nel 1999 l’oleodotto Baku-Supsa entrò effettivamente in funzione. Le pressioni americane, in particolare del presidente Clinton, che avevano come obbiettivo quello di ridurre l’influenza russa nella regione ed il suo ruolo nel mercato energetico, si rivelarono però decisive per la concretizzazione del progetto BTC.

Dopo undici anni di lavori, che hanno visto coinvolte 22.000 persone, il 28 maggio scorso i primi getti di petrolio azero sono arrivati a Ceyhan. A raccoglierli una petroliera inglese diretta poi alle raffinerie di Savona.

Ai quattro paesi, Turchia, Azerbaijan, Georgia e Turkmenistan, inizialmente coinvolti nel progetto, nel giugno scorso si è poi aggiunto anche il Kazakistan. Con la firma del suo presidente Nazarbaiev, il Kazakistan si impegna a trasportare ogni anno 7,5 milioni di tonnellate del suo petrolio al porto di Baku. L’obbiettivo è quello di arrivare, attraverso la costruzione di un oleodotto tra la città kazaka di Aktau e la capitale azera, a 20 milioni di tonnellate. Con l’ingresso del Kazakistan cambierà anche il nome del progetto, da BTC a ABTC.

L’entrata in funzione dell’oleodotto Baku-Tiblisi-Ceyhan permetterà alla Turchia di incassare nei prossimi 40 anni 7,5 miliardi di dollari per i diritti di transito. Il porto di Ceyhan diventa così il principale terminal energetico d’Europa, la Rotterdam del Mediterraneo, come l’hanno definita le autorità turche, dal quale passerà 1/8 del petrolio mondiale. Una società mista formata dalla turca Petrol Ofisi e dall’austriaca OMV si è accordata per realizzare a Ceyhan anche una raffineria.

Coerentemente con la tradizione di multi-lateralità in politica estera, anche in campo energetico la Turchia non rinuncia a giocare le sue carte su tavoli diversi. Non solamente quindi l’appoggio ad un progetto dal carattere fortemente “filo-occidentale”, come quello BTC, ma anche la necessità di non scontentare un vicino ingombrante, nonchè fornitore di energia, come la Russia, che certo non ha gradito il ruolo giocato da Ankara nella sua esclusione dal grande gioco del petrolio del Caspio.

Nelle scorse settimane quella che da mesi era solamente un ipotesi, la realizzazione di un oleodotto tra il porto turco di Samsun, sul Mar Nero, e Ceyhan, destinato a far arrivare nel Mediterraneo gas e petrolio dalla Russia e dal Turkmenistan, ha trovato una conferma. In una conferenza stampa tenutasi ad Istanbul, il rappresentante della Holding turca Calik e l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, hanno annunciato per l’anno prossimo l’inizio dei lavori di costruzione dell’oleodotto, che dovrebbe essere completato entro il 2010. Per Scaroni si tratta di un progetto “sicuro e semplice perchè coinvolge un solo paese”. L’oleodotto sarà lungo 550 chilometri, permetterà a pieno regime di trasportare 70 milioni di tonnellate l’anno ed avrà un costo di 1,5 miliardi di dollari.

L’entrata in funzione di questi due oleodotti destinati al terminal di Ceyhan rappresenterà per la Turchia un doppio successo. In primo luogo essi permetterano di ridurre drasticamente il traffico di petroliere che, provenienti dai terminali delle coste settentrionali del Mar Nero, quotidianamente attraversano gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Un traffico che rappresenta un costante pericolo – “Non è possibile vivere costantemente sotto questa minaccia” ha detto il presidente Erdogan - dal punto di vista umano ed ambientale per una delle aree del paese più densamente popolate.

Con gli oleodotti di Ceyhan però è la rilevanza strategica della Turchia dal punto di vista geo-politico ed energetico a venire consolidata. In particolare la Turchia viene ad occupare un ruolo chiave per i paesi dell’Unione Europea. Una posizione che a detta di molti osservatori contribuirà non poco a facilitare il processo di adesione del paese alla UE.

L’inaugurazione di Ceyhan è stata poi l’occasione per il presidente Sezer di ricordare anche l’ultimo anello della politica estera turca in campo energetico, il gasdotto Baku-Erzurum, nella Turchia nord-orientale, i cui lavori sono in avanzata fase di realizzazione. Con il gasdotto la Turchia potrà garantirsi le forniture di gas azero e turkmeno senza l’intermediazione russa, ottenendo così un duplice scopo: quello di ridurre la sua dipendenza dal gas di Mosca e quello di mettersi al riparo da rischi nella continuità delle forniture, una possibilità che la tensione vissuta nell’inverno scorso tra Russia ed Ucraina ha mostrato essere tutt’altro che remota.

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