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La prima volta della Turchia

13.10.2006    Da Istanbul, scrive Fabio Salomoni

Orhan Pamuk è premio Nobel per la letteratura 2006. Si tratta del primo scrittore turco a ricevere l'ambito riconoscimento internazionale. La biografia, le diverse fasi artistiche e i risvolti politici dell'opera di Pamuk nel racconto del nostro corrispondente
Orhan Pamuk
Questo articolo esce oggi contemporaneamente su Osservatorio Balcani e su Liberazione

Lo scrittore turco Orhan Pamuk ha vinto il Nobel per la Letteratura 2006. Indicato da giorni come possibile favorito insieme al siriano Adonis, Pamuk, il cui nome era già entrato in passato nella rosa dei candidati, è il primo scrittore turco ed il secondo scrittore, dopo Nacip Mahfuz, proveniente da un paese islamico, ad aver ottenuto il prestigioso riconoscimento. Nel passato prima di Pamuk almeno altri due autori turchi, il poeta Nazim Hikmet ed il romanziere Yaşar Kemal erano stati candidati alla vittoria del Nobel.

Nella motivazione si parla “dell’arte del romanzo, dell’abilità di destreggiarsi attraverso identità e personalità plurime”. Il segretario dell’Accademia Reale ha tenuto a precisare che motivazioni di ordine politico non hanno influenzato la scelta di premiare Pamuk. Il riferimento esplicito era alle disavventure giudiziarie vissute in patria da Pamuk.

A Pamuk però non sarà certo sfuggito lo strano scherzo che il destino gli ha riservato in un giorno tanto importante. Infatti proprio nelle stesse ore in cui l’Accademia Reale svedese annunciava la sua decisione, il Parlamento francese approvava a larga maggioranza una proposta di legge che prevedeva una condanna fino ad un anno di reclusione e 45.000 euro di multa per chi neghi la realtà del genocidio armeno perpetrato dagli Ottomani nel 1915.

Scherzo del destino, oppurre bizzarria per usare un termine che Pamuk ha usato per spiegare le sue disavventure giudiziarie, perché il nome di Orhan Pamuk negli ultimi tempi era balzato alle cronache internazionali più per le conseguenze delle sue dichiarazioni sul genocidio armeno che per i suoi indiscussi meriti di scrittore.

E’ proprio nel giorno della sua affermazione internazionale, la gioia del successo in Turchia passa in secondo piano di fronte al clamore delle reazioni per la decisione del Parlamento francese. “Tutta la Turchia si alza in piedi” è l’espressione più frequente per esprimere l’indignazione generalizzata. Il Presidente del Parlamento Arinc giudica una vergogna la decisione francese mentre da più parti fioccano gli appelli a boicottare i prodotti francesi.

In questo frastuono le voci che celebrano la vittoria di Pamuk arrivano attutite. Da parte del governo ci sono per il momento solo le dichiarazioni del Sottosegretario alla Cultura “Ci complimentiamo con Pamuk. Questo premio dato a Pamuk è anche un premio alla lingua turca”. Soddisfazione anche nel mondo della cultura. Da Yaşar Kemal a Ahmet Ümit, nuova star del giallo politico, arrivano messaggi e felicitazioni. La scrittrice femminista Adalet Agaoglu però nelle sue dichiarazioni non rinuncia ad un rimando a quanto accaduto in Francia “ Proprio mentre mi rattristavo per la decisione del Parlamento francese, la notizia del Nobel a Pamuk mi ha fatto un grande piacere”.

Pamuk dal canto suo nelle prime dichiarazioni è stato molto laconico: ”Sono felice, sono orgoglioso di aver avuto questo riconoscimento”.

Orhan Pamuk
Orhan Pamuk è figlio di una facoltosa famglia borghese del quartiere di Nişantası. Dopo aver coltivato a lungo, ai tempi dell’Università, il sogno di diventare un pittore, a 23 anni ha deciso di diventare scrittore. Come mi raccontava in un’intervista di alcuni anni fa, “Mi sono chiuso dentro casa e ne sono uscito solo dopo aver finito il mio primo romanzo”. Si tratta del monumentale “Il Signor Çevdet e Figli” la storia, chiaramente autobiografica, di una famiglia borghese di Istanbul vista attraverso tre generazioni, un ideale punto di osservazione per raccontare il tribolato passaggio dal crollo dell’Impero ottomano alla nascita della Repubblica kemalista.

Il romanzo è l’unico a non essere stato tradotto in italiano e del resto verso questo romanzo Pamuk ha a lungo avuto un atteggiamento ambivalente “ Per molto tempo non ho voluto che fosse tradotto perché non mi sembrava abbastanza postmoderno”.

A seguire una lunga serie di romanzi che gli hanno fatto guadagnare la notorietà internazionale: La casa del silenzio, Roccalba, il Libro nero, la Nuova vita, Il mio nome è Rosso. Romanzi spesso di ambientazione ottomana nei quali, con un stile ed una scrittura raffinata Pamuk scandaglia i grandi temi del suo paese. La cultura orientale, l’incontro con la tradizione occidentale, gli effetti che questo incontro produce, i conflitti dentro l’identità turca. Parlando de “Il mio nome è Rosso”, forse il suo romanzo migliore, Pamuk raccontava del tarlo che lo rodeva “ Io voglio una Turchia occidentalizzata, io sono per la cultura Occidentale ma quello che mi interessa è capire le sofferenze ed i drammi che la sua introduzione ha portato nel paese”. Pamuk non è però uno scrittore politico, egli stesso nega di esserlo. Anche in un romanzo ambientato nella Turchia moderna come “La nuova vita” che narra dei travagli di giovani universitari, le scottanti questioni dell’attualità politica rimangono sullo sfondo. A prevalere è ancora il tema dell’identità culturale e degli effetti dell’occidentalizzazione.

Alla fine però arriva anche il romanzo politico, “Neve” del 2002. “Il mio primo e ultimo romanzo politico”. Ambientato a Kars, una cittadina di montagna al confine con l’Armenia, il romanzo, forse non il migliore dal punto di vista letterario, si tuffa nel cuore dell’attualità politica e sociale turca. Gli strascichi delle contrapposizioni ideologiche tra destra e sinistra ma soprattutto la questione della crescita dell’Islam politico, la questione del velo e la condizione femminile.

Un romanzo che ha avuto l’innegabile merito di aver fatto conoscere ad una opinione pubblica internazionale a corto di informazioni, uno spaccato dei travagli che attraversano la società turca.
Se quest’ultimo romanzo consacrava il nome di Pamuk nell’Olimpo della letteratura mondiale, in patria la figura di Pamuk è però rimasta abbastanza controversa. Molto letto certo, Pamuk è stato però spesso accusato di scrivere “per l’Occidente” e di usare una lingua molto ricca, a volte difficile da capire. Molti poi, e non soltanto tra i suoi colleghi, di fatto semplicemente non gli hanno mai perdonato di essere molto popolare all’estero e di vendere molto.

Questo groviglio di sentimenti ed invidie ha avuto l’occasione di venire apertamente allo scoperto all’indomani delle sue dichiarazioni sul genocidio ameno. Nel 2005 ad un inserto culturale svizzero Pamuk ha dichiarato che “i turchi hanno ucciso 1.000.000 d armeni e 30.000 curdi. Nessuno ha il coraggio di dirlo e allora lo faccio io”.

Come ha raccontato poi in un articolo al quotidiano Radikal le conseguenze sono state una valanga di minacce di morte e campagne d’odio orchestrate della stampa nazionalista che lo accusava “ di aver svenduto il paese per qualche copia in più”. Di fatto il solito refrain servito ora in chiave nazionalista: Pamuk per essere così popolare all’estero racconta quello che gli occidentali vogliono ascoltare e denigra il nostro paese.

Un vero e proprio linciaggio morale che ha costretto Pamuk ad un lungo silenzio ed all’esilio su una delle isolette che stanno di fronte ad Istanbul. Non è bastato però per calmare le acque perchè su inziativa dell’avvocato Kerincsiz, uno vero e proprio professionista della provocazione nazionalista nei confronti degli intellettuali turchi, un tribunale ha aperto un procedimento contro di lui in base ad un famigerato articolo del, riformato, codice penale, il 301, quello che parla di “oltraggio alla Turchità”. Concetto astratto dai contorni quasi esoterici che si presta alle più disinvolte interpretazioni, esso rappresenta da tempo una vera e proprio spada di Damocle che pende sulla libertà di pensiero e di espressione in Turchia. Le udienze del processo Pamuk, che i nazionalisti hanno saputo trasformare in una gazzarra indegna, hanno però permesso di riportare il tema della libertà di espressione ed il contenuto dell’articolo 301 al centro dell’agenda politica ed anche dell’ attenzione internazionale. La notorietà di Pamuk ha di fatto trasformato lo scrittore in un simbolo ed ha permesso che si parlasse anche delle decine di scrittori ed editori meno noti costretti a comparire davanti ad un tribunale per difendersi dall’accusa di aver violato questo articolo. L’ultimo caso, poche settimane fa, quello della scrittirce Elif Şafak, prosciolta, come prosciolto è stato anche Pamuk.

L’articolo 301 è diventato così uno dei temi caldi delle relazioni turco-europee. Nell’ultimo rapporto sullo stato delle riforme, l’Unione Europea chiedeva esplicitamente al governo turco di abolire questo articolo. A lungo il governo Erdogan ha resistito a queste richieste, temendo di apparire debole di fronte alle pressioni europee. Erdogan ha sempre chiesto che si guardasse non al contenuto dell’articolo ma alle decisioni dei tribunali. Se è vero che gran parte degli accusati è stata assolta, ve ne sono alcuni che sono stati condannati, come lo scrittore armeno Hrant Dink. E poi come ha ricordato Hans Georg Kretschmer, rappresentante della UE in Turchia, in nessun paese europeo gli scrittori sono trascinati davanti ai tribunali per i loro scritti.

Riformare questo articolo però si presenta però affare tutt’altro che semplice. Il governo Erdogan si è detto disposto a lavorare per la soluzione del problema, prendendo in esame diverse soluzioni alternative. La sua libertà di manovra però sembra essere limitata. Il crescere di sentimenti nazionalisti e anche di ostilità di fronte alle richieste europee mette il governo in una difficile posizione. Ora che le pressioni europee si sono fatte più forti ed insistenti, riformare o addirittura abolire l’articolo incriminato, verrebbe letto da gran parte dell’opinione pubblica e dell’opposizione politica come un intollerabile cedimento di fronte all’Unione Europea. Un rischio che il governo Erdogan, con la prospettiva di elezioni politiche nell’ottobre 2007, difficilmente sarà disposto ad assumersi.

Del resto anche dall’opposizione non arrivano certo segnali positivi. Il Partito Repubblicano del Popolo, CHP, che non perde occasione per dichiarare la sua anima socialdemocratica, si è vigorosamente opposto all’abolizione dell’articolo 301. La motivazione è che un articolo analogo sarebbe presente nei codici penali di molti paesi europei, compresa l’Italia.

E l’approvazione da parte del Parlamento francese della legge sul genocidio armeno rischia di rappresentare l’ultimo colpo ad ogni speranza di riforma. Da giorni del resto si moltiplicano in Turchia le proteste dirette alla Francia, accusata di voler dare lezioni in tema di libertà di espressione e poi di adottare provvedimenti censori. La conclusione a cui sembrano essere giunti in molti è questa: se la Francia, patria della libertà di espressione, approva un provvedimento liberticida come la legge sul genocidio armeno con il tacito consenso dell’Unione Europea, con che diritto gli europei ci possono chiedere l’abolizione dell’articolo 301?

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