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SOS Danubio

06.03.2007    scrive Mihaela Iordache

Ritornare al 1960, recuperare più di 40 anni di inquinamento selvaggio. E' questo l'obiettivo di una dichiarazione congiunta di 17 paesi rivieraschi del Danubio e del Mar Nero per tutelare le loro acque
Diciassette paesi rivieraschi del Danubio e del Mar Nero hanno firmato a Bucarest una dichiarazione con cui si impegnano a ridurre l’inquinamento delle acque fino a farle ritornare pulite come nel 1960. La misura è stata presa durante la conferenza dei ministri dell’ambiente dei paesi rivieraschi del Danubio e del Mar Nero, primo incontro di questo tipo da quando la Romania ha assunto la presidenza di turno per l’anno 2007 della Commissione internazionale per la protezione del fiume Danubio con sede a Vienna.

Con una lunghezza di 2857 km, il Danubio è il fiume che attraversa il maggior numero di paesi d’Europa. Secondo fiume dell’Europa dopo Volga, il ventiseiesimo nel mondo, il Danubio è l’unico fiume che percorre l’Europa dall’Ovest verso l’Est.

La cooperazione danubiana iniziò più di 150 anni fa, al termine della guerra di Crimea, con la costituzione della Commissione europea per il Danubio. Per molti anni i paesi rivieraschi hanno concentrato la loro cooperazione soprattutto in ambito economico su aspetti che riguardano la navigazione e la costruzione di centrali idroelettriche.

Il primo organismo ad occuparsene anche dal lato ecologico è arrivato solo nel 1998 con la costituzione della Commissione internazionale per la tutela del Danubio. Le linee guida della Commissione riguardano la diminuzione dell’inquinamento, la tutela della biodiversità e la protezione contro le inondazioni, ma i risultati ottenuti sino ad ora sono scarsi.

E' certo vero che a partire dall' '89 – anno in cui il Danubio e il Mar Nero risultavano altamente inquinati – la situazione ecologica è migliorata, tuttavia questo è dovuto più al fallimento delle economie dei paesi ex comunisti che non a oculate politiche ambientali. Un effetto indiretto e non il risultato di sforzi congiunti.

Da qualche anno però, con la ripresa economica (solo la Romania ha registrato l’anno scorso una crescita economica dell’8%) la situazione può rapidamente mutare con danni ecologici notevoli se non verranno adotatte politiche ambientali adeguate.

Vi è poi la questione della navigazione commerciale: è molto aumentata negli ultimi anni ed è aumentato anche il rischio di incidenti tra navi e di conseguenze sull'ambiente.

La Romania, che possiede il tratto più lungo del fiume e sul cui territorio il Danubio forma il Delta versandosi nel Mar Nero, è il paese che maggiormente contribuisce all’inquinamento delle sue acque. Germania e Austria - pur possedendo un tratto di fiume più corto - inquinano insieme quanto la Romania da sola.

Ad inquinare sono però tutti i paesi. Due parlamentari ungheresi dell’ opposizione di destra hanno denunciato al Parlamento di Budapest alla fine di febbraio che circa 1200 tonnellate di scorie pericolose - depositate sull’isola Csepel - scorrono nel Danubio sicché nell’acqua finiscono bario, arsenico, nichel, rame.

Nell’ottobre dell’anno scorso centinaia di tonnellate di petrolio provenienti da Prahovo (Serbia) si sono versate nel fiume. Secondo i rapporti ufficiali nella sola Romania si registrano ogni anno un centinaio di casi di inquinamento. La maggior parte rappresenta perdite di petrolio provenienti da impianti industriali.

L’incidente più grave - considerato il maggior disastro ecologico dell’Europa centrale dopo Cernobyl - avvenne nel 2000 quando le acque del Tibisco, un affluente del Danubio, vennero inquinate dal cianuro. Un centinaio di tonnellate di acqua e cianuro provenienti dal crollo di una diga della miniera d’oro della società Transgold sui monti di Maramures in Romania finirono nel Somes e da questo poi si riversarono nel Tibisco e infine nel Danubio.

Nella riunione di fine febbraio a Bucarest i rappresentanti di 17 paesi si sono impegnati a ridurre l’inquinamento: tra gli obiettivi principali c’è la diminuzione dell’inquinamento da nitrati, legati ai fertilizzanti in agricoltura.

Per quanto riguarda la Romania, si impegnerà nella riduzione dell’inquinamento da concimi agricoli in 255 località situate lungo il Danubio. Le autorità hanno a disposizione 50 milioni di euro – come prestito - e 5 milioni di dollari a fondo perduto. Entro il 2018 la Romania dovrà anche investire in infrastrutture idriche 16 miliardi di euro (35% dei quali garantiti dai fondi europei, mentre il resto proviene da altre fonti). La dichiarazione firmata nella capitale romena prevede inoltre che i produttori di detersivi rinuncino a utilizzare fosfati.

”C’è bisogno soprattutto di volontà politica e di collaborazione” ha dichiarato all’apertura dei lavori della conferenza, il presidente della Romania, Traian Basescu. La maggior parte dei paesi rivieraschi devono aplicare la direttiva Ue sull’acqua, una norma che chiede ai paesi membri di controllare e ridurre l’inquinamento delle acque. Non tutti gli stati rivieraschi del Danubio si sono impeganti a farlo. Recentemente però sia Ucraina che Moldavia hanno annunciato la loro adesione.

Secondo il segretario della Commissione internazionale per la tutela del Danubio, Philip Weller, è molto difficile applicare la normativa europea nella zona del Mar Nero. “Man mano che ci avviciniamo all’Est, l’applicazione degli standard europei riguardanti la qualità delle acque diventa sempre più difficile. Paesi come la Russia, la Georgia, la Turchia non sono organizzati come i paesi Ue. Desideriamo stabilire come poter appoggiare questi paesi nei loro sforzi per aumentare la qualità delle acque”, ha aggiunto Weller.

Parlando di Danubio non si è potuto non parlare dello stato di salute del Mar Nero. Nel 1992 quest'ultimo era considerato uno dei più inquinati del pianeta. E la situazione da allora non è migliorata. Ogni anno 60.000 tonnellate di scorie industriali finiscono nelle sue acque. Se negli anni ’60 sulla costa romena del Mar Nero vivevano decine di migliaia di delfini, attualmente il loro numero si aggira intorno alle 4000-5000 unità. Di 26 specie di pesci ne sono rimaste una decina. Un segnale d’allarme che va colto prima che sia troppo tardi.