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La lingua albanese verso nuove sfide

18.05.2007    scrive Rando Devole

Tosco e ghego, due versioni della lingua albanese. Penalizzato durante la standardizzazione della lingua albanese, nel 1972, oggi il ghego torna a presentarsi sempre di più nella lingua standard. Un’analisi delle sfide in corso della lingua albanese
Due vocabolari come sintomi

In Albania, dal punto di vista linguistico e della frequenza di pubblicazione, il 2006 si può battezzare come l’anno dei vocabolari. In primo luogo, il vocabolario della lingua albanese di Mehmet Elezi, (Fjalor i gjuhës shqipe, Edizioni Fishta, 1700 pp.) con circa 41 mila lemmi, cinque mila espressioni fraseologiche, migliaia di proverbi illustrativi, spiegazioni etimologiche, uno spoglio lessicale da molti classici della letteratura albanese. In confronto ai vocabolari precedenti di lingua albanese è da sottolineare un fondamentale tratto distintivo: le parole e le accezioni contenute in quest’opera non si trovano nei vocabolari “ufficiali” dell’Accademia delle scienze, ossia le pubblicazioni degli anni Ottanta e del 2002. Tuttavia, il vocabolario di Mehmet Elezi non si pone come un’alternativa ai summenzionati, ma si propone unicamente in termini complementari.

Il lavoro di Mehmet Elezi non si limita al vocabolario. Nella prima parte del vocabolario, a mo’ di introduzione, è stato ripubblicato un noto saggio dello stesso autore dal titolo significativo: “Gjuha shqipe në bunker?” (La lingua albanese nel bunker?). Una scelta insolita per un vocabolario, discutibile finché si vuole, ma si tratta senza dubbio di una evidente marcatura culturale dell’opera. Infatti, Mehmet Elezi, uomo di lettere con decine di libri alle spalle, appartiene a quella categoria di studiosi che non accettano una lingua sigillata. In altre parole, sostengono che nella codifica della lingua standard, varata ufficialmente nel 1972, in pieno regime totalitario, abbia pesato anche il fattore politico. Quest’ultimo ha penalizzato il dialetto ghego del Nord a favore di una lingua standard basata principalmente sul dialetto tosco del Sud. La prefazione del vocabolario di Mehmet Elezi è una delle arringhe più appassionate ed equilibrate dei tesori ancora inutilizzati del dialetto ghego, in attesa di essere scoperti e messi in pratica dalla lingua albanese. Lo stesso vocabolario cerca di dimostrare proprio le ricchezze lessicali del ghego e non solo, che non furono prese in considerazione dal gruppo degli studiosi dell’Istituto di Linguistica che redasse all’epoca il vocabolario “ufficiale”.

Sempre nel 2006 è stato pubblicato (ma distribuito solo nel gennaio di quest’anno) "Fjalor i Gjuhës Shqipe" (Vocabolario della lingua albanese) con 48 mila lemmi, 1250 pagine di piccolo formato. Questo vocabolario è stato preparato da un gruppo di studiosi dell’Istituto di Linguistica dell’Accademia delle Scienze dell’Albania, tra cui Jani Thomai, Miço Samara, Pavli Haxhillazi, Hajri Shehu, Thanas Feka, Valter Memisha, Artan Goga. Questo è il quarto vocabolario albanese pubblicato dall’Istituto di Linguistica. Il primo risale al 1980 (Fjalori i Gjuhës së Sotme shqipe - Vocabolario della lingua albanese di oggi) con circa 41 mila lemmi. Il secondo (Fjalor i Shqipes së Sotme - Vocabolario dell’albanese di oggi) è del 1884, con meno parole (34 mila) ma più agevole. Una versione rivista di questo vocabolario è quello pubblicato otto anni dopo, nel 2002. La novità del "Fjalor i Gjuhës Shqipe" (Vocabolario della lingua albanese) consiste principalmente nel suo formato più piccolo e nelle tecniche economiche per adattarlo alle nuove misure; qualche ritocco ha subito anche il glossario (sono state aggiunti circa 7 mila nuovi vocaboli, molti dei quali dallo spoglio di recenti pubblicazioni). Dal punto di vista quantitativo questo vocabolario si ritiene il più voluminoso di tutti i vocabolari di albanese stampati fino ad oggi. L’opera si rivolge ad un pubblico molto vasto che desidera innanzi tutto un vocabolario pratico nella consultazione.

Istinto di sopravvivenza

Il fatto che il ghego scritto si stia consolidando sempre di più come prassi – anche se siamo ancora a livelli minimi –, da un lato dimostra una certa pressione per una maggiore presenza di questo dialetto nella lingua standard albanese, dall’altro mette a nudo le difficoltà dell’albanese di oggi a rappresentare la totalità della sua popolazione, o almeno a farsi riconoscere senza ombra di dubbio come unico mezzo unitario di espressione. Sui giornali albanesi stanno comparendo insistentemente articoli scritti in dialetto ghego, segno che il complesso di inferiorità, sentito per lo più agli inizi degli anni postmuro, si sta attenuando. Probabilmente in questo processo ha influito anche la situazione venutasi a creare in Kosovo dopo l’intervento Nato. Da lì in poi, in Kosovo – dove si usa prevalentemente il dialetto ghego – ha avuto luogo un intenso dibattito in merito alla lingua albanese da utilizzare nel futuro.

Un certo ruolo ha avuto anche qualche best seller del calibro di At Zef Pllumi dal titolo ghego "Rrno vetem per me tregue" (Vivi solo per raccontare), in cui il prete francescano ha raccontato il proprio martirio durante gli anni del totalitarismo. Non si può ovviamente negare un legame tra la lingua albanese utilizzata da At Zef Pllumi e la sua storia di vita. Agli occhi del lettore, il ghego di Pllumi (peraltro molto “soft” e digeribile) potrebbe connotare la rivincita della libertà, che si esprime non soltanto narrando oggi l’inenarrabile di ieri, ma anche con la scelta di un preciso strumento linguistico una volta “precluso”: appunto il ghego.

Ma quale ghego si usa oggi in Albania? Una qualificata risposta è stata data dal linguista Ardian Vehbiu, in un articolo dedicato proprio ai modi di scrivere oggi il ghego (vedi “Shekulli”, 2.4.2007). Vehbiu ha registrato quattro modi principali. Il primo riguarda la trasposizione del parlato nello scritto senza una particolare attenzione alle norme linguistiche; il secondo si rifà alla tradizione scutarina del ghego; il terzo comprende quegli autori che inseriscono forme rappresentative del ghego ma in testi di albanese standard; l’ultimo si riscontra in contesti strumentali dove più importante è il posizionamento politico-culturale che la lingua stessa. L’obiettivo di Vehbiu era principalmente la categorizzazione sommaria dei modi di scrivere oggi il dialetto ghego. Ciononostante, Vehbiu non nasconde forti note critiche nei confronti del primo e del quarto modo, prendendo così le distanze dall’uso di un ghego, per così dire “amatoriale” e talvolta strumentale. L’autore non dimentica, infine, di ricordare che alla tradizione ghega manca una cultura e letteratura creata di recente, cosa che rende difficile il suo recupero.

Comunque sia, il fatto stesso che il ghego venga adoperato liberamente in Albania testimonia ancora una volta che l’atteggiamento nei riguardi dell’albanese standard non è più reverenziale come una volta. Quello che colpisce, invece, è il silenzio pressoché totale delle istituzioni accademiche e universitarie in merito all’uso sempre più frequente del dialetto del Nord. Certamente un uso del genere non può essere considerato come semplice esternazione di dialettalismi o regionalismi, anche perché dal fronte tosco (l’altro grande dialetto albanese) manca una simmetria della reazione, probabilmente a causa del suo status di fondamento della lingua standard albanese.

Paralleli sordi

Visti da una prospettiva binaria i due vocabolari soprammenzionati non sono altro che due eventi paralleli, uno partito da una posizione rivendicativa, l’altro da una motivazione conservativa. Due paralleli che non si incontrano, camminano in totale solitudine e indifferenza, almeno finora. In termini militari medioevali il primo vocabolario non sarebbe altro che un attacco massiccio (lessicale) contro la fortezza di un principato arroccato tra vecchie mura (valide ma da ristrutturare). Eppure si tratta della stessa terra, gente, lingua. Comunque, a parte le metafore, non si tratta di una vera guerra, ma se tale dovesse essere, sarebbe solo culturale e in certi casi perfino psicologica, fatta di silenzi strategici e omissioni tattiche. Un vocabolario come quello di Elezi, con i suoi eventuali pregi e difetti, in altri paesi sarebbe diventato oggetto di dibattito acceso da parte degli esperti del settore, invece in Albania è passato inosservato tra sporadiche interviste e recensioni giornalistiche.

Ovviamente non va trascurato il contesto in cui si svolge questa “battaglia” a colpi di argomentazioni linguistiche. L’albanese è da tempo sotto una serrata pressione da più fronti. La lingua standard proviene dal “lontano” 1972 e quindi si riferisce a condizioni socio-politiche totalmente diverse. In tanti anni, il totalitarismo con la sua ideologia asfissiante ha portato alla sloganizzazione della lingua, rendendola in certe circostanze rigida e impacciata. Forse derivano da qui alcuni problemi che la lingua albanese incrocia oggi nell’incontro con le varie culture. La stessa accelerazione della globalizzazione ha probabilmente spinto per mettere a nudo altre incongruenze del sistema linguistico. Il caso più eclatante consiste nella fatica di metabolizzare la nuova terminologia di derivazione tecnologica. Anche il traduttore più navigato si arrenderebbe davanti agli scogli terminologici, a prima vista irrisori, quali: file, mouse, click, blog, log, link, ecc. Eppure ci si arena durante manovre minime di traduzione in albanese: un plurale, un dativo, un accusativo, e così via. Alla fine una soluzione si trova, ma sono scelte individuali, improvvisate, spesso goffe, altre volte intuitive, ma alla fine non condivise.

Certo, non aiuta la condizione generale della lingua albanese. Nei media viene maltrattata pubblicamente, nelle scuole non viene studiata devotamente, nell’amministrazione statale non viene presa seriamente. Perfino quelli che la idolatrano, cadono spesso in retoriche ammuffite ed ingenue, facendo alla fine più danni che migliorie. Anche la monopolizzazione del discorso “lingua” da parte dei puristi non porta nulla di utile. In generale, si potrebbe dire che sia stato lo status della lingua in quanto tale ad avere subito una caduta pesante.

Che l’argomento “lingua” non sia di facile trattazione è fuori dubbio. In primis perché gli albanesi, a differenza di altri popoli, rispecchiano la loro identità sostanzialmente nella propria lingua. Secondo perché la cultura albanese, le sue istituzioni e le sue élite vivono in una situazione estremamente travagliata, in una società in forte cambiamento e movimento, la cui lunga transizione stenta a terminare.

Se le ricette in questo campo non esistono, alcuni passi da intraprendere si profilano da tempo nell’orizzonte della cultura albanese. Innanzi tutto bisogna capire se l’adeguamento della lingua albanese al passo coi tempi sia realmente imperativo. I tempi ovviamente vanno intesi nel senso più largo possibile: sia dal punto di vista interno che esterno. Solo da qui si può partire per una eventuale diagnosi delle problematiche linguistiche, per poi finire con i rimedi ritenuti appropriati. Ma per fare tutto questo bisogna che gli specialisti si consultino tra di loro, intorno alle istituzioni democraticamente aperte, senza escludere nessuno, senza pregiudizi e nemmeno preclusioni. Il dialogo ha sempre bisogno della lingua, ma anche la lingua ha bisogno di una cultura del dialogo. Ma se molti fanno le orecchie da mercante, in definitiva deciderà il “mercato”. E com’è noto, in uno stato brado, non è detto che decida per il meglio.
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