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Politica e società in Kosovo

27.11.2007    Da Pristina, scrivono Marjola Rukaj e Francesca Vanoni

In Kosovo - Mario Salzano
Cosa c’è e cosa manca all’odierna società kosovara? Quale il ruolo dei media e la prassi degli internazionali? A Pristina abbiamo incontrato Migjen Kelmendi, direttore del settimanale kosovaro “Java”. Continua la pubblicazione di materiali nel nostro nuovo dossier dedicato al Kosovo
A suo avviso come è cambiata la società kosovara prima e dopo il ’99?

La prima percezione è che adesso in Kosovo sembra che vi sia uno stato. In realtà si tratta di un’enorme macchina burocratica che ci hanno mandato dall’estero e che in città si percepisce già dagli edifici enormi, circondati da muri altrettanto alti, o super fortificati. Si tratta di un modo di governare che viene percepito come calato dall’alto.

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Sin dall’inizio, l’arrivo delle strutture internazionali in Kosovo ha inaugurato un nuovo approccio della società basato sul concetto di stato. Loro governano in base a loro principi e comunicano il loro operato in un modo che non giunge alla popolazione. Vivono isolati in una propria realtà fuori dal contesto e sembra che non capiscano bene quello che gli succede attorno. Hanno a disposizione fondi enormi che spendono ad esempio in campagne per la riconciliazione interetnica che sono totalmente insensate.

Poi accanto alla struttura internazionale c’è il “governo degli interpreti”, le risorse per niente magre degli internazionali ovviamente attraggono molte persone, molti si fanno assumere. Ma si tratta per lo più di giovanissimi. Non sono per niente preparati, non possono interpretare la società kosovara. Come possono fidarsi di gente del genere...

Uno di questi, coinvolto in un dibattito, quando gli chiesero “Sai chi è Migjen Kelmendi?” rispose “Ma certo, è un musicista rock” non essendo a conoscenza di tutte le mie battaglie mediatiche e in fondo politiche sull’identità kosovara, sulla società sovra-etnica, sulla lingua albanese, la mia attività letteraria e le mie traduzioni, di me conosceva solo il mio passato da musicista. Non mi dispiace che io venga ancora ricordato anche dalle giovani generazioni per la mia musica, ma adesso quello che più conta è il mio impegno attuale, che esprime l’opinione di una fascia della società kosovara. Come fa questo "interprete" della società kosovara a ignorare tutto questo?

Quindi anche le informazioni che i signori internazionali hanno di questa società non possono che essere parziali e stereotipate. Questo avviene perché a dire il vero al Kosovo oggi manca una classe di professionisti di qualità, veramente interessati all’impegno pubblico.

Quali sono le conseguenze che gli anni della discriminazione e della mancata partecipazione politica e sociale hanno lasciato nella società kosovara di oggi?

Questo è un argomento che mi interessa molto, infatti ritengo che la gente non si sia ancora abituata alla partecipazione politica o sociale. Non percepiscono la società in questi termini. La partecipazione politica e sociale non viene considerata come un diritto e come un dovere, come dovrebbe essere. D’altra parte però sono dei “credenti”, gente che crede e partecipa alla società in maniera succube. Ecco le persone in Kosovo sono dei “credenti”, dei seguaci acritici, non sono dei cittadini, non sono degli elettori.

Come è riuscita la società kosovara a organizzarsi durante il periodo parallelo e quali sono le conseguenze attuali di quel tipo di organizzazione?

L’obiettivo del sistema parallelo non era la qualità delle istituzioni e bisogna anche fare attenzione a cosa si intendesse per istituzioni. Le istituzioni infatti hanno mancato di qualità anche perché chi aveva il potere aveva fatto in modo che nelle istituzioni venisse coinvolto tutto il parentado e gli amici. Ad un certo punto il centro di Pristina è stato invaso dai pullman, una cosa davvero impressionante tanto che in molti si chiedevano cosa ci facessero a Pristina tutti quei pullman. La realtà è che collegavano Pristina con i villaggi limitrofi e portavano i funzionari, gli impiegati delle istituzioni. In queste ultime erano state infatti assunte persone che provenivano e che continuavano a vivere in campagna, senza alcuna preparazione adatta alle funzioni da svolgere. I villaggi avevano popolato le nostre istituzioni mentre la popolazione urbana si è vista esclusa dalla partecipazione. Manca una cultura urbana.

Questo accadeva agli inizi ma la situazione ora non è cambiata. Poi c'è stato il dilagare della corruzione e hanno perso del tutto la credibilità, in particolare all’interno della classe urbana del Kosovo. Stanno provando a simulare un vero governo ma non hanno le competenze adeguate. Però in compenso si sono messi al centro della vita pubblica, hanno invaso i media. La vita in Kosovo è tutta politicizzata e ruota attorno a questa élite politica. In uno degli ultimi numeri di “Java” ho trattato questo argomento, e alcuni artisti mi hanno raccontato di come non riescano ad affermarsi solo con la loro arte, devono per forza apparire accanto a qualche politico per far colpo sul pubblico. E’ disastroso …

E i media, che potere hanno in Kosovo? Ci sono voci critiche? Che rapporti si hanno tra i media e la politica oggi in Kosovo?

All’inizio pensavo che un po’ di voci critiche ci fossero. Ad esempio i fondatori di “Ora”, che partono da un’esperienza mediatica. Ma poi i media, anche quelli che sembravano critici, hanno funto da canali di promozione alla carriera politica dei loro fondatori. I media non hanno molta voce in capitolo all’interno del dibattito politico, non fanno che riportare quello che si fa senza però essere granché critici e tanto meno indipendenti.

Abbiamo numerosi giornali, alcune televisioni ma non sono capaci di fare dibattito, di confrontarsi. Sembra che siano d’accordo su tutto. Anche in parlamento è così. E’ da molto tempo che mancano dei temi che possano mobilitare la società. Ma questo avviene perché non ci sono più dei portavoce pubblici di questi bisogni e i cittadini sono caduti in uno stato di passività assoluta. D’altronde è ovvio che sia così, dal momento che il loro modo più sentito per mettersi in sintonia con la società è la televisione. E in televisione regna la totale assenza di dibattito, i programmi politici sono ridicoli e retorici, noiosi, e la maggior parte della gente guarda solo le tv di Tirana che però non fanno dibattito sul Kosovo, quindi si è in qualche modo alienati dalla realtà kosovara.

La stampa scritta - che segue principalmente il problema dello status passo dopo passo schiacciando tutto ciò che vi può essere d’altro - vende pochissimo. Lo stesso settimanale “Java” vende pochissimo. Infatti ho deciso e mi sto adoperando per creare una televisione perché ritengo che sia l’unico canale grazie al quale il messaggio arrivi davvero a un pubblico. Adesso siamo ancora in fase di prova ma penso che riusciremo ad andare in onda a breve.

Una televisione che parla come “Java”? In gheg?

Certo, infatti i ragazzi che stanno lavorando a questo progetto, all’inizio delle prove erano piuttosto imbarazzati e mi hanno chiesto: ma come dobbiamo parlare? In tosk? E io ho risposto, non vi preoccupate, parlerete tranquillamente come parlate tutti i giorni, in gheg, nel nostro gheg. Ma poi non ha nemmeno senso basarci sui canoni televisivi albanesi, perché nonostante le tv albanesi qui siano molto seguite è evidente che loro hanno standard culturali molto diversi dai nostri. Si direbbe che hanno un po’ la stessa influenza italiana che si subisce ad esempio in Dalmazia, e questo non è qualcosa che si vede solo nel Portokallì, la versione albanese, peraltro molto riuscita, di Zelig, ma è molto più datato. Ad esempio nei miei primi contatti con l’Albania ho sentito la loro musica rock, che non è rock, perché loro hanno sempre ascoltato e assorbito la musica italiana. In Kosovo invece i canoni culturali permangono quelli della Jugoslavia, sono gli stessi di Belgrado o di Sarajevo, e gli input provengono dal mondo anglofono.

Ritornando alla mobilitazione della società, come valuta gli odierni partiti politici?

Non penso che siano in grado di interpretare la società e farsene portavoce, tanto meno penso che abbiano individuato delle questioni che possano mobilitare determinate classi della società. Nel Kosovo di oggi non ci sono politici di talento, però la società è estremamente politicizzata, al punto che si ha l’impressione che i politici si siano imposti alla società, non che siano sorti da essa. In Kosovo i partiti vengono percepiti solo come mezzi del potere o comunque come estremamente correlati al potere. Si deve stare in un partito per entrare nelle istituzioni, nella vita pubblica … Persino per diventare un cantante famoso il pubblico ti deve vedere seduto in un caffè con un politico, non importa se hai talento o meno, otterrai fama solo se ti vedono che frequenti questo o quello.

E Vetvendosja, fino a che punto riesce a mobilitare la gente?

Inizialmente riusciva a mobilitare la società perché era nato come un movimento basato su questioni concrete, che riguardavano una buona parte della società, era un modo rappresentativo simpatetico, ma adesso direi che non solo non rappresenta la società ma non sembra neanche avere degli obiettivi che riguardino la società perché punta direttamente su quello che è il risultato di tutto il processo attuale, sull’indipendenza, cosa che naturalmente è la cosa più facile da pretendere.

E non è neanche molto democratico il metodo che applicano, perché non vi è traccia di dialogo. E' molto più facile aggrapparsi all’autodeterminazione, alle cose fatte, che sedersi ad un tavolo e provare a trovare una soluzione. Le cose non sono così semplici e così belle nella realtà. Non sarebbe esagerato dire che sono un po’ tagliati fuori dalla realtà, così non lasciano spazio alla partecipazione o alla rappresentazione della società.

Ma pensa che Albin Kurti goda del sostegno della società?

Penso che non sia sostenuto per niente, come fa a esserlo se non ha una visione? E’ molto teorico in quello che sostiene, la gente è stanca di promesse vuote. Ha perso sostegno quando ha radicalizzato le sue posizioni, perché la gente non è stupida, si rende conto che non si va da nessuna parte senza dialogo, senza supporto internazionale, semplicemente non si può ottenere niente in questo modo.

Come spiega allora la perdita di sostegno da parte dell’LDK?

Una volta io ero molto critico nei confronti di Rugova. La gente si stupiva anche perché abbiamo le stesse origini di famiglia. Ma aveva visioni che adesso condivido, ad esempio lui non immaginò mai il Kosovo del futuro come una regione periferica dell’Albania, diceva che quest'ultima sarebbe stata un partner di un futuro Kosovo di pari dignità. Diceva che il Kosovo si sarebbe aperto all’Albania come alla Serbia.

Si tratta naturalmente anche di un percorso storico, che ha visto il Kosovo differenziarsi dalla comune identità con l’Albania. Ma dopo il ’99 il prestigio politico, e in qualche modo anche sociale, si è tutto incentrato sul conflitto del’99, tutti si sono adoperati ad annoverare più eroi possibili per famiglia, presentandosi come liberatori. “Se siamo arrivati qua è perché noi abbiamo combattuto”, affermazione che però non è vera, perché noi non abbiamo combattuto i serbi, noi siamo fuggiti, e la “liberazione” del Kosovo è avvenuta grazie all’intervento internazionale.

Il Kosovo si è riempito di monumenti commemorativi degli eroi del ’99. Si vedono dappertutto statue dei guerriglieri a grandezza naturale. Penso che ci siano altri modi per commemorare, oltre questo modo piuttosto primitivo e invadente. Penso che bisognerebbe aprire un dibattito del genere su “Java”. Poi la morte di Rugova naturalmente ha fatto perdere al partito un leader carismatico ed è normale che vada perdendo sostegno.

E invece oggi che ruolo ha l’Albania per i partiti politici in Kosovo? Come viene vista?

In merito all’Albania c’è una versione dominante "politically correct", che considera tuttora l’Albania come la madrepatria, come il punto di riferimento. Quando si parla dell’Albania non si è mai critici in pubblico ma io penso che la situazione stia cambiando. Ci sono stati dei partiti che hanno inserito nel loro programma la riunificazione con l’Albania, ma non sono riusciti a superare neanche la soglia di sbarramento, non sono stati votati il che dimostra che la gente sta diventando sempre più realistica, che è stufa dei nostri miti romantici. D’altronde noi e i serbi ci assomigliamo enormemente, loro con il mito del Kosovo, noi con il mito degli Illiri e poi dell’Albania. li abbiamo tanto esagerati da renderli improduttivi. Infatti prima della comparsa degli intellettuali romantici sia serbi sia albanesi non esistevano né il mito del Kosovo né l’ossessione per gli Illiri. Quindi io noto una notevole tendenza a vedere le cose realisticamente.

E’ solo frutto di un processo interno kosovaro quindi, o ha un proprio ruolo anche Tirana?
Tirana è indifferente, non è Tirana ad essersi imposta in Kosovo, è stata Pristina ad essersi auto invasa di Tirana. Comunque c’è una classe urbana sempre più evidente che vuole far sapere che la capitale del Kosovo è Pristina non Tirana. Hanno molta importanza anche i pregiudizi che in Albania vengono associati ai kosovari. Ma penso che sia per lo più un processo naturale di maturazione dell’identità.

Anche qua esistono pregiudizi, che però non vengono espressi anche perché in Kosovo la gente ha un carattere molto più contenuto che in Albania. Mentre a Tirana ridono dei suoni nasali del Kosovo, a Pristina ridono dei suoni gutturali e delle forme verbali del tosk. Agli inizi degli anni ’90 gli albanesi dell’Albania venivano visti come disorientati, adesso invece non si dice più così perché sono progrediti enormemente, Tirana è irriconoscibile. Ma le differenze ci sono, tutti lo sanno.
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