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L’altro volto di Istanbul

07.12.2007    Da Istanbul, scrive Fabio Salomoni

Eylem è un transessuale di Istanbul, sociologo e attivista di una ong che si occupa di transessuali e prostituzione. Nelle sue parole le difficoltà dei molti che fuggono dalle pressioni della Turchia profonda per cercare uno spazio in città
La notizia è di quelle destinate ad essere inghiottite dalle pagine di cronaca dei giornali. Nei giorni scorsi un giudice di Istanbul ha imposto una terapia psicologia di riabilitazione ad un gruppo di transessuali arrestati per reati legati alla prostituzione. Di transessuali in Turchia si parla solo in relazione alla cronaca nera e giudiziaria. Eppure ad Istanbul i transessuali sono una presenza familiare nel dedalo di strade di Beyoğlu, il cuore della “metropoli che non dorme mai” e che garantisce a ciclo continuo musica e divertimento a turisti e locali. In questa parte della città è frequente imbattersi in donne dai tratti piuttosto mascolini, vistosamente truccate e poco vestite, che si muovono tra l’indifferenza di passanti e negozianti. Una presenza vistosa e numericamente importante. 4-5.000 secondo quanto ci racconta Eylem.

Eylem, un nome che è anche un manifesto esistenziale, richiama l’idea di movimento, di azione ma anche di protesta politica “L’ho scelto perché mi desse forza, perché simboleggiasse la mia ostinazione nel cercare una trasformazione. Il mio motto è azione continua!!”. Ed a giudicare dall’entusiasmo e dalla vitalità contagiosa che si sprigionano dai tratti delicati del suo volto, non poteva scegliersi nome migliore. Si presenta vestito come uno dei migliaia di studenti della città. “Non mi piace molto truccarmi e mettermi vestiti vistosi”. Eylem è uno dei pochi che è riuscito a sfuggire al destino che attende i transessuali di Istanbul: “Arrivano qui da tutto il paese con molte speranze. Per molti però c’è la disillusione, ritornano da dove sono venuti oppure si perdono nella metropoli. Si dipinge la città come un paradiso e questo rende la disillusione più profonda.”

Se farsi una nuova vita è impresa non facile per tutti coloro che quotidianamente approdano sulle rive del Bosforo, per i transessuali lo è ancora di più. Dopo essere sfuggiti alle pressioni della Turchia profonda, una volta arrivati ad Istanbul, per loro spesso l’unica possibilità di sopravvivenza è rappresentata dal mercato del sesso. “Il 99% di loro si prostituisce. Sono pochi quelli che riescono a tenersi fuori da questo ambiente. C’è qualche dottore, grafici, assistenti sociali, alcuni insegnanti, c’è anche un allenatore di basket. Sono casi isolati però. E’ difficile trovare alternative alla prostituzione”.

Eylem è uno di quelli che ci è riuscito. Ha studiato e si è laureato in sociologia “perché volevo capire tutto quello che succedeva intorno. La sociologia mi piaceva, mi ha aperto la mente. Fin da ragazzo leggevo i sociologi ed i filosofi”. Dopo la laurea ha cominciato a lavorare in una ONG che si occupa anche di transessuali e prostituzione: “Facciamo dei corsi sulla salute sessuale, informiamo sulle malattie a trasmissione sessuale, sull’uso del preservativo. Come garantire la propria salute mentre si lavora”. Non solo informazione di natura medica “Cerchiamo di creare per loro uno spazio in cui possano incontrarsi e respirare un po’. In genere l’unica occasione per loro per avere una vita sociale è il parrucchiere”.

Eylem ed il gruppo che lavora con lui si dà da fare anche per sensibilizzare i transessuali in tema di diritti umani, per aiutarli a difendersi dai soprusi: “Che si tratti di apprezzamenti pesanti per la strada o di tentativi di aggressione, cerchiamo di incoraggiarli a sporgere denuncia. Cerchiamo anche di informarli su come comportarsi nel caso vengano fermati dalla polizia, come reagire di fronte alla violenza”.

La polizia appunto. Negli ultimi mesi le cronache, soprattutto ad Istanbul, hanno riportato numerosi episodi di uccisioni e ferimenti che hanno visto coinvolti agenti di polizia. Per Eylem la causa è la legge che il parlamento ha approvato in tutta fretta a seguito dell’attentato ad Ankara nel maggio scorso, con la quale si danno maggiori poteri alla polizia per quanto riguarda controlli di identità, perquisizioni personali ed uso delle armi da fuoco. L’ultimo episodio nelle scorse settimane quando un giovane è morto dopo essere stato colpito da un calcio al petto sferrato da un poliziotto in borghese durante un controllo in un parco della periferia della città. Un episodio che ha spinto il ministro degli Interni ad emanare una circolare. Eylem è preoccupato che la nuova legge trasformi lo stato di diritto in un stato di polizia.

Ed anche i transessuali finiscono spesso nel mirino della polizia: “Ti racconto un piccolo episodio che mi è accaduto poco tempo fa. Stavo per andare al lavoro, all’angolo della strada c’era una pattuglia della polizia, come sempre. L’altro giorno però uno di loro è venuto verso di me e mi ha urlato ‘Sparisci!’. Io ho cercato di spiegargli che passo di lì tutti i giorni per andare al lavoro. Lui ha continuato a gridare, stava quasi per picchiarmi. Alla fine è arrivato un amico e abbiamo continuato a discutere. Noi abbiamo il diritto di passare di lì”.

In Turchia, come altrove, le difficoltà per i transessuali non si limitano certo ai rapporti con la polizia.

“Gli sguardi delle persone, le difficoltà nel trovare una casa. Per conquistarti il saluto dei vicini di casa devi aspettare un paio d’anni. Anche trovare lavoro è un impresa, il tuo potere di contrattazione nella vita sociale è più debole. All’università invece non ho avuto problemi perché ho cercato di mimetizzarmi”.

Con la sua famiglia invece Eylem, dopo non poche difficoltà, è riuscito a trovare un equilibrio “Le relazioni si sono normalizzate, soprattutto con mio fratello. Io li capisco in realtà. Un figlio maschio per loro era una sorta di investimento emotivo, scoprirmi così per loro ha significato perdermi. Non mi hanno perso completamente ma ancora oggi vorrebbero vedermi come un figlio maschio”.

Eylem nel raccontare di sé mantiene sempre la sensibilità del sociologo. “La nostra è una società patriarcale, è vero. La nostra economia è stata fin dall’epoca ottomana un’economia di guerra e non un’economia di produzione, un fatto che ha facilitato il consolidarsi di una società patriarcale. I successi militari potevano diventare anche fonte di successo economico e sociale, elementi che hanno incoraggiato l’aggressività maschile. Le donne finivano confinate in un ruolo passivo”.

Uomini e donne. Quando si parla delle relazioni di genere la questione del velo torna periodicamente alla ribalta.

“Il velo è certo un simbolo dell’isolamento della donna. Io credo però che la sua messa in discussione non debba venire dagli uomini. Il velo è una questione che riguarda le donne delle classi più povere della società. Per loro è più importante ricevere il sostegno della comunità che la liberazione personale. Io non credo che la questione del velo sia il problema principale delle donne, il velo copre altri problemi. Negli ultimi tempi si è creata una contrapposizione artificiale su queste questioni, si è creata una guerra culturale con fronti contrapposti.

Le donne laiche se sono più libere, lo sono però sempre all’ombra degli uomini. Io credo che né le donne kemaliste né quelle islamiste siano sulla strada giusta. Insultandosi a vicenda non si arriva da nessuna parte. I baffi contro il velo, si dividono quando sarebbe necessario unirsi. Abbiamo bisogno di una prospettiva che guardi il problema dal punto di vista della libertà”.

Ascoltando i racconti di Eylem riesce difficile non pensare all’apparente paradosso, comune ad altre società mediterranee, di una cultura fortemente patriarcale e machista nella quale allo stesso tempo il travestitismo è un elemento familiare. Nella società ottomana era il fenomeno dei köcek, letteralmente cucciolo di cammello. Giovani adolescenti, spesso di origine non musulmana, educati alla musica ed alla danza, che abbigliati con abiti femminili erano chiamati ad allietare feste private, matrimoni o riunioni negli hammam. E nella Turchia contemporanea ci sono figure smaccatamente trans come i cantanti Bülent Ersoy e soprattutto Zeki Müren, la cui splendida voce ha commosso generazioni di turchi, che sono ormai delle vere e proprie icone della cultura popolare.

Secondo Eylem però si tratta di episodi che rischiano di far dimenticare la realtà. “Certo sono molto popolari, sono una parte del divertimento. Nell’ambiente artistico viene riconosciuto a gay e travestiti uno spazio di manovra, vengono considerati un po’ come i giullari del re, hanno lo stesso ruolo. La gran parte di loro però è vittima della pressione sociale”.

La laurea in sociologia non ha esaurito la curiosità di Eylem che attualmente è iscritto ad un master in psicologia.

“Continuo a leggere ma adesso sento il bisogno di avere una formazione tecnica, penso che la psicologia possa aprirmi possibilità di lavoro, mi piace la psicologia. Vorrei lavorare ancora nel sociale, magari con le vittime di torture oppure sulla violenza alle donne. Qualcosa di simile a quello che sto facendo in questo periodo, solo lo vorrei fare in modo più professionale”.

Il nostro incontro è ormai giunto al termine. La vita di Eylem è piena di impegni che non possono attendere. Dopo l’ennesimo tè mi saluta non senza prima avermi lanciato un avvertimento: “Scrivi tutto, mi raccomando!”.
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