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Massimo turco

17.01.2008   

Massimo D'Alema
L'inserto del quotidiano Radikal dedicato all'Europa pubblica questo mese con grande evidenza un'intervista al ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema. La Turchia e l'Europa, la questione curda. Nostra traduzione
Di Mehmet Alì Birand, per Kriter, gennaio 2008

Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Fabio Salomoni



Cominciamo dalle relazioni tra Italia e Turchia. Come vanno?

Tra Italia e Turchia ci sono relazioni molto forti ed intense. A cominciare dall’economia, si tratta di una cooperazione in crescita in tutti i settori. La cosa positiva è che non si tratta solo di relazioni commerciali. Ogni giorno che passa aumentano i progetti comuni e le fusioni societarie. Questo dato mostra che le relazioni evolvono non solo a livello di governi ma anche nella società. Ci sono molte iniziative economiche, culturali, commerciali e tra le università. Elementi che mostrano come, con il passare del tempo, le relazioni bilaterali si stiano rafforzando. L’Italia poi sostiene la candidatura turca all’Unione Europea. Ma l’origine dello sviluppo delle nostre relazioni non è certo questa.

Fin dall’inizio l’Italia ha sostenuto la candidatura turca. Soprattutto nell’ultimo periodo però paesi come la Germania, la Francia e l’Austria frenano il percorso turco. E’ un problema che si risolverà?

Secondo me il problema piuttosto che tra i governi è nell’opinione pubblica europea. Tra la gente c’è paura. C’è la tendenza a difendere la propria religione e la propria identità culturale di fronte alla globalizzazione. C’è un settore dell’opinione pubblica che teme che l’adesione turca possa modificare l’identità europea. A mio avviso però questo atteggiamento contrasta con i valori dell’Europa e con i suoi valori fondanti, perché alle basi dell’Europa ci sono valori universali. Democrazia, libertà, giustizia sociale, diritti umani, rispetto per i diritti delle minoranze. Valori che non sono solo esclusiva dell’Europa. L’attuale atteggiamento dell’opinione pubblica europea contrasta con questi valori. A mio parere, tenendo presente lo scontro tra religioni e civiltà, la risposta migliore che si possa dare alla questione dell’adesione europea della Turchia è strategica.
Abbiamo vissuto una situazione analoga dopo il crollo del muro di Berlino. All’indomani del crollo in Europa non si è ignorata la necessità dell’unità dopo la guerra fredda. L’allargamento che comprendesse i paesi dell’Europa centro-orientale era una risposta strategica per le società che venivano dall’esperienza comunista. Oggi l’adesione della Turchia è la migliore risposta strategica alla guerra di religione. La migliore risposta da dare allo scontro tra la civiltà europea e l’Islam, mostrare che l’Europa non si fonda su valori religiosi ma su quelli universali e condivisi.

Si, ma c’è un problema con l’Islam. In genere lo si associa al terrorismo. Quando si parla di Islam vengono alla mente Gheddafi o Khomeyni. Se la Turchia non fosse stato un paese musulmano la sua adesione sarebbe stata più facile?

E’ possibile che alcuni settori europei abbiamo un approccio di questo genere. Ma a mio avviso è estremamente sbagliato perché del resto l’Islam è già un pezzo della società europea, in Europa vivono milioni di musulmani. Inoltre fare confronti con Gheddafi o Khomeyni è estremamente sbagliato. Il fondamentalismo è un’altra questione.

Ma secondo lei questo non può essere uno svantaggio? L’Europa non è preoccupata dell’arrivo di altri 70 milioni di musulmani?

Secondo me la questione dell’integrazione va al di là dell’aspetto religioso. La Romania non è un paese musulmano ma oggi abbiamo seri problemi con l’integrazione della Romania. Non bisogna associare la questione solamente all’Islam.

Ma se la Turchia rispettasse i criteri di Copenaghen, un giorno le si potrà dire: “Scusa ma non è possibile”? Ad esempio Sarkozy potrebbe ancora dire di no?

Che cosa pensi Sarkozy non lo so ma io non credo sia possibile. Fin da ora i negoziati stanno svolgendo un ruolo molto importante e positivo. Le riforme che si fanno in Turchia godono di un grande sostegno in Europa. Fin a quando voi continuerete a mandare messaggi positivi, ad esempio per quanto riguarda l’articolo 301, la democrazia, le libertà, i diritti umani, credo che questo clima cambierà. L’Europa ha bisogno di ricevere messaggi di questo genere. Sono molto importanti non solo per i governi ma anche per l’opinione pubblica.
Se si chiudessero le porte alla Turchia, non sarebbe bene nè per l’Europa nè per la Turchia. Che la Turchia si rivolga altrove non è positivo per nessuno.

E’ possibile vedere la Turchia come una sorta di tampone tra l’Europa ed il mondo musulmano?

La Turchia ha rispetto all’Europa una popolazione più giovane e più numerosa. Inoltre la crescita economica è superiore a quella dell’Europa. L’Europa, con l’ingresso della Turchia diventerà ancora più forte. E’ un vantaggio importante. Io sostengo la candidatura turca non solo per il bene della Turchia ma anche per il nostro. Trovo estremamente importante la politica della Turchia nel Mediterraneo. Ad esempio la forza di pace in Libano nella quale la Turchia è presente al nostro fianco è un messaggio molto importante per la pace e la stabilità.

L’Europa non ha riconosciuto troppo tardi il PKK come organizzazione terroristica?

La questione curda in settori importanti dell’Europa era percepita in modo diverso. Era vista come una questione legata all’identità, alla lingua ed ai diritti umani. Si nutriva simpatia per una società verso la quale non si mostrava rispetto in tema di diritti umani, di libertà e diritti fondamentali. Io condivido e comprendo molto bene le reazioni della Turchia. Non è assolutamente possible accettare gli attacchi terroristici del PKK. Ma per vincere sia la guerra contro il PKK sia per guadagnarsi l’appoggio della comunità internazionale la lotta non deve essere condotta solo sul piano militare. E’ molto importante che prosegua anche a livello politico e costituzionale. E’ possibile isolare gli estremisti ed i terroristi solamente in questo modo. Quando la Turchia darà spazio al dibattito politico, al diritto dei curdi ad avere un’istruzione nella loro lingua e quando farà una politica che difende gli altri diritti. La Turchia a questo proposito ha fatto importanti passi in avanti.

La simpatia per il PKK in Europa continua?

No. Diminuisce con il tempo. Perché come ho detto la Turchia ha fatto passi importanti. E’ molto importante che oggi ci siano non pochi rappresentanti curdi in parlamento. Ed è un messaggio nuovo. Perché mostra che i curdi hanno avuto l’opportunità di esprimersi e di avere un ruolo attivo dentro la realtà democratica e politica. Tutti si accorgono che la violenza non paga. Io credo che se la Turchia continuerà da una parte a riconoscere diritti sul piano politico e dall’altra a rifiutare il terrorismo avrà compiuto un importante passo in avanti.

L’attualità politica turca comprende anche la questione della chiusura di un partito. Ci sono esempi del genere in Italia?

No, mai. Il problema italiano è semmai il contrario, quello di avere più partiti del necessario ma non si parla certo di chiusura di partiti.

Un partito politico non dovrebbe prendere le distanze dal terrorismo?

Senza dubbio. Tutti devono rispettare le leggi. Ma questo è un argomento molto delicato. Oggi la chiusura di un partito rappresentato in parlamento in Turchia sarebbe un messaggio molto pericoloso.

Per chi?

Prima per i curdi e poi certo per tutti. La chiusura di un partito politico potrebbe far nascere in molti curdi la sensazione che non esiste altra speranza che avvicinarsi al PKK. E questo sarebbe negativo non solo per i curdi ma anche per la Turchia e l’Europa.

Anche se questo partito condividesse il punto di vista del PKK e fosse una sua espressione?

C’è una differenza tra condividere il punto di vista e usare la violenza. Ma certo una condizione irrinunciabile per un partito politico è prendere le distanze dalla violenza, dal terrorismo. Questo punto è estremamente chiaro. La politica è il contrario del terrorismo. Credo che nel momento in cui la Turchia si accostasse positivamente ai curdi, non solo come cittadini ma anche dal punto di vista della rappresentanza politica, progressivamente il terrorismo verrebbe isolato.
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