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mercoledì 07 settembre 2022 15:47

 

''EULEX illegittima ed illegale''

22.02.2008    Da Kosovska Mitrovica, scrive Francesco Martino

Milan Ivanovic
Intervista esclusiva con Milan Ivanovic, segretario generale del Consiglio serbo del Kosovo del nord, uno dei leader più influenti del Kosovo settentrionale, incontrato dal nostro inviato alla vigilia della manifestazione di Belgrado
Oggi (ieri per chi legge) Belgrado e la Serbia intera, manifesta contro l’indipendenza del Kosovo dichiarata lo scorso 17 febbraio da Pristina. Cosa si aspettano i serbi del Kosovo da questa manifestazione?

Si è reso evidente che la Serbia non intende accettare supinamente la decisione che le venga sottratta una parte del paese. Siamo all’inizio di una nuova resistenza contro le forze internazionali che ci vogliono portar via il 15% del nostro territorio, e quelli che a Belgrado hanno provato a anestetizzare la situazione, promettendo all’Occidente che la Serbia non avrebbe tremato, che avrebbe accettato la situazione, non hanno avuto ragione. Noi non accetteremo mai né una dichiarazione unilaterale di indipendenza, né il riconoscimento che giunge soprattutto dai paesi occidentali. Oggi inizia una lotta per far tornare il Kosovo all’interno della cornice legale dello stato serbo, una lotta che sarà naturalmente portata avanti con metodi legittimi e democratici, con proteste e manifestazioni. La Serbia si sta svegliando, così che le pedine che l’Occidente ha piazzato a Belgrado non possono impedire questo grande movimento serbo per la libertà.

Ma come giudica la reazione di Belgrado alla dichiarazione di indipendenza?

Credo che il governo di Belgrado non abbia reagito in modo sufficientemente energico. Questo, però, era in parte prevedibile, visto che dopo la caduta di Milosevic alcuni dei ministri del DOS avevano promesso ripetutamente all’Occidente che non ci sarebbero state vere reazioni, sostenendo di comprendere che il Kosovo era in realtà già perso. Sono le stesse persone che allora l’Occidente aveva messo al potere. Oggi però le cose stanno cambiando, e anche quelli che all’epoca hanno puntato all’ingresso nell’Ue, a prescindere dal destino del Kosovo, devono fare i conti con il popolo serbo, e soprattutto con i giovani, ed io credo che saranno presto politicamente marginalizzati e scompariranno, mentre la Serbia sarà compatta nella lotta per conservare la propria integrità territoriale.

Si manifesta, ormai ogni giorno, anche a Mitrovica. Ci sono stati anche vari incidenti, tra cui la distruzione di due punti di frontiera. Come giudica la situazione?

Le reazioni avute nei giorni scorsi nel Kosovo settentrionale sono un segno evidente che i serbi non accetteranno l’indipendenza di una nazione albanese su questo territorio, né le sue istituzioni. Noi siamo in Serbia, vogliamo le nostre istituzioni, una richiesta al tempo stesso legale e legittima. Venendo ai fatti di due giorni fa, la distruzione dei container delle dogane sul confine amministrativo tra il Kosovo e il resto della Serbia, messa in atto da migliaia di persone, mostra chiaramente che non vogliamo, alcun confine tra Kosovo e Serbia, perché noi siamo in Serbia. Dopo le illazioni che il controllo delle dogane sarebbe stato preso da poliziotti albanesi del Kosovo Police Service e del Kosovo Protection Force (TMK), migliaia di persone si sono mosse per impedire che questo avvenisse. Comunque alla fine non ci sono state conseguenze più serie, oltre alla distruzione dei container, e nessuno dei poliziotti dell’Unmik è rimasto ferito, perché la frustrazione e la rabbia non erano diretti contro di loro.

Nei giorni scorsi erano circolate voci sul possibile abbandono del servizio da parte dei poliziotti serbi del KPS, dopo la dichiarazione di indipendenza, ma questo non è avvenuto. Cosa succede?

Gli ufficiali di polizia non hanno abbandonato il loro posto di lavoro, ma sono ormai tagliate tutte le relazioni dei nostri poliziotti con Pristina, perché i serbi, e tra loro anche i poliziotti serbi del KPS, non riconoscono questo stato fasullo sul proprio territorio. Oggi i nostri uomini non sono più sotto il comando degli albanesi di Pristina, ma agiscono in collaborazione con la polizia dell’Unmik e delle forze della Kfor. Questo perché noi non neghiamo il valore della risoluzione 1244, e la rispettiamo, al contrario di quanto fa l’Unione Europea ed anche l’Italia, che oggi (ieri per chi legge N.d.A) riconoscerà il Kosovo: senza una nuova risoluzione questo è un atto di violenza, un’aggressione. Noi siamo pronti a collaborare con chi rispetta la 1244, non con una falsa missione europea, che non sarà mai la benvenuta sul territorio serbo.

Da parte serba è stata già presa chiaramente posizione contro l’arrivo della missione europea in Kosovo. Quali mezzi pensate di utilizzare per contrastarla? Saranno mezzi pacifici?

E’ evidente che negli anni passati sono stati gli albanesi a far ricorso alla violenza, e non i serbi. Noi lottiamo con mezzi democratici. Impediremo l’arrivo dei funzionari della missione europea con manifestazioni e proteste, bloccando le strade, con i metodi della disobbedienza civile. Lo impediremo perché non hanno la base legale per venire qui, e rappresentano soltanto una spedizione punitiva, una vera occupazione. Noi non permetteremo l’occupazione del nostro territorio, ed io credo che gli europei comprenderanno la situazione, e che rinunceranno a presentarsi a nord dell’Ibar. E’ chiaro che potrebbe esserci un tentativo di forzare la situazione con le forze della Kfor, che potrebbe abdicare agli impegni presi con la 1244, e passare dalla parte di una missione europea illegittima e illegale. La violenza, quindi, può venire soltanto da parte dell’Ue, ma il tentativo di implementare con la forza la missione porterà ad un allargamento della destabilizzazione non solo in Kosovo, ma anche nella regione. Questa destabilizzazione sarebbe di lungo termine, perché la Serbia non rinuncerà mai al Kosovo.

Crede che dopo la dichiarazione di indipendenza di Pristina, la prospettiva di divisione del Kosovo sia divenuta più reale?

La decisione di Pristina di dichiarare l’indipendenza, con l’appoggio di Washington, e purtroppo anche di Bruxelles, interrompendo i negoziati dopo pochi mesi mentre, ad esempio, in Palestina e a Cipro vengono portati avanti da decenni, è la causa prima della situazione di conflitto latente e di divisione. Gli albanesi affermano di non poter vivere con i serbi, all’interno dello stato serbo. Come possono allora costringere i serbi a vivere con loro, se portano avanti una politica di pulizia etnica nei nostri confronti? Ripeto: solo attraverso veri negoziati si può arrivare alla pace e alla stabilità, e non con la violenze e la violazione del diritto internazionale.

Ma nella situazione attuale, lo scenario della spartizione sarebbe per lei accettabile?

Oggi la possibilità di una spartizione è una della possibilità sul tavolo. Sarebbe una soluzione meno buona sia per gli albanesi che per i serbi, ma in ogni caso meno disastrosa che permettere la creazione di uno stato albanese sulla nostra terra, che ci costringerebbe ad abbandonare definitivamente il Kosovo. In ogni caso, di questa idea si può parlare, ma sarebbe illusorio limitarla solo a Mitrovica e al Kosovo settentrionale. I serbi vivono anche in altre parti della regione, e quindi bisognerebbe discutere degli interessi serbi e albanesi nel loro complesso.

Non sempre le posizioni politiche dei serbi del Kosovo che vivono a nord e a sud dell’Ibar sono state sulla stessa lunghezza d’onda. La dichiarazione di indipendenza porterà a iniziative coordinate?

Tra noi c’è un alto grado di unità. La differenza è che i serbi a sud dell’Ibar vivono in condizioni più difficili, circondati da un ambiente ostile, mentre noi abbiamo la libertà di comunicare direttamente con la Serbia. Esiste poi un piccolissimo gruppo di serbi, pagati da Pristina e dai suoi mentori, che fanno gli interessi degli albanesi. Parlo di quelli eletti al parlamento di Pristina, sulla base di un’affluenza alle urne insignificante. C’è il tentativo dell’Unmik e della Kfor di far passare questi personaggi come rappresentanti legittimi dei serbi, come era successo quattro anni fa con la “lista virtuale” serba, che aveva ottenuto lo 0,3% dei voti. E’ proprio la difficoltà di muoversi liberamente che ha impedito fino ad ora una sincronizzazione migliore delle nostre iniziative. Tra i serbi a nord e a sud dell’Ibar, però, c’è unità d’intenti e di obiettivi.
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