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Sullo stesso mare in tempesta

13.08.2008    scrive Mihaela Iordache

La Romania guarda con attenzione gli avvenimenti sulla sponda orientale del mar Nero, sconvolta dal conflitto in Georgia. Sulla stampa romena in risalto i rischi per la vicina Moldavia, il "precedente Kosovo" e le conseguenze sullo scacchiere regionale e energetico
Mentre la guerra divampava sulla sponda orientale del Mar Nero, a soli 1500 chilometri dalle coste della Romania, al presidente Traian Basescu toccava di presiedere il Consiglio supremo per la difesa del paese, convocato d’urgenza, senza la presenza di alcuni suoi membri importanti. Come il premier liberale Calin Popescu Tariceanu (che era in vacanza), i capi dei servizi segreti oppure il ministro delle Finanze, Varujan Vosganian (rappresentante della minoranza armena). Si sono invece regolarmente presentati alla seduta, iniziata alle 20 di sabato scorso, tra gli altri, il ministro della Difesa Teodor Melescanu e il ministro dell’Interno Cristian David.

I conflitti congelati della zona del Caucaso e del Mar Nero interessano da vicino la politica estera romena ma, soprattutto, hanno appassionato il presidente Basescu che in passato non ha esitato ad accusare la Russia di voler trasformare il Mar Nero in “un lago russo”. In effetti, la sicurezza del Mar Nero è stata oggetto di frequenti dibattiti, come al summit Nato tenuto a Bucarest lo scorso aprile, dove le aspirazioni della Georgia ad entrare nell’Alleanza nord atlantica sono state congelate da Francia e Germania.

La prima risposta della Romania al conflitto scoppiato nel Caucaso è stata di riaffermare la “necessità del rispetto della sovranità e dell’integrità della Georgia”. Bucarest, inoltre, ha fatto un “appello affinché tutte le parti diano prova di responsabilità e di cessare immediatamente le ostilità in vista della creazione delle condizioni per i negoziati che garantiscano la pace e la stabilità nella regione.” Un linguaggio diplomatico criticato dalla stampa di Bucarest, che ha accusato i politici romeni di praticare la politica dello struzzo.

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Martedì (dopo l’annuncio del presidente russo Dmitri Medvedev del cessate il fuoco), un secondo Consiglio supremo per la difesa del paese riunito questa volta al completo avrebbe analizzato, secondo fonti del ministero della Difesa, un possibile coinvolgimento della Romania nel processo di pace in Georgia come negoziatore, partendo dell’amicizia tra Traian Basescu e il presidente georgiano Mikhail Saakasvilli. Non è chiaro, però, che segnali voglia mandare la Romania in questo senso, e quanto il suo obiettivo sia raggiungibile. Nel frattempo, infatti, il presidente francese Sarkozy sembra essersela cavata egregiamente tutto da solo. Dal suo canto, il leader del partito socialdemocratico, Mircea Geoana, ha chiesto a Basescu di aggiornare la strategia di sicurezza del paese, visto che la Romania si trova tra due zone di conflitto: Kosovo e Caucaso.

Diverso, invece, l’atteggiamento dei media romeni, che non hanno esitato a sottolineare i possibili effetti della guerra per la repubblica separatista dell’Ossezia del Sud. Per Evenimentul Zilei, quello che è avvenuto in Georgia rappresenta un avvertimento per la Romania e il quotidiano si domanda cosa potrebbe accadere se nella Repubblica di Moldavia (l'ex Bessarabia romena fino al 1939) andasse al potere un governo democratico. Il presidente romeno ha dichiarato negli ultimi giorni che la Moldavia non corre il pericolo di essere coinvolta in una situazione simile a quella della Georgia. Evenimentul Zilei commenta però che le assicurazioni di Basescu valgono ora che a Chisinau i comunisti sono al potere. Ma se la situazione dovesse cambiare, cosa accadrebbe se il regime separatista della Transnistria entrasse in conflitto con le autorità della Moldavia?

Per altri giornalisti romeni con l’intervento nel conflitto dell’Ossezia del Sud Mosca ha voluto riaffermare la sua influenza nella zona caspica, ricca di risorse energetiche. E per molti analisti il risultato di questo conflitto è una sorta di annessione dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia alla Russia.

La Georgia è in una situazione paragonabile a quella della Serbia, scrive Cotidianul. Sia l’Ossezia del Sud che l’Abkhazia (già repubbliche autonome della Georgia ai tempi dell’URSS, autonomia revocata dalla Georgia divenuta indipendente alla dissoluzione dell’Unione Sovietica) sono popolate in maggioranza da gruppi etnici non georgiani. Dopo l’autoproclamazione dell’indipendenza del Kosovo alcuni paesi, tra cui la Romania e la Russia, hanno rifiutato di riconoscere il nuovo piccolo stato. Il presidente russo aveva allora avvertito la Romania che il precedente Kosovo avrebbe potuto riaccendere tensioni nazionaliste interne in Transilvania. In realtà Bucarest vedeva nel "precedente Kosovo" un potenziale pericolo per la situazione in Transnistria, senza preoccuparsi poi tanto per le provincie di Harghita e Covasna, abitate da popolazione in maggioranza magiara. Ma Putin evidentemente "parlava a nuora perché suocera intenda”, ricordando che sia l'Ossezia che Abkazia aspettavano il riconoscimento ufficiale russo alle proprie richieste di indipendenza.

Nelle scarne dichiarazioni sul conflitto del Caucaso, il presidente romeno ha ammesso che in Romania “è suonato il campanello d’allarme” per il conflitto congelato della Transnistria. Ma “secondo tutte le nostre analisi nella Transnistria non accadrà quello che è successo in Ossezia del Sud e in Abkhazia”. Basescu non ha voluto però offrire dettagli su queste analisi, votate all'ottimismo nonostante i soldati russi continuino a presidiare la Transnistria malgrado impegni internazionali che prevedano un loro ritiro.

La Russia, intervenendo in difesa dei separatisti dell’Ossezia del Sud, ha voluto anche dimostrare che la Georgia non è un'alternativa seria per il transito degli idrocarburi e neanche un potenziale membro della Nato. Così facendo, ha colpito direttamente lo sforzo della Romania e di altri stati Ue di ridurre la propria dipendenza energetica da Mosca. La guerra ha messo a rischio la sicurezza del sistema di trasporto energetico. Sono in pericolo futuri progetti, tra quali anche il gasdotto Nabucco. In questi giorni sono diminuite le quantità di gas e petrolio verso l’Europa che non transitano sul territorio russo. Non è solo una guerra per il predominio geopolitico, ma anche una guerra di gasdotti ed oleodotti. Tra l'altro, era appena stato inaugurato l’oleodotto Baku -Tbilisi-Ceyhan che trasporta oltre l’1% della quantità mondiale del petrolio dalla zona caspica all'Europa, diminuendo gli export della Russia verso il mercato occidentale. Da questo punto di vista anche il progetto Nabucco costituisce per la Russia una vera minaccia .

Bucarest è interessata da anni a promuovere il progetto Nabucco, che dovrebbe trasportare gas dall’Iran e Turkmenistan verso l’Europa. I principali attori sono l’Unione europea da una parte e le compagnie multinazionali OMV (Austria) e Mol (Ungheria) dall'altra. Il progetto, sponsorizzato dagli USA, punta a tagliare fuori la Russia aggirandola. E nelle moderne ”guerre energetiche” si fa più spazio, per l’ennesima volta nella storia, il ruolo delle divisioni etniche, spesso usate per difendere interessi politici e geostrategici. La Russia ha mandato un messaggio molto forte per dimostrare quanto conti sul teatro regionale, e che è sempre pronta ad intervenire là dove ci sono cittadini con il passaporto russo. Un grande successo per la Russia e per l’Ue (vista la mediazione del presidente francese) e una sconfitta per gli Stati Uniti.
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