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Rasim Delić all'Aja
Rasim Delić, ex capo di Stato Maggiore dell’Esercito della BiH, è stato condannato a tre anni per responsabilità di comando sui crimini della brigata "El Mujahed". Dure reazioni da parte serba e croata, mentre le vittime sembrano essere sempre più dimenticate
Il 15 settembre scorso il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia (TPI) ha emesso la sentenza di prima istanza nel processo contro di Rasim Delić, l’ex capo di Stato Maggiore dell’Esercito della Bosnia Erzegovina (Armija Bosne i Hercegovine).
Pur col dissenso del giudice Moloto, la Corte ha stabilito a maggioranza che il generale Delić esercitava un controllo effettivo sulla famigerata unità “El Mujahed” (composta da combattenti provenienti da paesi islamici N.d.R.), ma non era a conoscenza dei crimini da essa commessi. La maggioranza della Corte, inoltre, ha ritenuto Rasim Delić responsabile dei crimini commessi nel villaggio Livade e nel campo di detenzione di Kamenica, condannando l'imputato a tre anni di prigione.
L’atto di accusa - redatto secondo l’articolo 7(3) dello Statuto del Tribunale, relativo alla responsabilità del superiore gerarchico per i crimini commessi dai suoi subordinati- incriminava l’ex generale Delić per omicidio, trattamento crudele e stupro, ovvero per “violazione delle leggi e del costume di guerra”.
L’accusa, infatti, ha provato al di là di ogni ragionevole dubbio che i crimini per i quali Delić era accusato sono stati effettivamente commessi: in particolare, l’omicidio di 24 rappresentati della Difesa Militare Croata (Hrvatska vojna odbrana) nell’area di Maline e Bikoše, nel giugno del 1993; gli omicidi e il trattamento crudele di 12 detenuti serbi, tra cui anche tre donne, nonché l’omicidio di 52 soldati serbi e il trattamento crudele di altri 10 detenuti nel villaggio di Kesten e nel campo di detenzione di Kamenica.
Anche se tra Delić e l’unità dei soldati stranieri “El Mujahed” esisteva un rapporto di subordinazione, reso ufficiale il 13 agosto del 1993 con un ordine emesso e firmato dallo stesso Delić, la camera di prima istanza si è persuasa che Delić non avesse ragione di credere che i soldati di “El Mujahed” sarebbero potuti arrivare ad assassinare i detenuti, perché, citando la sentenza, “le informazioni sulle intenzioni dei rappresentanti di quella formazione militare di commettere crimini non erano abbastanza allarmanti da potervi includere l’omicidio”.
Il processo sul caso Delić è iniziato il 9 luglio del 2007, e in 7 mesi l’accusa ha chiamato alla sbarra 52 testimoni, chiedendo infine una pena di quindici anni, mentre la difesa ha presentato le sue controprove in poco meno di due mesi. Per la prima volta nella storia del TPI due udienze sono state tenute alla Corte della Bosnia Erzegovina, a Sarajevo.
Dure le reazioni alla sentenza degli esponenti croati e serbi di Bosnia. L’Unione Democratica Croata (HDZ) della BiH ha dichiarato di essere stata “sgradevolmente sorpresa” dalla sentenza del Tribunale dell’Aja. Anche la parte serba, in particolare l’Unione degli ex detenuti della Republika Srpska, è convinta che “Delić sia stato proclamato un eroe” dalla decisione del TPI. Diversa è stata invece la reazione del presidente della BiH, Haris Silajdžić, che si aspettava la piena assoluzione dell'imputato.
Senza entrare nelle sfumature giuridiche, ma rimanendo all’impatto che le sentenze pronunciate dal Tribunale internazionale hanno sull’opinione pubblica nei Balcani, non si può sfuggire alla sensazione di assistere a una partita di calcio. La parte croata si dice delusa per il fatto che i giudici (l’arbitro) non usino la stessa misura per loro e gli “altri”. Mentre nella stampa serba si trovano i commenti del tipo “BiH-Serbia, 8,5 a 280”, dove i numeri si riferiscono alla durata delle pene comminate ai rispettivi connazionali.
Ma dall'Aja, da dietro le finestre di un Tribunale perennemente avvolto nella nebbia e nella pioggia di quest’autunno olandese, viene da chiedersi come sia possibile che nessuno rivolga almeno un pensiero fugace alle vittime nascoste dietro i numeri della sentenza.
Forse bisognerebbe ricordare più spesso che uno degli scopi principali del Tribunale dell’Aja è la ricerca di risposte per le vittime, e l’attribuzione delle responsabilità individuali, e non di quelle collettive.
Nel caso di Delić, la domanda di appello dovrà essere presentata entro il 15 ottobre. In ogni caso, i diretti responsabili per i crimini della formazione “El Mujahed” non saranno imputati. Resta solo la speranza che la strategia del completamento del TPI giunga a buon fine, e che davanti alle Corti nazionali si creino le condizioni per una riconciliazione durevole nei Balcani Occidentali.