"Toka jone", di Hysen Hakani
Autore del primo film albanese per il grande schermo, Hyser Hakani ha attraversato l'intera parabola del cinema nel "paese delle aquile". Oggi il regista si occupa di poesia, ma spera in un cinema che sappia ancora esprimere il carattere nazionale e trasmettere ottimismo
Hysen Hakani ha completato i suoi studi a Praga alla fine degli anni '50. E' il regista del primo film per il grande schermo albanese "Femijet e saj", (I suoi bambini, 1957). Il suo film "Debatiku" (1961) sulla partecipazione dei bambini alla guerriglia antifascista è uno dei film più visti e conosciuti del cinema albanese. Hakani è autore anche di diversi film documentari.
Com’è entrato nel mondo del cinema?
Sin dalle elementari, alla fine degli anni '30 a Tirana, giocavo a fare cinema, amavo l’arte, scrivevo poesie, cantavo e suonavo la fisarmonica. Ho frequentato il liceo artistico, recitavo, e quasi ogni settimana mi invitavano nelle aziende a recitare per i dipendenti. Nel '47 mi hanno preso per una pièce teatrale per il ruolo di un castagnaio. Poi ho vinto la borsa di studio in cinematografia, all’estero, dove mi sono laureato a pieni voti. Il mio lavoro di tesi è stato il film “Femijet e saj” (I suoi bambini), il primo film per il grande schermo albanese.
Di cosa parla “Femijet e saj”?
E’ la storia di un bambino che, morso da un cane, viene curato da una maga. Nel film il bambino però non si salva, e lei dopo la liberazione diventa un’educatrice, da qui il titolo “I suoi bambini”. La maga è la figura più bella del film.
Che importanza ha avuto il cinema albanese per la società dell’epoca?
La fondazione del cinema albanese è stata una delle migliori invenzioni, perché ha permesso di testimoniare molti episodi dell’epoca grazie ai film documentari; come la bonifica del fiume Lana nel ‘45-‘46 da parte dei volontari, o l’arrivo dell’acqua potabile a Tirana.
Come funzionava la censura e l’autocensura?
La censura incominciava già dal progetto: ci veniva presentato il piano tematico, e noi dovevamo solo applicarlo. Persino i nomi dei personaggi ci venivano imposti: uno si doveva chiamare Niko, l’altro Krenar. Più di una scena del film “Il circo in campagna” è stata censurata, ho dovuto modificare il film “la Coscienza” inserendo tutti i personaggi che mi sono stati richiesti, altrimenti non me l'avrebbero fatto produrre. Anche per “Mysafiri” (l’Ospite) ho avuto dei problemi, perché la mia rappresentazione di un locale rendeva attraente il capitalismo.
Quali erano le tematiche? Avevate delle direttive?
Era molto difficile avere delle tematiche proprie, di solito venivano applicate strettamente quelle che c’erano.
Che cosa distingue il cinema albanese dagli altri?
Nei film albanesi deve dominare la tematica albanese trattata “albanesemente”. All’epoca, due giovani innamorati non si potevano baciare e abbracciare in pubblico, dovevano guardarsi attorno, a destra e a sinistra, se c’era qualcuno che li poteva vedere. Non sono un conservatore, ma bisogna rispecchiare la realtà.
Come è stata creata la prima scuola del cinema?
E’ stato merito di Sokrat Mio, e di un altro attore che non viene mai menzionato, Nikolla Panajoti. Era brillante. Sokrat ha fondato il Teatro Nazionale Albanese.
Cos’ha ereditato il cinema albanese di oggi dal passato?
Oggi il cinema non ci sarebbe se non fosse per i duri tempi degli esordi, quando si faceva la fame per lavorare. Grazie alla scuola di cinema si è cominciato ad insegnare cos’è il primo piano, cosa significa esposizione, come si espone il conflitto principale, i sub conflitti, come vengono risolti, se parallelamente o in discontinuità.
Lei diceva che all’epoca il cinema albanese subiva l’influenza del neorealismo italiano. Invece nel post comunismo, si nota ancora questa tendenza o ci sono altri influssi?
Ejzenstejn, nonostante fosse tra i primi registi che si conoscano, rimane tuttora un pilastro, Chaplin riusciva a produrre commedie dalle tragedie. Il neorealismo trasmetteva la realtà com’era. Un proverbio dice: non dipingere il diavolo più brutto di quello che è.
Spesso la gente guarda i film di una volta. Secondo lei, questo avviene per nostalgia o perché si tratta effettivamente di buoni film?
Mi piace questa domanda. Questo avviene perché la gente ama i nostri vecchi film, perché rispecchiano lo spirito albanese, si vede che si svolgono in Albania.
Il lavoro del cineasta è più difficile oggi o quando lavorava lei?
Bisogna considerare due elementi, la libertà di espressione e l’aspetto economico. Per quanto riguarda la libertà di espressione si sta meglio oggi: non esiste più il piano tematico, quindi il regista è libero di scegliere il tema che più gli interessa e di trasmettere il suo messaggio al pubblico. Dal punto di vista economico, oggi si sta meglio nella misura in cui si riescono a procurare i finanziamenti; noi lavoravamo in condizioni molto misere rispetto ad oggi.
Di cosa si occupa lei adesso?
Io scrivo poesie. Questo perché le finanze sono diventate una nuova forma di censura. Con un film posso trattare un tema, mentre con le poesie posso trattarne centinaia.
Come vorrebbe che fosse oggi il cinema?
Vorrei che fosse più albanese possibile. Che si sentisse l’”albanesità”, l’amore per il proprio paese, l’ottimismo per un futuro migliore.