Trovato a: http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/10554/1/42>
Fotografie: Andrea Rossini*
Si chiamava Vahid Zahirović, aveva 35 anni, era di Jablanica. E' morto il 23 ottobre scorso a mezzogiorno sul campo minato di Zaloški Grabeš, vicino a Bihać. Lavorava per una ditta locale, l'Associazione per l'eliminazione delle mine. E' l'ultima vittima di una lunga serie di incidenti che stanno funestando la comunità degli sminatori bosniaci.
In Bosnia Erzegovina (BiH), 13 anni dopo la fine della guerra, ci sono ancora tra le 200 e le 250.000 mine (1) disperse su un territorio di circa 2.000 chilometri quadrati. Le vittime registrate per l'esplosione di questi ordigni, dal 1992 ad oggi, sono 5.003. La maggior parte di loro, 3.339, sono stati feriti o uccisi durante la guerra. Il resto durante la pace. La distribuzione dei campi minati segue grosso modo quella che era la linea di confronto tra gli eserciti. In conseguenza della rottura del fronte avvenuta nell'estate del '95, la maggioranza dei campi sono andati in eredità alla Federazione, una delle due entità in cui il Paese è diviso.
Secondo la visione contenuta nella “Mine Action Strategy”, un documento approvato dal Consiglio dei Ministri della BiH il 24 aprile scorso, la Bosnia dovrebbe essere libera dal rischio mine entro il 2019. L'organismo preposto al coordinamento e alla supervisione di tutte le attività di sminamento nel Paese è il BH MAC, una struttura del ministero per gli Affari Civili della Bosnia Erzegovina.
Il BH MAC, in collaborazione con gli ex eserciti, fornisce – quando possibile (2) - la cartografia dei campi minati, dà l'accreditamento alle organizzazioni di sminatori, ne verifica e controlla le attività. In questo momento le organizzazioni accreditate sono 35. Si dividono in organizzazioni non governative (ong) di tipo umanitario e in organizzazioni commerciali. Nella prima categoria rientrano anche quelle ong internazionali, come l'italiana Intersos o la Norwegian People's Aid, che operano in Bosnia grazie ai fondi allocati dai rispettivi governi. Tutte le altre lavorano sulla base di gare d'appalto, organizzate in particolare nel quadro dell'
International Trust Fund, una sorta di collettore di fondi a livello internazionale con sede legale in Slovenia.
Il costo dello sminamento per metro quadro può variare di molto, soprattutto in relazione alla natura del terreno da affrontare. La tendenza generale, tuttavia, è quella verso una sempre maggiore riduzione delle spese: “Subito dopo la guerra le cifre potevano arrivare a 20 marchi convertibili [circa 10 euro] per metro quadro. Adesso siamo sui 2 marchi a metro quadro”, mi spiega Svjetlana Trifković, portavoce del BH MAC.
Il prezzo è determinato dalle offerte presentate durante le gare d'appalto. Chi vince si aggiudica la porzione di territorio da sminare. L'offerta migliore, come in un qualsiasi appalto per un cantiere edile, coincide per lo più con il prezzo più basso: “C'è una commissione di valutazione formata da rappresentanti del BH MAC, dell'ITF e dei donatori. Si valutano l'esperienza, le capacità dell'organizzazione, il piano di esecuzione. Certo, la cosa più importante è il prezzo”, conferma la Trifković.
Gli sminatori, in Bosnia Erzegovina, sono circa 3.000 persone. Molti di loro sono militari smobilitati. Lavorano di media per 700 euro al mese. In questi anni la loro comunità ha avuto quasi un centinaio di vittime. 40 sono stati fino ad ora gli incidenti mortali. Le statistiche non sembrano segnare una diminuzione degli incidenti. Anzi, l'andamento di quest'ultimo anno è stato particolarmente nefasto, con sei morti e due feriti, oltre a due poliziotti e un rappresentante della Protezione Civile uccisi dalle mine mentre stavano cercando di delimitare un campo minato appena scoperto.
La stragrande maggioranza degli ultimi incidenti, come quello che è costato la vita a Vahid Zahirović, sono stati causati da un tipo particolare di mine, le Prom. Sono mine di fabbricazione jugoslava. Vengono interrate e, se attivate, esplodono scattando a mezz'aria e rilasciando centinaia di schegge. “Sono le più micidiali. Con le altre si riesce a lavorare, con queste è un disastro. Se scoppiano bisogna ringraziare il cielo se sopravvive il collega a 50 metri di distanza”, mi spiega l'ingegnere Vito Alfieri Fontana, esperto della Cooperazione Italiana e responsabile di Intersos in Bosnia Erzegovina.
Le mine sono state collocate nel corso della guerra 1992-95. Dopo tanti anni, il fattore tempo incide diversamente a seconda dei tipi di mine. Ci può essere un ciclo di decadimento “positivo”, ad esempio con capsule detonanti che si attivano con maggiore difficoltà, o un ciclo di decadimento catastrofico: “Alcune mine diventano più instabili con il passare del tempo, e questo rende il lavoro più pericoloso – continua l'ingegner Alfieri Fontana. E' il caso delle Prom. Se il meccanismo interno si deteriora, e le molle perdono di forza, possono sparare prima. A volte basta sfiorarle.”
Le Prom non possono essere disinnescate. E' troppo pericoloso. Devono essere isolate e fatte esplodere a fine giornata da un artificiere. Queste sono le norme contenute nelle procedure standard di sminamento approvate per la Bosnia Erzegovina. Ci sono molte regole che gli sminatori devono rispettare nel corso delle operazioni. Come anche il mantenimento delle distanze di sicurezza. Nel malaugurato caso di incidente con una Prom morirerebbe al massimo uno sminatore, non due o tre. Non sempre però le cose vanno come previsto.
Il 12 luglio sulla montagna di Crni Vrh, a Maglaj, sono morti Vehid Jusufagić e Enes Subašić. Stavano sminando in località Krč e sono stati uccisi da una Prom. Il 18 marzo scorso, sul monte Ozren, sono morti per l'esplosione di una Prom Admir Redzić e Fahrudin Hodzić mentre un loro collega, Enver Dautović, è rimasto gravemente ferito. Stavano sminando a Karanovac, nel campo Sprecanskom, comune di Petrovac. In quell'occasione la stampa locale aveva riportato il malfunzionamento dei metal detector, mandati in tilt dalla forte presenza di oggetti di metallo e materiali ferrosi nel terreno. Altri due sminatori sono stati uccisi da una Prom a Ljubinje, in località Bančići, il 18 dicembre scorso.
Provo a chiedere alla portavoce del BH MAC come sia possibile che ci siano così tante vittime in singoli incidenti. “Ci sono casi in cui le organizzazioni di sminatori non rispettano le procedure - mi suggerisce la Trifković. Cercano di lavorare più velocemente, di finire presto un campo per poter passare all'appalto successivo. Se provate ad analizzare gli ultimi incidenti, la maggioranza accade alle organizzazioni commerciali [quelle che dipendono dagli appalti, ndr].”
Dato il meccanismo degli appalti, e la generale riduzione dei fondi, sembra che gli sminatori bosniaci debbano lavorare sempre più in fretta. Una volta aggiudicatosi un campo, per ottimizzare i guadagni, la cosa più importante per alcune organizzazioni è finire nel più breve tempo possibile. Il sistema finisce per assomigliare a quello del lavoro a cottimo. E le Prom, in tutto questo, rappresentano un problema. Le procedure da adottare nei confronti di queste mine rallentano di molto il lavoro: “Isolare la Prom ti fa perdere tempo. Devi chiudere quel corridoio e bloccare una parte del campo - mi spiega una fonte locale che ha preferito rimanere anonima. Se un'organizzazione deve completare in fretta il proprio task, può succedere che lo sminatore si avvicini e cerchi di svitarla, scavandoci intorno e sperando che non ci siano delle trappole. E' molto pericoloso. Se però gli va bene, a fine giornata nel rapporto scrivono che hanno trovato una Prom già disinnescata. Oppure la mina viene fatta sparire. Uno può anche avere la tentazione di metterle da parte, per ogni evenienza. La BiH è firmataria del trattato di Ottawa, non può più né produrre né immagazzinare mine. Ma se la situazione politica nel Paese degenerasse, potrebbero tornare utili.”
La produttività degli sminatori è regolata da tabelle precise, limiti oltre i quali non si può andare. Il numero di metri quadri al giorno varia in funzione del numero di ordigni incontrati e dei metodi di lavoro. Se si usa solo il metal detector, ad esempio, si possono fare fino a 100 metri quadri al giorno. Se si usa anche lo spadino, cioè lo spillone che serve da sonda, si va dai 35 ai 50. Solo con lo spadino non si possono superare i 10, 15 metri quadri al giorno. Le regole esistono. “Però può anche accadere che su un terreno siano dichiarati 6 sminatori, e ne lavorino 3 – continua la stessa fonte. Oppure sottobanco vieni pagato a cottimo, più metri quadri fai e più guadagni. Questo è l'ambiente in cui uno sminatore deve vivere, in alcune organizzazioni. Quando succedono incidenti come questi si capisce bene che la disperazione di chi va a lavorare, unita alla necessità delle ditte di fare profitti, azzera ogni misura di sicurezza. Ci si leva il giubbotto, o il casco, perché si suda. E' una catena. Bisogna andare in fretta, alla ditta interessa solo che si produca. In alcuni casi poi si scopre che il campo minato viene dato in subappalto, e allora sul lavoro potrebbe esserci chiunque.”
Il fenomeno del subappalto di un campo minato mi viene confermato dalla Trifković (“ci sono stati dei casi, sì”), anche se la mia interlocutrice sottolinea che il BH MAC effettua controlli con una particolare frequenza “nei siti dove potrebbero esserci violazioni delle procedure standard.”
Il lavoro dello sminatore è molto duro, richiede grande concentrazione. Secondo il responsabile di Intersos in Bosnia Erzegovina, chi fa questo mestiere andrebbe anche “continuamente reistruito, perché col passare degli anni la mente dello sminatore tende ad anestetizzare il pericolo, ad allontanarlo da se, a rimuoverlo. Ci si può appassionare alle mine, l'adrenalina può spingere a fare cose che non bisognerebbe fare.”
L'animo umano è imponderabile. Le statistiche no. Le organizzazioni umanitarie che operano in questo Paese e che hanno un budget stabile, non dipendente dagli appalti, hanno una percentuale di incidenti bassissima. Quest'anno nessuno. Sminare richiede calma, e tutto il tempo necessario a fare il lavoro. Del resto, non c'è niente di più imprevedibile di un campo minato. Se su un terreno si trovano il doppio delle mine previste saltano i conti. Per le organizzazioni umanitarie è semplice, fanno una relazione e giustificano al donatore lo slittamento dei tempi. Per quelle commerciali è diverso, i costi sono stabiliti dall'appalto e non è facile cambiare in corso d'opera.
In Bosnia è ormai iniziato l'inverno. In montagna ha cominciato a nevicare all'inizio di novembre, la neve è ormai arrivata anche a Sarajevo. Per gli sminatori la stagione finisce qui. Bisogna aspettare la primavera. Sperando che la nuova stagione porti in dote condizioni di lavoro più dignitose per tutti. E nessuna vittima.
[1]
220.000 secondo il BH MAC, la struttura che dipende dal ministero degli Affari Civili della BiH ed è responsabile per le operazioni di sminamento nel Paese. Secondo alcuni esperti il numero delle mine e degli ordigni inesplosi ancora sul terreno potrebbe invece raggiungere le 300.000 unità.
[2] “Abbiamo un ottimo livello di collaborazione con l'esercito. Però deve tenere presente che non tutti i campi minati in Bosnia sono stati fatti dai militari. Circa il 60% delle mine sono state collocate dalla gente, non dai soldati. Si tratta di campi minati improvvisati, senza una cartografia”, ha dichiarato ad Osservatorio Balcani la portavoce del BH MAC, Svjetlana Trifković. In quei casi il BH MAC deve fare affidamento su informatori locali, persone che sanno dell'esistenza di un campo e lo denunciano al BH MAC. In alcuni casi l'esistenza di un terreno minato emerge solo a seguito di un incidente.
*Le fotografie di questo servizio sono state scattate durante le operazioni di collaudo di un terreno bonificato. Ha collaborato alla realizzazione dell'inchiesta Chiara Trevisani