Lo stato delle relazioni tra Ankara e Bruxelles all'indomani della visita del premier turco nella capitale europea. L'energia, le riforme, lo strappo sul Medio Oriente. La crisi con Atene dopo le dichiarazioni dell'attore turco Olgaç sul proprio ruolo durante l'occupazione di Cipro
La visita a Bruxelles del premier turco Recep Tayyip Erdoğan, il 19 e 20 gennaio scorsi, su invito del presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, ha ridato al percorso europeo della Turchia una spinta di cui si sentiva la necessità da molto tempo.
Nel corso degli ultimi due anni l’UE ha espresso a più riprese le proprie perplessità sulla lentezza con cui la la Turchia sta attuando le riforme, una posizione ribadita anche nell’ultimo rapporto della Commissione. Gli orientamenti di politica estera della Turchia, volti a mantenere aperto il dialogo con tutte le parti del Medio Oriente, rappresenterebbero poi secondo alcuni un atteggiamento eccessivamente filo islamico, che metterebbe in dubbio le intenzioni europee del governo. La posizione assunta dalla Turchia nella guerra di Gaza, le dure condanne a Israele e il rapporto con Hamas, hanno portato molti a dubitare, anche all’interno del paese, se Ankara non stesse voltando le spalle all'Unione.
Le dichiarazioni di Erdoğan a Bruxelles hanno portato chiarezza su questi punti. Nei suoi incontri, il Primo ministro ha ribadito più volte la determinazione della Turchia nel portare avanti le riforme, sottolineando la “priorità” e l’“insostituibilità” del processo di adesione alla UE. Rassicurazioni, queste, che sembrano aver convinto la Commissione e il Parlamento europei.
Il rappresentante della Commissione europea ad Ankara, Marc Pierini, in seguito alla visita del premier ha commentato: “Abbiamo sentito quello che ci premeva sentire”, mentre il Commissario europeo per l’allargamento, Olli Rehn, ha detto: “Visto che l’effetto delle visite di Erdoğan qui a Bruxelles è ogni volta quello di far impennare le relazioni tra Turchia e Unione, dovrebbe venire più spesso”.
La visita di Erdoğan nella capitale europea è, dall’inizio di quest’anno, già il terzo dei passi intrapresi dal governo per accelerare i negoziati. All’inizio del 2009 è stato infatti finalmente pubblicato il “Programma nazionale”, un documento ufficiale che stabilisce le linee guida previste dal governo per realizzare le riforme richieste dall’UE. Inoltre il Segretariato Generale per l’Unione Europea (ABGS - Avrupa Birliği Genel Sekreterliği), istituzione fondata nel 2000 per stabilire e gestire il coordinamento degli enti pubblici turchi nei preparativi e nei lavori da compiere in vista dell’adesione all’Unione, è stato rafforzato. Fino ad ora questa istituzione dipendeva dal ministero degli Esteri, giacché il negoziatore capo nelle trattative con l’Unione era il ministro degli Esteri Ali Babacan. Dall’inizio del mese scorso, tuttavia, con l’assegnazione dell’incarico al ministro senza portafoglio Egemen Bağış – uomo di fiducia di Erdoğan – il Segretariato è passato alle dipendenze dirette del Primo ministro. Si tratta quindi di una modifica che prevede il rafforzamento del dialogo con gli organi dell’UE, dato che l’unico compito di Bağış sarà quello di gestire questo rapporto.
Nelle dichiarazioni rilasciate al Centro europeo di politica di Bruxelles, Erdoğan ha toccato questioni riguardanti il processo di adesione della Turchia, e in particolare le leggi approvate dal parlamento nell’ultimo anno in base alle direttive dell’UE, la critica alle dichiarazioni degli esponenti politici europei che influenzerebbero negativamente l’opinione pubblica sulla Turchia e la richiesta di aprire più di due capitoli di trattative per volta. Il premier ha poi parlato di politica interna, criticando i partiti dell’opposizione che ostacolerebbero le riforme, citando l'apertura del nuovo canale statale in lingua curda, e smentendo la censura dei media e di politica estera, riferendosi in particolare a Gaza nei confronti della quale “molti paesi non hanno dimostrato la stessa sensibilità avuta per la Georgia” e parlando dei rapporti con l’Iran, “che non possono essere interrotti come qualcuno vorrebbe” per i forti legami economici ed energetici che questo Paese ha con la Turchia. Erdoğan ha parlato anche del presidente Obama e degli Stati Uniti, “con cui siamo decisi a impegnarci a continuare la nostra collaborazione strategica di sempre”.
Una delle questioni principali emerse nel corso degli incontri del premier con i rappresentanti politici dell’UE, tuttavia, è stata quella energetica. Dopo la recente crisi tra Russia e Ucraina, che per due settimane ha lasciato parte del territorio europeo senza riscaldamento, per l’Europa si è fatta più pressante l’esigenza di diminuire la dipendenza dal metano proveniente da Mosca e di diversificare le proprie fonti. Il progetto del gasdotto Nabucco, che coinvolge sei paesi – Turchia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Austria e Germania – e prevede di trasferire il gas del Mar Caspio in Europa senza attraversare la Russia, dovrebbe servire proprio a questo scopo. Un veto di Cipro all’apertura del capitolo dell’energia tra Turchia e UE, tuttavia, potrebbe mettere a rischio la garanzia offerta da Ankara nel trasferimento del gas. Una domanda rivolta a questo proposito da un giornalista ha fatto dire a Erdoğan: “In quel caso rivedremo la nostra posizione sul Nabucco”.
Immediate le reazioni da parte europea. Il ministro degli Esteri tedesco, Michael Gros, ha definito le parole di Erdoğan “un ricatto” e ha detto che “la Turchia deve smettere di utilizzare il gasdotto Nabucco per assicurarsi l’adesione all’Unione europea”. Il “Financial Times” ha invece riportato i commenti del presidente della Commissione, Barroso, che dopo aver incontrato Erdoğan avrebbe affermato: “La sicurezza energetica europea e turca sono troppo importanti per essere prese in ostaggio”, spiegando che “nella Commissione facciamo di tutto per togliere ogni tipo di blocco su tutti i capitoli, incluso quello sull’energia”. Erdoğan dal canto suo avrebbe aggiunto che “il Nabucco è troppo importante, e noi siamo consapevoli della nostra responsabilità”, senza tuttavia ritrattare ciò che aveva affermato in precedenza.
Mentre sembra essere ancora lontana la prospettiva di una soluzione che possa soddisfare sia la Cipro greca che quella turca, nonostante i reiterati incontri tra i presidenti delle due parti Talat e Hristofyas, un attore turco di nome Atilla Olgaç, proprio dopo la visita di Erdoğan a Bruxelles, ha causato una crisi diplomatica tra Grecia e Turchia. Olgaç, molto noto al pubblico per un suo ruolo nella popolare serie TV “La valle dei lupi”, in un programma televisivo ha dichiarato di aver ucciso dieci persone, tra cui un ragazzo disarmato e con le mani legate, durante l’intervento delle forze armate turche nel 1974 nell’isola. Ne è seguito un grande scalpore, ma il giorno dopo l’attore ha detto di aver inventato tutto.
L’attore ha ripetuto a più riprese, anche al canale greco RİK e, giurando sul Corano, alla rete televisiva Sigma, di essersi immaginato il tutto per una sceneggiatura. Il governo greco ha comunicato tuttavia che sottoporrà l’argomento al Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio europeo, cercando di far condannare la Turchia per crimini di guerra. Difficile attendersi sviluppi positivi. Come ha sostenuto Makarios Drousiotis in un recente articolo sul quotidiano turco
Radikal, “la via d’uscita a Cipro non passa dai tribunali ma dalla reciproca confessione dei peccati”.