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Sulle tracce di Mladić
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Data pubblicazione: 26.02.2009 09:50

Ratko Mladic
Il 2009 l'anno dell'arresto di Mladić? Da tempo ci siamo abituati a lanci di agenzie, controlli dei servizi di sicurezza, indiscrezioni pubblicate sui giornali. Poi il bailamme mediatico si sgonfia in fretta. Una rassegna
Se l’anno scorso è stato l’anno di Karadžić, il 2009 potrebbe essere quello di Mladić. Il condizionale è di dovere, anche perché ormai si sa che è difficile fare previsioni quando in questione ci sono i latitanti eccellenti del Tribunale penale internazionale dell’Aja per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia (Tpi).

Da tempo ci siamo abituati a lanci di agenzie, a controlli dei servizi di sicurezza, a indiscrezioni pubblicate sui giornali. Poi, però, accade sempre che il grande bailamme mediatico si sgonfi in fretta.

All’appello mancano ancora due latitanti: Goran Hadžić e Ratko Mladić. Il primo fu presidente della autoproclamata Repubblica serba di Krajina ed è accusato di crimini contro l’umanità e di violazioni delle leggi e usanze di guerra. Il secondo, decisamente più noto, fu il comandante militare dell’Esercito della Republika Srpska, accusato dal Tpi dell’Aja di crimini di guerra e di genocidio, ritenuto tra i principali responsabili del massacro di Srebrenica e dell'assedio di Sarajevo.

Per l’opinione pubblica mondiale e soprattutto per le cancellerie internazionali, in particolare quelle dell’Ue (leggi l’Olanda) che hanno condizionato l’avanzamento della integrazione della Serbia alla cattura del generale serbo-bosniaco, è di gran lunga più importante l’arresto e la consegna al Tpi di Ratko Mladić.

Si è molto detto sulla sua presenza in Serbia, sui suoi movimenti, sulla sua rete di protezione. Fino ad ora però del superlatitante nemmeno l’ombra. Ciononostante, una serie di elementi fanno credere che la sua cattura sia sempre più vicina.

I cambiamenti politici in Serbia hanno portato una nuova volontà politica che sembra decisamente orientata a chiudere questa partita. Le spinte verso l’Ue sembrano molto più marcate che un tempo. I politici progressisti dichiarano che è ormai tempo che i cittadini serbi non siano più ostaggio di poche persone. E Radovan Karadžić, un tempo definito the big one (il pesce grosso), è già caduto nella rete.

Ma cosa si sta facendo in Serbia per catturare Mladić?

In una recente intervista, pubblicata dal quotidiano belgradese “Danas”, Vladmir Vukčević, procuratore per i crimini di guerra, pur attenendosi rigorosamente alla continenza verbale fornisce qualche indicazione.

Vukčević apertamente dice: “Abbiamo l’impressione di essere ogni giorno sempre più vicini alla cattura dei latitanti. La chiara volontà politica e la risolutezza che questo compito giunga a termine, oltre al lavoro quotidiano dei servizi, rendono la possibilità della loro localizzazione sempre più reale”.

Pur astenendosi dall’entrare nei dettagli, il procuratore di Belgrado precisa che sono state condotte intercettazioni telefoniche, che sono state scoperte e troncate le reti di approvvigionamento di denaro, che sono state allacciate relazioni tra la polizia, i servizi di sicurezza e l’esercito della Serbia coi partner della regione e dell’Europa. Ed infine che i servizi sono riusciti a ricostruire quasi tutte le mosse fatte da Mladić fino a poco tempo fa. Vukčević ovviamente non precisa fino a quando, dice solamente che “la data non è relativa ad un passato remoto”. Reticenza colmata da quanto pubblicato da alcuni giornali serbi, secondo i quali la ricostruzione coprirebbe l’arco di tempo che va dall’aprile 2002 al gennaio 2006.

E quando il procuratore di Belgrado fa intendere che proprio il cambio di circostanze politiche è il fattore che porterà alla cattura di Mladić, Aleksandar Roknić, giornalista di “Danas”, chiede all’interlocutore se questo significa che gli investigatori sono già sulle tracce di Mladić. “Quando sarà localizzato, sarà arrestato e trasferito all’Aja. Abbiamo una gran fretta e abbiamo un debito con le generazioni future della Serbia per non aver ancora concluso questo faticoso lavoro. Perché non è giusto che crescano all’ombra del passato, come ostaggi di Ratko Mladić e Goran Hadžić”, sentenzia Vukčević.

Anche il capo procuratore del Tribunale dell’Aja, Serge Brammertz, confida nella buona volontà di Belgrado, e in un rapporto del 18 febbraio presentato ai ministri dell’Ue ha fatto notare l’avanzamento della Serbia nella collaborazione col Tpi, ma ha precisato che adesso va spinta fino in fondo l’azione per la cattura degli ultimi latitanti.

A prova delle migliori intenzioni Belgrado ha persino messo un premio di un milione di euro per chi riuscisse a fornire informazioni che conducano alla localizzazione e all’arresto di Mladić, 250mila euro invece per Hadžić. Cifre appetibili, anche se secondo un sondaggio condotto dall’agenzia demoscopica belgradese Strategic marketing il 65% della popolazione serba non denuncerebbe Mladić nemmeno per una somma così alta.

Per il presidente del Consiglio nazionale per la collaborazione con il Tribunale dell’Aja, Rasim Ljajić, “questo premio dimostra la risolutezza di Belgrado a fare sì che i restanti impegni col Tribunale vengano risolti quanto prima. Con il premio vogliamo dimostrare che esiste una volontà politica per consegnare Mladić”.

Si susseguono nel frattempo le azioni per la sua localizzazione. Tra quelle che hanno avuto più risonanza sui media c’è l’azione del dicembre scorso quando fu perquisita la casa belgradese della famiglia di Darko Mladić, figlio del latitante. Non era la prima volta che la polizia perquisiva la casa del figlio dell’ex generale, e nel 2007 Darko Mladić era stato convocato dall’intelligence serba per un colloquio informativo.

La più recente è invece del 10 febbraio, quando l’Eufor, la forza di pace europea in Bosnia Erzegovina, ha perquisito la casa di Milica Avram i Radinka Mladić, parenti del latitante e residenti nei pressi di Sarajevo. Come precisato dall’Eufor, l’azione è stata condotta su richiesta del Tribunale dell’Aja con l’intento di raccogliere informazioni utili alla localizzazione dell’ex generale.

Ma Mladić non è Karadžić, difficilmente lo si troverà vestito da guru intento a dare lezioni di medicina alternativa, con tanto di sito internet dal quale dispensava amorevoli consigli. È anche molto probabile che il generale latitante sia protetto da una scorta armata, cosa che renderebbe più complicato il suo arresto e alquanto improbabile la sua volontaria consegna. Mladić - sottolinea Vukčević - “è un soldato e non gli si addice nascondersi come un topo nella tana”.

Opinione condivisa da Rasim Ljajić, il quale insiste sul fatto che quest’anno la collaborazione col Tribunale dell’Aja deve essere portata a termine, vale a dire che Mladić e Hadžić dovranno essere arrestati, altrimenti la Serbia resterà bloccata sulla strada per l’Ue.

Che sia davvero l’anno di Mladić? Staremo a vedere.