Alta tensione ad un confine tra Croazia e Bosnia. Ultime scosse verso la normalità o passo falso internazionale, a pochi mesi dalle elezioni? Abbiamo sentito alcuni dei diretti interessati.
Una cartolina storica di Kostajnica
Un passaggio di confine spostato di 50 metri e rischia di scoppiare il finimondo. Sono questi ancora i difficili equilibri sui quali si gioca la pace in Bosnia Erzegovina, sono queste le ferite segnate e mai del tutto rimarginate dai troppi confini nati con la guerra.
La vicenda è accaduta a Kostajnica, cittadina nel nord-ovest del Paese situata sul fiume Una, al confine tra Bosnia e Croazia. Per la precisione occorrerebbe dire Srpska Kostajnica e Hrvatska Kostajnica poiché la disgregazione della Jugoslavia ha portato anche alla nascita di una "terminologia dell'appartenenza", soprattutto per le cittadine sorte su due sponde di uno stesso fiume. Proprio sul fiume Una è stato ricostruito da poco il ponte, abbattuto durante la guerra. Doveva essere il simbolo di un nuovo legame tra le due parti, eppure qualcosa è andato storto. La notte del 20 luglio scorso centinaia di cittadini della sponda serbo-bosniaca si sono ritrovati al posto di confine. Protestavano per un'azione appena compiuta dalla polizia internazionale dell'IPTF, che aveva fatto indietreggiare la "loro" polizia di confine dalla riva del fiume Una a quella, ben più misera, del canale Uncica. Una "ritirata" di 50 metri che proprio non è andata giù ai cittadini di Srpska Kostajnica.
"Qui in questi giorni non si parla d'altro" ci dice Annalisa Tomasi, delegata dell'Agenzia della Democrazia Locale di Prijedor, non distante da Kostajnica. "La situazione rischia di degenerare e rovinare in parte il lavoro di riconciliazione tra le comunità che da anni portiamo avanti" aggiunge preoccupata. "Proprio in questi giorni avevamo organizzato un seminario incentrato sull'esperienza dei rientri nelle scuole di studenti delle minoranze. Ma per la tensione che si è creata molti hanno ritirato la propria partecipazione".
La diatriba di confine tra Croazia e Bosnia in merito a Kostajnica deriva ancora dalla fine degli scontri e dalla firma degli Accordi di Dayton. Allora la polizia di confine dell'Entità della Republika Srpska si era infatti piazzata sulla sponda del fiume Una, mentre il confine originario tra Croazia e Bosnia – quello tra le due Repubbliche quando queste facevano ancora parte della Jugoslavia – si trovava sul canale della Uncica. "Logica vorrebbe che il confine fosse lungo il fiume Una, ma da sempre i croati hanno reclamato quei metri di terra in più anche perché sull'isolotto tra il fiume principale ed il canale vi sono molte unità abitative di loro proprietà", ci è stato detto dall' OSCE di Sarajevo. Nel 1999 un altro momento importante dell'intera vicenda, ed emblematico per capire la Bosnia di oggi. Il Presidente croato Tudjman e le autorità bosniache firmano un accordo sui confini reciproci, e per Kostajnica si riconosce valida la situazione di prima della guerra. Le autorità di Sarajevo non pongono grandi resistenze, perché tutto sommato si tratta di territorio della Republika Srpska... L'accordo del '99 però non è mai stato attuato, finché alla vigilia dell'apertura del nuovo ponte non si è pensato di farlo. Ecco dunque l'insistenza dell'IPTF, lo spostamento di 50 metri della polizia bosniaca, l'apertura di nuove trattative tra i due governi.
Per alcuni giorni a Kostajnica è regnato un vero e proprio caos, che non ha aiutato certamente ad abbassare la tensione nell'area. "La polizia internazionale dell'IPTF ha imposto al nostro posto di blocco, situato sul ponte, di ritirarsi in direzione del canale Uncica. Hanno mostrato alcuni documenti contenenti tali decisioni. Non so di quali decisioni si tratti, ma abbiamo eseguito l'ordine", ha affermato un membro della polizia di frontiera bosniaca al quotidiano "Nezavisne". Gli ha fatto eco un suo superiore, Slavina Vukovic, direttore della polizia di frontiera bosniaca, che ha dichiarato di aver ricevuto un ordine che ingiungeva lo spostamento da parte di Soren Sardina, vice comandante della missione ONU in Bosnia. Dalle Nazioni Unite però, pur plaudendo al "ritiro", sono arrivate smentite sulle modalità in cui si sarebbe svolto: "I membri della polizia di frontiera bosniaca si sono ritirati lungo la postazione indicata da un precedente accordo specifico tra i due paesi risalente al 1999" ci ha dichiarato Kirsten Hauptman, portavoce della Missione Onu in Bosnia, negando eventuali pressioni dell'IPTF sulla polizia bosniaca. "Non ci risultano; ora i bosniaci si trovano nella giusta posizione, in attesa di un accordo definitivo tra BiH e Croazia per il quale sono già in corso intensi rapporti diplomatici. Si tratta di una questione sulla quale sia la municipalità locale sia l'Entità della Republika Srpska non hanno voce in capitolo" ha concluso la Hauptman.
Le autorità croate hanno naturalmente apprezzato il ritiro della polizia di confine bosniaca, mentre quelle della Republika Srpska – sembra prese alla sprovvista – hanno accusato la Presidenza bosniaca di non essere stati informati dell'arretramento. Petar Kunic, vice presidente del Governo della Republika Srpska, ha dato la colpa ai responsabili della frontiera bosniaca – che, lo ricordiamo, rispondo direttamente al governo di Sarajevo – aggiungendo anche con toni accesi che il suo governo "non permetterà alla polizia di frontiera croata di oltrepassare la riva destra del fiume Una".
In questa situazione instabile tenta di rimanere a galla il sindaco di Srpska Kostajnica, Rade Males, che da una parte invita alla calma i propri concittadini e dall'altra chiede a nome dell'Assemblea Comunale – in riunione permanente per il rischio di incidenti – tutte le misure necessarie a risolvere il problema da parte sia del Governo della Republika Srpska, sia di quello bosniaco. Tra queste l'apertura di negoziati con la Croazia per tutelare gli interessi di Kostajnica, garantendo la costruzione di infrastrutture indispensabili al territorio e la creazione di una deviazione che permetta alla parte sinistra della città l'accesso al fiume Una.
Proprio quest'ultimo è uno dei problemi che più preoccupa i cittadini della sponda serba: "Ora il passaggio di confine è nel cuore della città", ha affermato un cittadino intervistato dal quotidiano Nezavisne, "e senza l'accesso al fiume rimarremo isolati. Sino ad ora non ci sono stati incidenti, ma scoppieranno sicuramente se la situazione non cambierà".
Frattanto il Consiglio dei Ministri della Bosnia, riunitosi in questi giorni d'urgenza a Sarajevo, ha invitato a mantenere le posizioni attuali sino al raggiungimento di una soluzione con la Croazia. In preparazione c'è un protocollo d'intesa che prevede la creazione, auspicata fortemente dalla Comunità Internazionale, di un posto di confine congiunto tra le due polizie. Altri invece propongono la costruzione di un secondo ponte in un punto dove il confine coincida esattamente con le due sponde del fiume Una.
Di certo c'è che la riapertura del ponte, sulla carta un passo importante nel processo di riavvicinamento tra due comunità divise, si è trasformata in un nuovo motivo di scontro. "E questo non fa che testimoniare la situazione precaria che tuttora regna in Bosnia", conclude Annalisa Tomasi. "L'intera vicenda, gestita a mio modo di vedere con poco tatto e preparazione dall'IPTF, rischia di influenzare anche le prossime elezioni politiche rafforzando i partiti più nazionalisti". La delegata a Prijedor non entra nel merito della fondatezza o meno della soluzione che si vuole raggiungere a Kostajnica, ma non ritiene una scelta saggia il fatto di calarla dall'alto sulle teste degli abitanti locali.
E così, ancora una volta nei Balcani, la metafora del ponte quale simbolo d'unione tra popoli e culture rischia di essere tristemente affossata.