Il panorama museale belgradese non attraversa certo una fase brillante. Il principale museo cittadino, il Narodni Muzej, è chiuso per lavori, altre iniziative non attraggono grandi folle. Ma negli ultimi mesi segnali interessanti giungono dalle pendici della collina di Dedinje
Il 14 marzo, presso il Museo del 25 maggio (oggi integrato con il Mausoleo di Tito nel Museo di storia jugoslava) è stata aperta al pubblico una nuova e vasta esposizione intitolata “Effetto Tito - Il carisma come legittimità politica”. L’evento ha avuto una certa risonanza, in gran parte determinata dalla portata emotiva che ancora oggi contraddistingue tutto ciò che riguarda il Maresciallo, in qualche modo provando l’attualità stessa del titolo della mostra. L’esposizione in realtà rappresenta un’interessante tappa nel processo di ripensamento e rivitalizzazione di una struttura donata nel 1962 dalla città proprio a Tito per il suo compleanno e per anni dedicata alla sua celebrazione.
L’esibizione è incentrata sul culto della personalità di Tito ed affronta il ruolo della sua immagine nella Jugoslavia socialista, cercando di approfondire il rapporto che intercorreva tra essa e la popolazione. Per l’esposizione sono stati selezionati circa 300 oggetti dalla ricca collezione del museo, molti dei quali presentati al pubblico per la prima volta. Tra essi si trovano soprattutto doni, di ogni genere, che i cittadini, i lavoratori, le associazioni e gli enti delle diverse repubbliche jugoslave realizzavano e offrivano, in diverse occasioni, al Maresciallo. Un particolare spazio è quindi dedicato alla rievocazione della Giornata della Gioventù del 25 maggio, festività inventata per celebrare il compleanno di Tito, con l’esposizione degli evocativi testimoni ideati per la staffetta celebrativa che giungeva quel giorno a Belgrado.
Oltre a questi documenti, più tradizionali, la mostra offre interessanti testimonianze su supporti video e audio. La rievocazione della realtà degli anni del socialismo è affidata a schermi che trasmettono filmati relativi ai festeggiamenti del compleanno di Tito, alla riproduzione di musiche e trasmissioni radio dell’epoca, fruibili da apposite postazioni. Questo sforzo, inedito per il museo, nell’utilizzo di tecniche di rappresentazione e narrazione del passato più moderne contribuisce significativamente ad aumentare l’impatto sui visitatori.
Al Museo di storia jugoslava, a Belgrado, la mostra ''Effetto Tito''. Più di 300 oggetti esposti. Tra essi si trovano soprattutto doni, di ogni genere, che i cittadini, i lavoratori, le associazioni e gli enti delle diverse repubbliche jugoslave realizzavano e offrivano, in diverse occasioni, al Maresciallo
Effetto Tito
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E’ tuttavia il valore contenutistico dell’esposizione a rappresentare l’elemento di maggiore interesse della mostra, dato che si tratta di uno dei primi tentativi, in tutta l’area jugoslava, di affrontare, narrare e, soprattutto, spiegare gli anni del socialismo. Valorizzando alcune collezioni di doni ricevuti da Tito, da tempo conservati nei depositi del museo, i curatori intendono indurre una riflessione sui particolari significati sociali e culturali che essi celano, evidenziando i caratteri del legame tra la popolazione e l’immagine del Maresciallo. In queste ritualità, che si fecero in numerosi casi spontanee, emerge la portata del carisma di Tito e della sua rappresentazione come padre della patria e dei popoli jugoslavi, secondo dinamiche caratterizzate da accezioni messianiche e dal retaggio delle tradizioni patriarcali balcaniche.
La mostra “Effetto Tito”, visitabile fino al primo maggio, rappresenta solamente un passo, anche se molto significativo, del percorso di rinnovamento che il Museo ha intrapreso da qualche tempo. Questa dinamicità è legata soprattutto ad un’integrazione dello staff dell’istituzione, all’interno del quale oggi trovano spazio professionisti giovani e motivati. La nuova evoluzione si basa sulla convinzione che i tempi siano ormai maturi per una riflessione più distante ed un approccio nuovo nei confronti del passato socialista. Quindi, al di là dei sentimenti negativi o positivi che molti provano nei confronti di quel periodo e dei personaggi che ad esso appartengono, al museo sostengono sia necessario proporre delle chiavi di lettura più critiche e inaugurare un processo di storicizzazione matura.
Certamente si tratta di un’evoluzione non semplice, soprattutto vista la grande sensibilità ancora diffusa su questi argomenti. Ad esempio, spiegano i curatori, i visitatori della recente mostra si dividono sostanzialmente in due categorie: coloro che ricordano con nostalgia gli anni del socialismo e coloro che ne serbano una memoria negativa.
Certe difficoltà in questo senso si riflettono nell’apparato critico dell’esibizione, esso soffre, infatti, di alcune debolezze e non sempre la riflessione e il livello dell’analisi sono sufficientemente approfonditi. Non si può inoltre astenersi dal notare come la presentazione del culto della personalità di Tito non prenda in nessun modo in considerazione le forzature autoritarie che stavano alla base delle strutture di potere della
leadership e del regime.
Una maggiore attenzione a queste questioni, sostengono dal Museo, sarà offerta in occasione delle attività parallele che verranno promosse ogni sabato nella sala conferenze dell’istituzione. Si tratterà di occasioni, aperte alla cittadinanza, in cui verranno presentati documentari e film dell’epoca socialista, in cui sarà possibile ascoltare testimonianze e partecipare a momenti di riflessione guidati da esperti.
L’istituzione intende inoltre promuovere con più vigore le proprie attività allo scopo di raggiungere e sensibilizzare un pubblico più vasto. Infatti, mentre vi è una regolare affluenza di turisti stranieri alla tomba di Tito e di conseguenza al Museo, molti cittadini belgradesi non hanno che una vaga idea di dove si trovi l’edificio. Proprio in occasione della mostra è stata lanciata una nuova campagna mediatica in città e nel paese che non ha mancato di sfruttare le nuove possibilità offerte da internet.
Un museo di “storia jugoslava”, situato in quella che era la capitale della Federazione, potrebbe, inoltre, ambire a divenire un punto di riferimento anche per le altre repubbliche ex-jugoslave. Non a caso i curatori della mostra hanno cercato di raggiungere i mezzi di comunicazione di Croazia, Slovenia e Bosnia. Sul lungo periodo l’intento è quello di lavorare ad un rafforzamento delle relazioni con le altre istituzioni museali della regione. Una contraddizione a questa vocazione “jugoslava” è tuttavia riscontrabile nell’utilizzo, imposto dalle direttive ministeriali, dell’alfabeto cirillico per i pannelli dell’esposizione. L’utilizzo del serbo in caratteri latini avrebbe reso più facilmente comprensibili le spiegazioni, ad esempio, per i visitatori croati o sloveni.
In queste settimane di apertura l’affluenza comunque non manca, visitatori stranieri e locali si dirigono verso la collina per visitare l’esposizione. Tuttavia rimane ancora molto difficile raggiungere i più giovani, che tendono a disertare questo tipo di iniziative. La “Notte dei Musei”, che si terrà a Belgrado il 16 maggio e vedrà l’apertura straordinaria delle istituzioni culturali cittadine fino alle due di notte, vuole essere un tentativo di affrontare il problema. Intanto lo staff del Museo di Storia Jugoslava è al lavoro per la preparazione della prossima esibizione, che aprirà proprio nel corso del mese di maggio.
In definitiva, al museo è iniziata una trasformazione volta a convertire una struttura per decenni dedicata ad una personalità, quella di Tito, in un luogo dove sia possibile sviluppare un’analisi critica del passato socialista. Questa
location, dal profondo valore storico, e gli ampi spazi che offre, posso realmente trovare nuovi significati e divenire centro propulsore di una riflessione che ancora fatica a trovare spazio nel discorso pubblico, a Belgrado e non solo.