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Viva Borut

15.04.2009    Da Capodistria, scrive Stefano Lusa

Borut Pahor
Nuova vittoria di Borut Pahor tra i socialdemocratici sloveni. Il recente congresso del partito ha riconfermato l'attuale premier nel ruolo di presidente. Governo e opposizione si preparano per la verifica delle europee
Il premier Borut Pahor non ha avuto difficoltà a farsi riconfermare presidente dei socialdemocratici. A contendergli la leadership non c’era nessuno. Il congresso del partito, tenutosi il 22 marzo scorso, non ha suscitato né grande clamore né grande interesse. Del resto non c’erano piattaforme programmatiche da discutere, ma solo qualche poltrona da distribuire.

I socialdemocratici che contano, d’altronde, stanno tutti dicendo che sono troppo impegnati a governare per occuparsi del partito. I maligni commentano che potranno tornare a farlo alla fine di questo mandato quando saranno all’opposizione. E’ la prima volta, dopo il crollo del regime, che un capo del governo esce direttamente dalle fila di quella che fu la Lega dei comunisti della Slovenia.

Per Pahor – almeno stando alle sue parole – questo sarà il suo ultimo mandato alla guida del partito. Lo aveva preso in mano nel marzo del 1997. All’epoca la compagine si trovava all’opposizione e non sembrava avere nessuna reale prospettiva di diventare il primo partito sloveno. Da quel momento i socialdemocratici non hanno più potuto fare a meno di lui. Pahor, invece, non sarebbe mai riuscito a costruire la sua carriera politica senza l’ex partito comunista. Più che di un vero e proprio feeling, però, si può parlare di un matrimonio d’interesse.

Il premier, comunque, a questo congresso ha fatto segnare la sua ennesima vittoria all’interno del partito. La vicepresidenza è andata a Patrik Vlačič. E’ lui, al momento, quello che sembra essere il delfino designato alla successione. L’attuale ministro dei Trasporti sarà attorniato da altri tre vicepresidenti, che però non sembrano avere alcun reale peso. Vlačič è stato a lungo a capo dei giovani del partito, una sorta di pretoriani del presidente Pahor, che ora sperano di avere posti e ruoli importanti nella gestione dello stato.

Vlačič ha vinto la sua battaglia contro il ministro dell’istruzione, Igor Lukšič. Quest’ultimo era considerato il vero e proprio ideologo del partito ed era uno dei più accreditati pretendenti alla successione. Le scelte fatte, invece, sono andate in un altro senso. Prima di lui, nell’era Pahor, altri “ideologi” erano stati messi in disparte, svuotando – forse - il partito di un necessario impianto teorico.

Forte di questa vittoria, Pahor ha annunciato che alle prossime elezioni europee il capolista socialdemocratico sarà Zoran Thaler. Thaler aveva concluso la sua carriera politica nel 1997. All’epoca ricopriva la carica di ministro degli Esteri. Si dimise dopo che fu certo che per la Slovenia si sarebbero aperte le porte dell’Unione europea, ma anche che il paese non sarebbe entrato nella prima tornata di allargamento della Nato.

Thaler era uno degli uomini chiave della Democrazia liberale, un fidato collaboratore del premier Drnovšek. Decise che si sarebbe piuttosto occupato di economia. Una strada che anche altri politici sloveni, ad un certo punto, tentarono di percorrere. Come molti suoi ex compagni di partito, ora anche lui si sta accasando alla corte di Pahor. La cosa ha fatto mugugnare più di qualche socialdemocratico duro e puro, che avrebbe voluto vedere come capolista qualche uomo di partito o al limite qualcuno che fosse almeno iscritto.

Entrare al parlamento europeo, per i politici sloveni, non sarà un’impresa semplice. I posti disponibili sono solo sette. Il test sarà comunque importante per verificare il grado di consenso dei partiti, a meno ad un anno dalle elezioni politiche. I socialdemocratici hanno già cercato di mettere le mani avanti, spiegando che chi è al governo paga. La consultazione, in ogni modo, per ora non sembra catalizzare l’interesse delle forze politiche.

L’unico leader tra i partiti di coalizione che scenderà direttamente in campo sarà il presidente del Desus, Karel Erjavec. L’annuncio ha fatto indispettire Pahor, ma Erjavec ha, comunque, assicurato che il suo lavoro di ministro non ne soffrirà. Se dovesse riuscire a farsi eleggere potrebbe essere per lui un modo elegante per lasciare il dicastero dell’Ambiente e per slegare l’immagine della sua formazione politica da quella del governo, pur restando in coalizione. Erjavec, intanto, conta anche di essere riconfermato alla guida del partito al congresso che si svolgerà tra qualche settimana. Non dovrebbero esserci sorprese, visto che mai il partito dei pensionati aveva ottenuto un simile risultato elettorale.

Tra le forze di opposizione gli unici che sembrano godere di ottima salute sono i democratici. Non hanno lesinato, in questo periodo, dure critiche all’indirizzo del governo alternando colpi di fioretto a colpi di clava. Sotto accusa soprattutto la lentezza con cui sta reagendo alla crisi economica e poi gli avvicendamenti di personale voluti dal governo, che vengono letti in chiave politica. I democratici hanno anche presentato la prima interpellanza di questo mandato contro un ministro. Ad essere presa di mira il ministro degli Interni Katarina Kresal, per la sua intenzione di chiudere la vicenda dei cancellati. La Kresal – com’era prevedibile – ha ottenuto la fiducia del parlamento, ma ai democratici l’occasione è servita per presentarsi ancora una volta come paladini della guerra d’indipendenza e degli sloveni. Il partito, intanto, si prepara per il congresso in programma a maggio. Ovviamente non si preannunciano novità di rilievo. Janez Janša resta il suo leader unico e indiscusso.

Molti più problemi invece per i popolari. Usciti quasi con le ossa rotte dalle elezioni politiche, adesso sono costretti anche a cercarsi un nuovo presidente. Bojan Šrot, fratello di uno dei più potenti e discussi uomini d’affari sloveni, ha rassegnato le sue dimissioni. Con lui si era tentato di dare al partito un’immagine più urbana. I popolari sono tradizionalmente legati ad un elettorato rurale. Adesso bisognerà vedere su chi ricadrà la scelta, ma non sembra che ci sia troppo entusiasmo di accollarsi l’impegno.

Tempi ancora più duri per Nuova Slovenia. La compagine di centrodestra, che fu dell’ex ministro delle Finanze Andrej Bajuk, dopo non essere riuscita a superare la soglia per entrare in parlamento ora guarda con ansia alle europee. Senza un buon risultato il suo futuro appare alquanto incerto. Con la crisi dei popolari e di Nuova Slovenia, però, si apre l’incognita della rappresentatività politica di una fetta non marginale di elettorato cattolico e conservatore, che difficilmente potrebbe riconoscersi nel partito di Janša.
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