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La Turchia e la montagna

08.05.2009    Da Trento, scrive Nicola Falcinella

Anche il 57° TrentoFilmFestival scopre il bel momento del cinema turco. La giuria, presieduta da Giuliano Montaldo, ha assegnato, tra i 43 film in concorso, la Genziana d’oro a “Sonbahar” di Alper Özcan
“Sonbahar”, coproduzione tra Turchia e Germania, è un film già passato ai festival di Locarno e Sarajevo senza venire riconosciuta come meritava. Trento ha invece incoronato questo piccolo film girato ai confini con la Georgia, sulle pendici dei Monti Pontici. Il protagonista è Yusuf, un trentacinquenne uscito di prigione dopo dieci anni di reclusione per ragioni politiche che dall’ovest torna al villaggio natio. Gravemente malato ai polmoni, non vede un futuro davanti a sé e sta prendendo consapevolezza di aver lottato per una causa persa. Glielo fa capire chiaramente la bella prostituta georgiana che in libreria acquista vecchi romanzi russi: “Hai passato dieci anni in carcere per il socialismo? Ah ah ah!”. Passa le giornate con la madre vedova e anziana che aveva il solo sogno di rivederlo vivo e non capisce e non si dà pace di vederlo così. Oppure facendo la spola tra il villaggio di montagna dove vive e la cittadina sulla costa dove incontra la ragazza straniera che gli regala le ultime gioie.

SONBAHAR, di Alper Özcan. Vai al trailer
Il premio della giuria è andato invece alla cinese Xuan Jiang per “Ba Yue Shi Wu”. Girato in Turchia, dall’esordiente svizzera Eileen Hofer, il corto che ha ricevuto la Genziana d’argento per il miglior contributo tecnico-artistico: “Racines”, realizzato con pochi mezzi tecnici, è la storia di un rapporto tenerissimo tra un padre vedovo e il figlio di 9 anni che sogna di volare come Spiderman in un villaggio minacciato dalla costruzione di una diga.

Al documentario svizzero “Grozny Dreaming” di Fulvio Mariani e Mario Casella è stato attribuito il Premio solidarietà Cassa rurale di Trento. La Caucasian Chamber Orchestra, fondata nel 1995 dal direttore tedesco Uwe Berkemer (e disciolta lo scorso agosto dopo un ultimo concerto al Film Festival della Lessinia), è stata un tentativo di portare la pace attraverso la musica, mettendo insieme concertisti appartenenti a tutti i popoli caucasici. Mariani e Casella mostrano i viaggi di Berkemer in Azerbaijan per allargare il gruppo a musicisti azeri, i concerti a Tbilisi o nelle altre città fino al sogno di arrivare a suonare in Cecenia, a Grozny, il simbolo del Caucaso ancora dilaniato dai conflitti. Il film, lungo un’ora e mezza, è ambizioso, vuole spiegare, ripercorrere la vicenda e insieme colpire emotivamente e alla fine non si può dire che raggiunga del tutto gli scopi.

Premio del Museo usi e costumi della gente trentina è andato al cortometraggio iraniano “The Wooden Carpet” di Abdolrahman Mirani, che racconta in modo semplice e senza parole lo sforzo collettivo (a volte drammatico, a volte quasi comico) di una piccola comunità nel ricostruire un ponte travolto da una piena. Come da alcuni anni a questa parte, il Museo di San Michele all’Adige ha curato la sezione “Eurorama” con il meglio del documentario etnografico recente e una notevole presenza di temi balcanici. Giovanni Kezich e Michele Trentini (insieme anche autori di “Karnival King of Europe”) hanno selezionato lavori che hanno già circolato parecchio come “Casa mia” della bolzanina Debora Scaperrotta su due ragazzi di strada a Bucarest, “La repubblica delle trombe” di Stefano Missio e Alessandro Gori e “Vjesh” di Rossella Schillaci sulle comunità arberesh della Basilicata. Ma anche “The Brassy Bands” di Cornel Gheorghita che racconta come anche in Romania gli ottoni siano passati dalla tradizione militare a quella contadina e poi popolare.

Al Festival di Trento era presente, nella sezione Orizzonti, anche una produzione di Osservatorio Balcani e Caucaso (insieme al seminario “I Balcani al cinema. Storia di un’industria e dei suoi protagonisti” dove è stata presentata la ricerca condotta da OB negli ultimi anni). Si tratta di “Bocca, occhi, orecchie. Un viaggio nelle Alpi albanesi” di Micol Cossali e Davide Sighele. Quest’ultimo ha seguito il viaggio di un gruppo di ricercatori di tutt’Europa, linguisti, dialettologi, glottologi, in una delle regioni meno accessibili dell’Albania. Una zona, le vallate nordoccidentali di Thethi e Vermosh, che per il suo isolamento ha mantenuto una lingua vicina a quella arcaica gheg precedente alla standardizzazione imposta da Enver Hoxha. Un viaggio che senza spiegazioni superflue ci fa capire il lavoro dei ricercatori (attenti a ogni vocabolo o espressione che possa essere utile all’indagine) e la loro passione, ma anche le vicende degli abitanti del luogo – in gran parte anziani – le cui vite sono ancora soggette a codici antichi. Un documentario che incuriosisce e fa crescere la voglia di approfondirne le tematiche.

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