Trovato a: http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/11420/1/152>
Un film-documentario sulla squadra di calcio giovanile del Velez. Da orgoglio dell’unità mostarina a simbolo di una parte sola. Un racconto che parla della Bosnia Erzegovina di oggi, e non solo
E’ ricco di stimoli, Mostar United. Come lo è la Bosnia Erzegovina contemporanea, per chi la viaggia con occhio attento e cuore aperto. Così ha fatto Claudia Tosi, regista di questo film-documentario, che ha vissuto e ripreso con passione nel corso di più anni la città attraversata dalla Neretva. Ha seguito alcuni suoi abitanti per descrivere attraverso di loro l’intera città, o anche di più. “Volevo raccontare la vecchia Mostar – ha dichiarato – ma forse, attraverso Mostar, ho raccontato quei luoghi, tra cui il mio Paese, in cui ‘i diversi’ non si attraggono, ma si respingono e rendono la nostra civiltà sempre più piccola e meschina”.
La storia ruota attorno alla squadra calcistica giovanile del Velez, un tempo orgoglio di tutti e oggi costretta a rappresentare la sola Mostar est “musulmana”. Nel film conosciamo l’allenatore, Mensud, e il figlio Dzenan, campioncino sulla soglia della maggiore età. La passione per l’insegnamento e quella per i gol. Allenamenti e partite, vittorie e sconfitte. Un racconto che non punta sulla guerra, finalmente. E ci offre invece tramite una micro-storia l’immagine più ampia della Bosnia Erzegovina contemporanea, fatta anche di turismo, internet e partite di calcio.
Certo, la guerra resta sempre dietro l’angolo. Emerge a lato dei campi di gioco una Mostar ferita, specie nell’animo ora che nei muri molto è stato riparato. Il Velez è un simbolo di queste lacerazioni, e il derby cittadino con lo Zrinjski una scusa per la guerriglia urbana tra le opposte tifoserie. Ultras contro Red Army, ossia croati contro musulmani. Una sorta di continuazione della guerra sotto altre forme, e le immagini reali non lasciano molti dubbi. E’ emblematico come una maglietta possa unire (“unità” era ed è il motto del Velez) ma anche opporre.
Il film-documentario della Tosi apre utilmente questa riflessione, e lo fa ponendosi dichiaratamente in una visione di parte. Non potrebbe essere altrimenti per una storia che passa dagli occhi e dalla voce di persone concrete, che vivono – o sono costrette a vivere – su una delle due sponde della città. Mensud ha combattuto durante la guerra, e non può dimenticare. Ai suoi ragazzini insegna l’unità senza guardare all’appartenenza, però sa di essere in qualche modo ancora al fronte. La visione che traspare da lui come dagli altri testimoni è quella della Mostar città di tutti, ma al di là del ponte i pensieri sono altri. Nel film non appaiono, se non indirettamente per i commenti sarcastici di alcuni alle sparate degli ultra-nazionalisti sui giornali. Forse ci vorrà un altro lavoro per dargli voce.
Si trovano invece in Mostar United molti stimoli che vanno oltre al tema della città divisa. Nella sua fedeltà alla vita quotidiana dei protagonisti, infatti, la regista ci presenta diversi altri spunti interessanti. Forse troppi, se si vuole proprio trovare un limite, al punto che alcune tracce appaiono accennate ma poi abbandonate dalla narrazione. Dal ruolo dei turisti nella rinascita mostarina, motore economico specie per la parte orientale ma anche fonte di banalizzazione e svendita della guerra passata. A quello delle istituzioni internazionali ancora presenti, tra retorica e indifferenza. Dalla scuola divisa al rapporto tra chi ha vissuto sempre qui e chi era fuggito all’estero.
Fino al rapporto umano tra padre e figlio, divisi dai ruoli in famiglia e nella squadra ma accomunati dalla passione per il pallone e per la città. Una città diversa, però: Mensud ha conosciuto la Mostar unita, ha visto morire suoi amici per difenderla e ora la rimpiange. Dzenan ne ha solo i racconti, mentre ciò che sperimenta è il confine invisibile che lo relega ad est. E un pizzico d’invidia per quella Germania in cui è cresciuto, o per l’America delle star da cui copiare il taglio dei capelli. Così la voglia di vivere si mischia alla speranza di andarsene. E sarà il dilemma più grande per il padre…
Girato in gran parte come documentario in presa diretta – e del resto certe scene degli hooligan o dei turisti non verrebbero mai così bene in una fiction – il film ha anche alcune parti di regia, ma con gran rispetto per i personaggi reali. L’autrice ci tiene poi a sottolineare il lavoro di montaggio, del danese Rasmus Hodgall Molgaard, che dà ritmo alla narrazione e permette appunto di definirlo un film. Il paesaggio erzegovese poi fa il resto. Massimo Zamboni ha parlato per un suo documentario girato da Stefano Savona nella stessa città di vera e propria “bulimia di immagini e senso che Mostar ha saputo scaraventarci addosso in pochi densi giorni, frantumando qualsiasi tentativo di riassumerla”.
E lo stesso appare qui, con una natura a tratti protagonista e un ambiente urbano visivamente potente. C’è naturalmente il Ponte vecchio, ma c’è molto di più e di quasi intimo che si accorda al ritmo della narrazione. Una città, una squadra di calcio, un padre e un figlio. Emozioni e sentimenti, al di là delle parole. Mostar United trasmette per assonanze e dissonanze. Si può cogliere tutto o solo qualcosa. Ma non si resta indifferenti.
Mostar United
Italia-Slovenia/2009/75 min.
Regia: Claudia Tosi
Produzione: STEFILM con Petra Pan Production
In associazione con: Multicanal Iberia, RTF BiH, Lichtpunt, YLE FST, NRK, RTV Slovenija, TSI
Con il sostegno di: Piemonte Doc Film Fund, Provincia di Modena, Assemblea Legislativa Regione Emilia-Romagna, UISP per Adottalapace, Peace Games, Movimenta