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Il difensore
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Data pubblicazione: 23.07.2009 09:29

Zdenka Čebašek Travnik
E' un istituto che ormai in Slovenia compie quasi vent'anni, essendo nato, seppur in forme diverse dall'attuale, all'epoca della Jugoslavia socialista. Il difensore civico nel tempo ha sollevato questioni cruciali per la difesa dei diritti umani quali quella, tra le altre, dei cancellati
Questa volta Zdenka Čebašek Travnik è almeno riuscita a consegnare il suo rapporto al capo del governo. Lo scorso anno il difensore civico aveva dovuto spedire la sua relazione annuale all’ex premier Janez Janša addirittura per posta. I due non erano riusciti a trovare pochi minuti per incontrarsi. I politici, però, non sono disinteressati al lavoro dell’ombudsman, anzi spesso lo chiamano in causa per cercare di portare acqua al proprio mulino.

L’istituto del difensore civico ha cominciato a prendere piede, in Slovenia, sin dal 1988, quando venne costituito il “Consiglio per i diritti umani e le libertà fondamentali”. In quel periodo la Repubblica della federazione jugoslava era in pieno fermento. L’attenzione dell’opinione pubblica era catalizzata sul processo e sulla condanna che un tribunale militare aveva inflitto a Janez Janša e ad altre 3 coimputati, per aver divulgato segreti militari. Proprio in quel procedimento erano state ravvisate palesi violazioni dei diritti umani; prima fra tutte quella di non aver condotto il processo nella lingua degli imputati, ma di aver usato il serbo-croato.

Il consiglio continuò ad operare sino al 1995, quando il parlamento nominò il primo tutore dei diritti civici. Si trattava dell’allora vicepresidente della democrazia cristiana Ivan Bizjak. L’uomo politico fino a pochi mesi prima aveva ricoperto la carica di ministro degli Interni, ma aveva rassegnato le sue dimissioni quando, agli inizi del 1994, quattro agenti sloveni vennero arrestati dalle autorità austriache in circostanze ancora non del tutto chiare. A lui va il merito di aver consolidato l’istituto dell’ombudsman all’interno della società. La sua, comunque, fu un’azione prudente, non troppo sotto i riflettori e nemmeno troppo aggressiva nei confronti delle istituzioni.

Dopo sei anni al suo posto venne nominato Matjaž Hanžek, un sociologo che alla fine degli anni ottanta aveva avuto l’ardire di andare a monitorare il rispetto dei diritti umani nel Kosovo, per conto di una associazione slovena. Si trattava di un personaggio talmente anticonvenzionale che, il giorno in cui gli doveva essere conferito l’incarico, si presentò in parlamento senza giacca e cravatta. Apostrofato da un deputato rispose tranquillamente che anche vestirsi come si voleva era un diritto umano. Non appena pronunciato il giuramento di rito non ci pensò due volte a partecipare ad una manifestazione di solidarietà promossa a favore dei rifugiati. Fece capire, così, che non intendeva scegliere la via di un comportamento “politicamente corretto”, ossia essere deferente nei confronti del potere.

Con Hanžek la questione dei “cancellati” venne messa in primo piano, mentre lo scontro divenne durissimo sulla vicenda che coinvolse gli Strojan, la famiglia rom, che sotto la pressione degli abitanti locali, venne evacuata dal villaggio di residenza. Lui internazionalizzò il caso facendo piovere sulla Slovenia le critiche dell’Europa intera.

Gli esponenti del centrodestra non mancarono di accusarlo di agire in maniera “chiaramente politicizzata”, ma quello che non gli perdonarono fu soprattutto di aver messo in cattiva luce la Slovenia all’estero. Lui rispose lapidario, specificando che il governo avrebbe dovuto essergli grato per l’internazionalizzazione della questione, visto che così si dimostrava che nel paese esisteva ancora un’istituzione che aveva il coraggio di dire qualcosa ad alta voce.

Nel 2007 al suo posto venne nominata Zdenka Čebašek Travnik, una psichiatra che aveva a lungo lavorato con gli alcolizzati. Sin dall’inizio del suo mandato pose l’accento sui diritti dei bambini ed in genere dei malati.

La presentazione del rapporto di quest’anno è servita soprattutto a denunciare l’aumento dei “discorsi d’incitamento all’odio” (hate speech) che si manifestano all’interno della società. Sotto accusa i politici, i media, internet, ma anche le persone comuni. Manifestazioni di intolleranza sono state rilevate persino in un giornalino scolastico. L’ombudsman vorrebbe un’ azione più efficace della magistratura. In ogni modo il fenomeno è oramai in crescita da anni e nessuno pare intenzionato a porvi, per ora, un serio freno.

Rimane critica la situazione dei rom. In assenza di una vera e propria strategia dello stato continuano le discriminazioni nei loro confronti. Nella Slovenia orientale l’intolleranza non sembra calare. Il rapporto denuncia che le autorità locali vorrebbero persino condizionare l’acquisto d’immobili da parte dei rom con il placet degli abitanti della zona coinvolta. Ai rom non rimane quindi che restare segregati nei loro insediamenti semiabusivi costruiti ai margini dei paesini della bassa Carniola.

L’atteggiamento populista “anti rom” sembra, comunque aver coinvolto tutte le forze politiche a livello locale. Il sindaco di Žužemberk Franc Skufca – che milita in Zares- precisa sul settimanale Mladina che nel suo comune non vive nessun rom e che se qualcuno volesse venirci ad abitare dovrebbero essere i suoi concittadini a consentirlo. Il “caso Strojan” sembra quindi aver fatto scuola e le autorità locali si sentono così legittimate a limitare la libertà di movimento a cittadini sloveni in base alla loro appartenenza etnica.

Il tutore dei diritti civici mette in rilievo anche episodi di intolleranza nei confronti delle comunità religiose. Vengono così denunciate l’opposizione alla costruzione della mosche a Lubiana, il danneggiamento delle lapidi in un cimitero mussulmano, ma anche le manifestazioni di insofferenza che si registrano nella società nei confronti della chiesa cattolica.

La Čebašek Travnik denuncia anche il sovraffollamento nelle carceri, le condizioni di vita in alcuni ospedali psichiatrici e le lungaggini giudiziarie. Infine la relazione pone l’accento anche sulle discriminazioni sul posto di lavoro. Spesso i dipendenti, infatti, per paura di perdere il loro impiego tollererebbero le angherie dei datori di lavoro. Particolarmente delicata sarebbe la condizione dei lavoratori stranieri, che si rivelano il più delle volte totalmente impotenti davanti agli abusi inflitti loro da padroni poco onesti.