Libera Chiesa in libero Stato
25.08.2009
Da Osijek,
scrive Drago Hedl
(foto Iaia Ross/flickr)
Il presidente croato Mesić chiede ufficialmente che vengano rimossi i simboli religiosi dai locali pubblici. Una mossa che irrita fortemente la locale Chiesa cattolica e, secondo gli analisti, favorirà la destra alle prossime elezioni presidenziali
Il presidente croato, Stjepan Mesić, ha chiesto che dai locali sede di istituzioni dello Stato, come il ministero della Difesa e il ministero degli Interni, vengano tolti i simboli religiosi. Mesić ha motivato questa richiesta con il bisogno di rispettare la Costituzione secondo la quale la Chiesa è separata dallo Stato e secondo la quale nessuna comunità religiosa può essere privilegiata.
Il fatto è che in Croazia in molti locali ufficiali, inclusi anche gli ospedali pubblici, gli asili e le scuole, oppure negli uffici dell’amministrazione statale, sui muri sono appesi crocifissi, corone, foto dei santi e altri simboli cattolici. Mesić crede che tutto ciò sia in contrasto con i principi di uno Stato laico e che questi simboli - data l’uguaglianza di tutti i cittadini a prescindere dalla religione – debbano essere tolti.
“I simboli religiosi” - ha dichiarato Mesić in un’intervista alla Radio croata - “vanno tolti dai muri delle istituzioni pubbliche. E a questo dovrebbe partecipare anche la stessa Chiesa”.
In Croazia, dove più del 90% della popolazione si dichiara cattolica, questo tema è un tabù, e la questione posta dal capo dello Stato è stata subito trasformata nell'accusa di voler restaurare il comunismo e di lottare contro la fede.
Come c’era da aspettarsi, la dichiarazione di Mesić ha provocato una forte reazione della Chiesa cattolica che, tramite il suo settimanale “Glas koncila”, già da tempo sta conducendo una dura guerra verbale con il capo dello Stato. Dopo che Ivan Miklenić, caporedattore del settimanale cattolico “Glas koncila”, nel recente editoriale ha definito il presidente croato “grande traditore”, nello stesso giornale la richiesta di Mesić di togliere i simboli religiosi dai locali statali è stata subito commentata con la seguente frase: “Il futuro presidente croato dovrà essere una persona sana e psicologicamente equilibrata”.
Ai vertici della Chiesa cattolica croata nessuno ha preso le distanze da questo editoriale, pertanto Mesić ha ricambiato.
L’insofferenza della Chiesa cattolica nei confronti di Mesić vanta una lunga storia, e le radici di questi scontri sono dovuti in larga parte alla ferma presa di posizione del presidente sulle questioni dell’antifascismo e della condanna dei crimini del regime ustascia durante la Seconda guerra mondiale. A più riprese Mesić ha rimproverato alla Chiesa cattolica croata il fatto che il suo più alto capo non ha mai visitato l’ex campo di concentramento di Jasenovac, e non ha mai reso onore alle vittime innocenti dei crimini dei nazisti croati principalmente contro ebrei, serbi e rom.
La discussione sui simboli cattolici nelle istituzioni statali ha suscitato una forte polemica fra l’opinione pubblica croata. Alcuni eminenti intellettuali, buona parte dei commentatori giornalistici, i leader dei partiti di sinistra, e anche parte del clero cattolico, come il sacerdote di Spalato Ivan Grubišić, credono che Mesić abbia ragione. Ma Mesić, per il suo atteggiamento, è stato esposto a una forte critica. Insieme a molti dignitari della chiesa, al suo atteggiamento si sono opposti anche alcuni politici che non ci vedono niente di male se nei locali di alcune stazioni di polizia oppure nelle caserme ci sono crocifissi o altri simboli cattolici.
Parte dell’opinione pubblica, tuttavia, come la commentatrice dello “Jutarnji list” Jelena Lovrić, crede che quello sui simboli sia il problema minore nei rapporti fra lo Stato croato e la Chiesa cattolica. “La verità è - sostiene la nota commentatrice - che alcune scuole sono come piccole cappelle” e “il vero problema è che sistematicamente alla Chiesa cattolica vengono dati dei privilegi, basati su accordi con il Vaticano, come in nessun altro paese europeo”.
Anche lo stesso Mesić ha detto qualcosa in proposito: “La Chiesa cattolica è in una posizione di privilegio in Croazia. Annualmente riceve 270 milioni di kune (circa 37 milioni di euro) dal conto statale, costruisce molto, e affitta le proprietà restituite”.
Fino ad ora i privilegi della Chiesa cattolica e le importanti somme di denaro che riceve dal budget statale, in particolare in questo periodo di pesante recessione in cui si trova la Croazia, sono stati solo timidamente nominati. Non c’è stata una seria discussione per vedere se anche la Chiesa cattolica debba addossarsi una parte del fardello che ora, con l’aumento dell’IVA dal 22 al 23 per cento e con l’introduzione di una particolare “tassa di recessione” sugli stipendi e le pensioni, grava esclusivamente sulle spalle dei cittadini.
Una parte degli analisti rimprovera a Mesić l’aver tirato fuori queste domande soltanto alla fine del suo secondo ed ultimo mandato (le elezioni per il presidente della Repubblica si terranno all’inizio dell’anno prossimo) e soltanto dopo essere stato irritato dai commenti del settimanale cattolico “Glas koncila”. Gli analisti credono che il problema del rapporto tra la Chiesa cattolica e lo Stato croato doveva essere sollevato prima ma in un’atmosfera più calma e fredda e non in una situazione tesa quale è adesso fra il vertice della Chiesa cattolica e il presidente della Repubblica.
Inoltre, ritengono i commentatori, Mesić ha recato un danno enorme alla sinistra croata, alla quale è vicino, perché - prima delle elezioni per il capo dello Stato - ha prestato un’occasione alla destra per porre nuovamente la questione fondamentale del rapporto fra Stato e Chiesa nel contesto di un “tentativo di restaurazione del comunismo”. Il clima creatosi nella società con la posizione di Mesić sulla necessità di togliere i simboli religiosi dalle istituzioni statali, non fa che favorire la destra e i suoi candidati alle elezioni per il capo dello Stato.