Trovato a: http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/11794/1/167>
Quando è stato avviato, nel 2005, la municipalità metropolitana, i comuni delle circoscrizioni interessate e la direzione centrale degli alloggi (TOKİ) lo hanno definito un “progetto sociale che avrebbe cambiato la faccia della città”. Il mega piano di trasformazione urbana di Istanbul (kentsel dönüşüm), nel giro di quindici anni dovrebbe portare alla demolizione di oltre un milione di case abusive, abitazioni fuori norma e a rischio sismico, e al trasferimento degli abitanti delle case sgomberate in case nuove, moderne e sicure. Ma il progetto, che coinvolge circa trenta comuni e un centinaio di quartieri, si sta rivelando un vero e proprio sfregio al patrimonio culturale e storico di Istanbul a fini affaristici e, a livello sociale, un disastro.
A Istanbul, secondo i dati ufficiali, abitano dodici milioni di persone. Le unità abitative sono circa due milioni, e il forte processo di urbanizzazione dall’Anatolia ha fatto sì che, a partire dagli anni ’50, si accumulassero almeno tre generazioni di costruzioni abusive, i cosiddetti
gecekondu (posati nel giro di una notte).
Ma a esser inclusi all’interno del piano di riqualificazione urbana non sono solo i gecekondu. I progetti di ricostruzione, coordinati dalla TOKİ e basati su accordi privati tra società e amministrazioni locali, includono tutta una categoria di case “fatiscenti” al posto delle quali verranno costruite abitazioni rivolte a un’utenza con un reddito medio-alto per dare a Istanbul la fisionomia di una “città moderna”.
Il criterio di “fatiscenza” con cui vengono catalogati i quartieri però appare alquanto arbitrario. Gli studiosi fanno infatti notare che la categoria viene applicata tenendo in particolare considerazione il tipo di abitanti che popolano il quartiere da “risanare”. La povertà e la marginalità sono infatti stili di vita non in linea con l’immagine che le autorità intendono dare della nuova Istanbul. E spesso la condizione di vita disagiata viene assimilata ad un problema sociale da risolvere, relegando gli elementi "pericolosi" nelle periferie.
Rientrano in quest'ottica gli interventi fatti nel quartiere di
Ayazma, a Küçükçekmece, nella periferia occidentale di Istanbul. Ayazma, con i suoi insediamenti di case abusive, era da tempo stata bollata come “culla del terrorismo”. Agli inquilini delle gecekondu, privati delle case che abitavano da diversi anni, è stata data la possibilità di trasferirsi sempre in altri appartamenti della periferia messi a loro disposizione dalla TOKİ, a patto di corrispondere per 15 anni un mutuo con una rata mensile di circa 250 lire turche (125 euro). Una cifra non indifferente per chi in Turchia vive senza un reddito mensile fisso e lavora alla giornata. Molte famiglie infatti, non riuscendo a sostenere le rate assommate alle spese di riscaldamento e di elettricità, hanno dovuto lasciare le case dove si erano trasferiti e sono rimaste per strada.
Sulukule
Un destino analogo è toccato anche agli abitanti dei quartieri Neslişah e Hatice Sultan, meglio noti con il nome Sulukule, millenario insediamento rom presso le mura di Teodosio a Fatih. In questo caso, però, gli abitanti del quartiere, legittimi proprietari delle case, sono stati letteralmente obbligati a vendere al prezzo stabilito dal comune di Fatih (500 lire turche al metro quadro, circa 250 euro, o poco più). “TOKİ, la municipalità metropolitana di Istanbul e il comune di Fatih hanno firmato all’insaputa di tutti il protocollo per l’avvio dei lavori”, ha spiegato Şükrü Pendük, presidente dell’Associazione per lo sviluppo e il sostegno della cultura rom. “A Sulukule nessuno ha visto il progetto”. “A Fatih molti progetti sono stati condotti in modo segreto dall’inizio fino alla fine. Sulukule è uno di questi. Nessuno ne ha saputo niente. Il sindaco ha fatto una presentazione su Sulukule. Ha detto che l’1% sono pifferai, e che il 47% non ha nemmeno la licenza elementare. Ha voluto dire che sono ignoranti”, ha dichiarato invece Yakup Karoğlu, membro del consiglio comunale di Fatih che lo scorso febbraio ha dato le dimissioni dall’Adalet ve Kalkinma Partisi (Partito della Giustizia e dello Sviluppo, AKP).
Il processo è iniziato con l’acquisto a prezzi stracciati dei terreni, mentre molti dei proprietari delle case sono stati costretti a cedere i propri diritti. La stampa ha reso noto che i terreni sgomberati sono stati destinati a politici e al loro entourage. Risulterebbero tra questi i figli di alcuni parlamentari, diversi membri del consiglio comunale dell’AKP, alcuni dirigenti della İSKİ (Direzione delle acque di Istanbul) e leader di confraternite religiose.
Intanto, Sulukule è stata rasa quasi completamente al suolo. Non sono state risparmiate nemmeno le case del periodo ottomano che sono state demolite “per sbaglio” assieme alle altre. Ora, nel quartiere dove la popolazione rom aveva rappresentato con la propria musica e il proprio stile di vita una delle realtà più vivaci di Istanbul per diversi secoli, sorgeranno 665 residenze costruite in stile architettonico “turco classico”, con 45 attività commerciali.
Tra le trecento famiglie di Sulukule cui erano stati riservati dei palazzi in cemento a 40 Km da Istanbul, nella località di Taşoluk, solo cento sono andate ad abitare nei nuovi palazzi. Molte tra queste, dopo pochi mesi di permanenza, hanno venduto le case e abbandonato la zona. Le altre duecento famiglie invece hanno ceduto le abitazioni a prezzi stracciati. Restano solo 27 famiglie alle prese con le rate da pagare e in cerca di un acquirente.
Sempre Şükrü Pündük spiega: "I miei concittadini sono stati esiliati in casermoni di cemento armato dopo aver vissuto per anni in case con i cortili interni. Là vivevano a contatto con i vicini. Avevamo una vita di quartiere, che teneva in piedi le famiglie e in cui ci si aiutava a vicenda”.
Anche altri quartieri storici, come Zeyrek, Balat, Fener, Süleymaniye e Tarlabaşı, sono coinvolti nel processo di trasformazione. A Beyoğlu, abitata prevalentemente da profughi curdi ma anche da travestiti, clandestini, ed emarginati di ogni sorta, è stata avviata una “riqualificazione”. Si stanno rinnovando 278 edifici, 210 dei quali già destinati a ospitare caffè e alberghi. Per gli inquilini sono stati di nuovo predisposte delle abitazioni in periferia, con il sistema dei mutui.
Il terzo ponte
Il piano di trasformazione urbana intende intervenire anche su altre costruzioni. L’ordine degli ingegneri e degli architetti (TMMOB), promotore assieme ad alcune organizzazioni non governative di ricorsi contro gli interventi delle amministrazioni nei quartieri interessati al progetto, ha infatti lanciato l’allarme anche per il futuro di edifici monumentali del periodo repubblicano, come il Centro culturale Atatürk, il teatro Muhsin Ertuğrul, la sede della Radio di Istanbul o la stessa piazza Cumhuriyet a Taksim, che verrebbero demoliti.
Altro progetto avversato dagli stambulioti è quello della costruzione del terzo ponte sul Bosforo. Il sindaco di Istanbul, Kadir Topbaş, la scorsa settimana ha annunciato che la tratta interessata alla costruzione sarà la Tarabya-Beykoz. L’ultima parola spetta però al premier Erdoğan, che non ha ancora confermato le parole di Topbaş sulla posizione del ponte. Gli oppositori del progetto non credono che un terzo ponte porterebbe ad un alleggerimento dell’intenso traffico tra le due sponde di Istanbul, mentre avrebbe come effetto sicuro quello di prosciugare i bacini idrici e devastare le aree boschive del nord.
Sarebbero già pronti, però, i progetti di costruzione di numerosi centri commerciali sulle strade di collegamento al ponte, insediamenti che colpirebbero duramente anche i negozi e gli artigiani delle zone interessate.