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Strade tortuose
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Data pubblicazione: 14.09.2009 10:13

(snarl/flickr)
Ostacoli, passi in avanti, alchimie politiche. Il complesso rapporto tra Bucarest e Bruxelles alla luce dell'ultimo report sull'avanzamento delle riforme in Romania e in attesa della formazione della nuova Commissione europea in un'intervista con il politologo Radu Carp
Radu Carp, uno dei più importanti esperti di scienze politiche nell’ambito di studi europei in Romania, è docente di Diritto Pubblico e Scienze Politiche nonché vice-decano della Facoltà di Scienze Politiche all’Università di Bucarest e autore di diversi studi autorevoli.

Perché nei suoi report - l’ultimo pubblicato a fine luglio - la Commissione europea indica in modo persistente il parlamento rumeno come un fattore problematico?

Innanzitutto bisogna far notare che sono sempre gli stessi funzionari della Commissione a dialogare con le autorità rumene e che quindi questi tendono inevitabilmente a segnalare gli stessi problemi. Il punto cruciale di questi report è però la mancanza di un meccanismo per applicare le conclusioni riportate.

Perché il report attribuisce i problemi persistenti in Romania ancora una volta al parlamento? Beh, sicuramente c’è grande attenzione per i casi di corruzione d’alto livello, che coinvolgono ad esempio attuali ed ex ministri, le cui indagini necessitano dell’approvazione del parlamento. Qui c’è un problema la cui soluzione non è molto semplice da trovare.

Di certo il report non contiene raccomandazioni – tali report non possono farlo – ma se si legge tra le righe, la Commissione ci sta dicendo che ci devono essere delle scadenze molto più precise per dare inizio ad un’indagine: e questo non può essere risolto se non con un emendamento legislativo o addirittura costituzionale. Decisioni che spettano appunto al parlamento.

Secondo lei, cosa accadrà d’ora in poi? Ci sarà un’altra formula simile alla “clausola di salvaguardia” per mantenere il paese sulla giusta strada delle riforme?

Questo era l’ultimo report che poteva innescare delle clausole. E’ però molto probabile che la nuova Commissione europea inventi un nuovo meccanismo per monitorare la Romania, la porta è aperta – l’ultimo report non dice che il meccanismo attuale non può essere modificato. Sono convinto che ciò accadrà. Probabilmente avremo un sistema simile alla “clausola di salvaguardia”, visto che i problemi persistono; sono trascorsi due anni dalla nostra adesione all’Ue e le questioni relative alla giustizia sono ancora pendenti sull’agenda di Bruxelles e sulla nostra.

Ad ogni modo è stato fatto un notevole passo in avanti, come nota la Commissione: sarà l’Alta Corte di Cassazione e Giustizia a stabilire le linee guida per le sanzioni in caso di corruzione, che varranno per tutte le corti del paese, in modo da trattare in modo equo tutti i reati. Si dà così risposta ad uno dei maggiori problemi del sistema giudiziario romeno– una corte in una città potrebbe applicare una pena, un’altra corte potrebbe applicarne un’altra o nessuna. I tribunali non saranno obbligati a seguire le linee guida, ma un testo di riferimento potrebbe fungere da "codice di buona condotta".

Se guardiamo al persistere degli stessi problemi in paesi come Bulgaria e Romania, lei crede che il potere esecutivo debba giocare un ruolo nella spinta verso le riforme? Le coalizioni come quella oggi al governo in Romania sono un ostacolo per governare?

I governi di coalizione hanno successo quando il loro programma, la loro struttura ecc, sono stati discussi e negoziati a lungo. Ad esempio, in Germania, il governo attuale è una coalizione dal 2005 e ha impiegato tre mesi per prendere la forma attuale, cosa che non è avvenuta in Romania. Non sto dicendo che le coalizioni portano automaticamente all’instabilità, ma una tale collaborazione deve essere negoziata a lungo. Ci sono paesi che possono permettersi questo lusso, ma ce ne sono altri con talmente tanti problemi da risolvere, che non se lo possono permettere.

C’è un altro punto da sottolineare: in una coalizione di governo ogni partito vuole in qualche modo preservare la sua identità. Non ci dimentichiamo che in paesi come Bulgaria e Romania il presidente viene direttamente eletto dal popolo – quindi i partiti che sostengono i candidati non vogliono perdere la loro individualità, specialmente nel periodo compreso tra le elezioni parlamentari e quelle presidenziali. In Romania ci sono elezioni presidenziali in vista, alla fine di quest’anno.

Crede che Romania e Bulgaria abbiano influenze negative sulle possibilità d’accesso di altri potenziali nuovi membri quali Croazia e Turchia?

Non metterei più di tanto in relazione quanto accade in Romania e Bulgaria con le polemiche sull’allargamento. Non credo che le istituzioni europee o gli stati vogliano puntare il dito contro i nostri paesi e prenderli come scusa per bloccare il processo di allargamento. Se vogliono fermarlo, devono farlo sulla base di altri criteri.

Di sicuro ci sono dei partiti politici in Europa che si sono espressi contro la nostra adesione a cose fatte. Ma queste non sono le posizioni ufficiali di quegli stati. Si tratta piuttosto di canali di comunicazione, così li definirei, si cerca da un lato di far applicare certe riforme a Romania e Bulgaria, e dall’altro di far sì che gli stati che vogliono entrare in Ue accelerino il processo di implementazione delle riforme.

Inoltre, questi stati stanno affrontando problemi differenti. La Romania, ad esempio, si trova di fronte ad una corruzione d’alto livello, mentre la Bulgaria fronteggia più il crimine organizzato. In Turchia c’è la questione della poca indipendenza tra giustizia e potere politico.

Intravede delle possibilità per Bulgaria e Romania di ottenere dei portafogli più influenti con la prossima Commissione europea?

Possibile che ne riceveremo di più importanti rispetto a quelli del 2007. Non so la Bulgaria, ma nel caso della Romania quel che mi preoccupa è che abbiamo ottenuto non poche poltrone importanti nelle commissioni del Parlamento europeo. Da quanto ne sappiamo, i negoziati sulla composizione di Parlamento e Commissione avvengono “per blocchi”, che significa che i paesi che ottengono più posti al Parlamento ne ricevono meno alla Commissione.

La Polonia ad esempio, dopo aver ottenuto la presidenza del Parlamento, difficile riconfermi un posto in Commissione rilevante come quello della scorsa legislatura. Quindi, chiunque voglia vedere quali uffici i vari paesi otterranno alla Commissione, dovrà seguire attentamente quali funzioni sono state assegnate all’interno del Parlamento europeo.