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Aveva tentato la scalata al traballante impero dell'ex mago della finanza Boško Šrot. Ma la holding controllata da Pierpaolo Cerani era piena di debiti e le banche slovene hanno requisito le azioni che controllava. Una serie di aziende slovene, dopo la privatizzazione, sono ora di fatto ritornate in mano allo Stato
(decib - Daniele B./Flickr)
L’imprenditore goriziano Pierpaolo Cerani sembra essere stato in Slovenia una meteora estiva. Aveva fatto la sua comparsa a luglio acquisendo una fetta del patrimonio in dissoluzione di Boško Šrot, ex amministratore della holding del birrificio di Laško che era diventato in pochi anni proprietario di un impero. Controllava praticamente tutta l’industria nazionale delle bevande, due prestigiosi giornali ed una serie di altre aziende, tra cui una fetta consistente della Mercator, la più importante catena di supermercati slovena, con forti diramazioni nel resto dei Balcani.
La crisi finanziaria ha dato lo scossone decisivo al suo impero e poi la politica ha fatto chiaramente capire che non avrebbe consentito che si salvasse. Šrot aveva iniziato la sua scalata potendo contare su una serie di generosi crediti per le sue operazioni finanziarie e su cessioni molto convenienti. Dietro di lui c’erano le banche ed anche alcuni politici. Non a caso i finanziamenti principali erano arrivati da istituti bancari controllati dallo Stato.
Quando Šrot fu all’apice della sua potenza suo fratello venne messo addirittura alla guida del partito popolare. Una formazione oggi all’opposizione, ma che nei due mandati precedenti era stata prima al governo con il centrosinistra e poi con il centrodestra. La politica probabilmente pensava di poterlo controllare, mentre lui ad un certo punto sembrava voler invertire i ruoli. Aveva, però, fatto male i suoi calcoli. Così quello che fino a ieri era considerato un mago della finanza, oggi viene presentato come un volgare profittatore.
La Nova Ljubljanska banka (NLB) aveva anche tentato di dilazionare il pagamento delle pendenze, ma l’operazione è costata la testa al suo direttore Draško Veselinovič, che - pressato dal governo - si è trovato costretto a dover rassegnare le dimissioni. In ogni modo quando le banche hanno deciso di chiudere il rubinetto e di chiedere il rientro dei finanziamenti tutto è iniziato a crollare come un castello di carta.
A quel punto era abbastanza chiaro che se i crediti non fossero rientrati le banche avrebbero messo in vendita le azioni che Šrot aveva dato in garanzia. Per un po’ i banchieri avevano tentennato cercando di spiegare che per gli istituti di credito non sarebbe stato un grande affare, poi quando è sceso in campo Cerani si sono decise a far scattare l’operazione.
L’imprenditore goriziano si è presentato sulla scena come un coniglio uscito dal cilindro. Nessuno sapeva chi fosse. Le sue prime dichiarazioni poi non hanno mancato di suscitare un certo divertito sbigottimento. Si sarebbe, infatti, comprato le più importanti aziende slovene perché sarebbe un amante della
Radenska, l’acqua minerale con cui avrebbe voluto invadere il mercato americano.
Cerani comunque chiedeva di essere ascoltato per presentare il suo piano di rientro. Nessuno gli ha dato credito. La Infond holding, di cui è diventato recentemente amministratore, agli inizi di agosto controllava il 54% della holding del birrificio di Laško ed il 25% della Mercator. Oggi possiede poco più del 3% delle azioni del birrificio e l’1,35% di quelle della Mercator. La società sarebbe insolvente e per molti potrebbe essere destinata a fallire. Secondo i calcoli del quotidiano
Dnevnik avrebbe, infatti, 40 milioni di euro di patrimonio e 100 di debiti.
L’azienda ha comunque annunciato che starebbe intentando causa contro le banche visto che ci sarebbero state irregolarità nella vendita delle azioni. Le banche, infatti, in molti casi, avrebbero ceduto a loro finanziarie le quote requisite. Per la Infond holding non avrebbero potuto farlo e se le avessero messe realmente sul mercato la quotazione sarebbe stata più alta.
In ogni modo persino il compassato capo dello Stato, Danilo Türk, si è preso la briga di entrare nel merito della vicenda affermando che con la requisizione delle azioni da parte delle banche si sono tutelati sia gli “interessi nazionali” sia quelli dei proprietari. Per molti anni, comunque, gli “interessi nazionali” si difendevano non “svendendo” le aziende slovene agli stranieri. Ora il nuovo governo sembra essere meno disposto a cavalcare questo argomento.
Sta di fatto che adesso sia il birrificio di Laško sia la Mercator sono in mano alle banche o più precisamente alle loro finanziarie. Siccome i principali istituti di credito sono controllati dallo stato si potrebbe dire che con la privatizzazione s’è fatto molto rumore per nulla. Le aziende dopo un giro di valzer, seppur indirettamente, sono tornate lì dov’erano in origine, cioè in mano allo stato.
L’operazione di Cerani, comunque, è servita per scrivere un’altra pagina buia per il giornalismo sloveno. Quando è entrato sulla scena alcuni giornali non hanno mancato di cercare di capire chi fosse e lo hanno presentato come un “imprenditore controverso”. Fiumi d’inchiostro sono stati versati per raccontare del suo passato, della sua amicizia con Vittorio Emanuele di Savoia e dei suoi affari nei Balcani ed in Africa. Ad ogni modo, non era stato scritto nulla di più di quanto era già stato pubblicato dalla stampa italiana e da quella internazionale. Particolarmente cocciuto nell’indagine il
Dnevnik di Lubiana.
Un giudice, così, ha vietato al giornale di scrivere “su determinate attività che Cerani ha svolto in passato”. Ne andava della sua credibilità di imprenditore. Pena una multa di 50.000 euro che potrebbe arrivare sino a 500.000. D’un tratto tutti i mezzi d’informazione hanno smesso di parlare di Cerani, anche se non hanno mancato di mettere in rilievo che è stato inferto un duro colpo alla libertà di stampa.
Subito ha reagito l’organizzazione internazionale
Reporters sans frontierer : “I tribunali sloveni - hanno scritto in un comunicato di condanna – legalizzano una forma di censura inaccettabile nell’Unione europea”. Dure proteste anche delle associazioni dei giornalisti sloveni. La vicenda ha fatto aprire il dibattito nel paese sul confine tra la privacy e la libertà di stampa, che a parole, naturalmente, tutti giurano di voler difendere.