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(De Balie/Flickr)
In Serbia è stata adottata una riforma del sistema dei media. Non senza polemiche, soprattutto in seno alla stessa maggioranza di governo. Ma alla fine sembrano tutti soddisfatti, tranne i giornalisti
In una seduta del 31 agosto scorso il Parlamento della Serbia ha adottato alcuni emendamenti alla Legge sull’informazione. La legge è poi stata approvata col voto di 125 deputati. A favore hanno votato il Partito democratico, il G17 plus, il Partito dei pensionati uniti della Serbia, il gruppo dei deputati delle minoranze ad eccezione degli albanesi di Riza Halimi, i dieci deputati del partito d’opposizione Partito liberale democratico e i deputati indipendenti Vladan Batić e Jovan Damjanović. Contro la legge si sono schierati il Partito democratico della Serbia, la Nuova Serbia, il Partito serbo radicale e il partito della maggioranza Serbia unita. Anche due deputati del Partito liberale democratico, Vesna Pešić e Žarko Korać, hanno votato contro la legge. I deputati del Partito progressista serbo hanno abbandonato la sala e i deputati del Partito socialista si sono astenuti. Il giorno seguente, il presidente della Serbia Boris Tadić ha firmato la legge.
Gli emendamenti alla Legge sull’informazione avrebbero dovuto essere approvati nell’ultima seduta prima della pausa estiva del parlamento, ma le modifiche proposte hanno diviso la coalizione di governo e hanno acceso il dibattito tra gli esperti. Alla fine di luglio sembrava che proprio su questa legge il governo potesse entrare in crisi. Il ministro della Cultura, Nebojša Bradić (G17 plus), estensore della legge, ha sottolineato in quell'occasione che essa metterà ordine nell'attuale caos dei media serbi. Ma gli altri alleati di governo non si sono accontentati di questa spiegazione. Anche numerosi esperti del settore si sono opposti a quelle che consideravano sanzioni draconiane per i media e che potevano di conseguenza portare a forme di censura e autocensura.
Il partito democratico (DS) ha cercato di ammorbidire il testo della legge con alcuni emendamenti ma il leader del G17 plus, Mlađan Dinkić, noto per essere già stato causa della caduta di ogni governo insediatosi dal 2000 ad oggi, aveva rigettato la modifica anche di una solo lettera della legge. Il Partito socialista della Serbia (SPS) e altri partner della coalizione di governo, tra cui Serbia unita (JS) e il Partito dei pensionati uniti della Serbia (PUPS), avevano quindi tolto il loro appoggio alla legge. E non sarebbero stati certo i partiti di opposizione a fornire alla maggioranza i loro voti, non vedendo l'ora di poter attaccare il governo accusandolo di voler adottare una legge simile alla famigerata legge scritta nel 1998 dall’allora radicale Aleksandar Vučić, che permise a Slobodan Milošević di fare i conti con i giornalisti non allineati e di punire e mettere a tacere i media.
Gli emendamenti successivamente proposti dal Partito democratico in particolare riguardavano l'abolizione dell'obbligo, per l'apertura di un nuovo media, di investire 50.000 euro; l'abbassamento delle multe per le violazioni di legge, la sostiuzione della multa con un semplice ammonimento nel caso si tratti della prima violazione della legge. Il pressing degli alleati di governo sugli emendamenti ha infine convinto Mlađan Dinkić a cambiare idea, e la legge modificata è passata. In extremis, dopo che l'OSCE aveva dichiarato che con gli emendamenti previsti la legge era coerente con gli standard europei, anche il leader del Partito liberal democratico Čedomir Jovanović ha deciso di appoggiarne l'approvazione.
La Legge sull’informazione è stata approvata seguendo la procedura d'urgenza. Non è né la prima né sarà l’ultima legge ad essere approvata con questa modalità. Un modo - hanno sottolineato in molti - per evitare il dibattito pubblico adducendo la necessità di riformare al più presto la giurisdizione locale in chiave di integrazione europea.
Il dibattito scatenato dalla difficile adozione di questa legge era ben poco legato al merito specifico della libertà dei media. La necessità di introdurre una regolamentazione nel mondo dell'informazione era infatti, in via di principio, sostenuta dalla maggior parte dei cittadini e degli esperti. Meno chiaro era il motivo di tanta fretta. Nei corridoi belgradesi si vocifera che era necessario inviare un chiaro messaggio ai media disobbedienti e preparare il terreno mediatico per le prossime elezioni. La legge inoltre è stata scritta dal G17 plus, il quale, dicono i sondaggi, non gode attualmente di una buona posizione, e forse proprio questo è stato il motivo di questa “legge severa”, secondo una definizione dell'agenzia Reuters.
Tutti i membri della coalizione sembrano ora soddisfatti. I democratici e il G17 plus sono riusciti a far passare una legge che avevano fortemente voluto, i socialisti dell'SPS si sono lavati le mani dai peccati per quanto riguarda la libertà dell'informazione del passato e Serbia unita ha continuato a guadagnare consenso fra i cittadini.
La capogruppo del DS al parlamento Nada Kolundžija ha dichiarato che il governo non era in crisi, ma che c’era bisogno di tempo per trovare il modo di superare una “situazione complicata”. Anche ai deputati delle minoranze era sufficiente l’accoglienza di alcuni emendamenti per dare il loro via libera. Il solo Riza Halimi ha lasciato l'aula – come del resto sta avvenendo per le votazioni di qualsiasi altra legge - in segno di protesta perché a suo avviso viene continuamente trascurato il problema degli albanesi del sud della Serbia. Curioso però che la Legge sull’informazione pubblica sia passata anche grazie a lui: il 31 agosto, per la prima volta nella storia moderna del parlamentarismo serbo, si sono presentati a votare tutti i 250 deputati. Perché la legge passasse erano necessari quindi 126 voti. Ve ne erano solo 125, ma Halimi ha lasciato l'aula, abbassando il quorum, e la legge è passata.
Chi ha duramente criticato la legge, annunciando proteste, sono state le associazioni giornalistiche. Ma come già successo in passato i giornalisti hanno dimostrato di non avere una posizione comune. L’Associazione dei giornalisti della Serbia (UNS) ha organizzato proteste – a cui ha partecipato una cinquantina di giornalisti - il giorno in cui la legge è stata adottata, definendola “non democratica e incostituzionale” e ha annunciato che farà appello al Tribunale per i diritti umani di Strasburgo. L’Associazione indipendente dei giornalisti della Serbia (NUNS) non è entusiasta della legge, ma crede che sia stata migliorata dagli emendamenti. Quest'ultima ha fatto appello al ministero della Cultura, al Governo e al Parlamento a coinvolgere esperti di settore, media e associazioni giornalistiche nell'applicazione della riforma dei media.