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Cabaret pseudo-emigrante

28.09.2009    Da Skopje, scrive Risto Karajkov
I "Foltin" - foto E. Bojadjieva
Musica calda e anticonvenzionale, collaborazioni con il teatro, crescente successo di pubblico in casa e all'estero. I "Foltin" sono sicuramente il fenomeno musicale del momento in Macedonia. Osservatorio ha intervistato Branko Nikolov, cantante e front-man della formazione
Il loro ultimo album, “This Transplanted Machine Has Never Typed a Love Letter”, è uscito all’inizio di quest’anno. Dicono di essersi ispirati al fenomeno degli sms d’amore via cellulare.

Dopo quattordici anni di attività e cinque album prodotti, al momento i “Foltin” sono uno dei principali, se non il più importante fenomeno musicale in Macedonia. Sicuramente il più autentico e non convenzionale. Ma non nel senso di arte pretenziosa che fa fuggire le masse. La loro musica è fresca, calda, infinitamente fantasiosa, e ha il potere di far sentire le persone avvolte in un abbraccio, a tirarle su di morale. E ora si stanno facendo conoscere anche all’estero.

La critica fatica a definire il genere musicale dei Foltin. Il loro lavoro è una pletora non proprio di influenze, ma di flirt con diversi generi. Inoltre, i Foltin suonano strumenti piuttosto inusuali. Quando è esploso il loro fenomeno in Macedonia nel 2000, con il loro secondo album “Arhimed”, l’unico strumento “comune” presente sul palco era il basso. Per il resto c'erano bizzarri elementi a percussione, tubi, fischietti, setacci... Per non parlare del linguaggio, che solo nel corso del tempo si è gradualmente evoluto in macedone, inglese... In origine era il linguaggio Foltin, una mimica fonetica di diverse lingue senza alcun significato semantico.

Profondamente radicati nella scena teatrale e dello spettacolo, i Foltin hanno realizzato la musica per diverse opere che recentemente hanno riscosso successo, tra cui uno spettacolare adattamento di “Tamburi nella notte” di Bertolt Brecht, diretto dal giovane Martin Kocovski.

È loro anche la musica del noto documentario “Cash and marry”, del regista macedone Atanas Georgiev, un film sulla storia di migranti che cercano di assicurarsi il visto all’estero tramite il matrimonio.

I Foltin non smettono mai di esibirsi dal vivo; di recente sono stati in tournée in Francia, Germania e nei Balcani, prossimamente si sposteranno in Libano. Un loro concerto è imperdibile, perché si tratta di qualcosa di completamente diverso dal solito, nel senso più positivo del termine.

Il cantante, Branko Nikolov, un vero “animale da palcoscenico”, sceso dal palco diventa subito un interlocutore molto tranquillo e piacevole. L’abbiamo incontrato a Kumanovo, a 50 chilometri da Skopje, dove il gruppo si è esibito in una delle sue performance.

Chi ha influenzato la vostra musica? Con quali gruppi musicali siete cresciuti?

Difficile dirlo, le influenze non sono sempre musicali. Ad esempio, il nome del gruppo viene dalla letteratura, dal nome dell’ultima e incompleta opera di Karel Capek, “Composer Foltin”.
A livello musicale, io mi sono spesso lasciato ispirare dagli spettacoli teatrali, dalle innovazioni; se posso chiamarlo umorismo... difficile fare dei nomi. Credo mi abbia influenzato il lavoro di Bjork, o di Tom Waits o Johnny Cash.

Il giovane Cash o i suoi ultimi lavori?

Diciamo che mi ha intrigato il suo lavoro con i Depeche Mode, “Personal Jesus” [sorride]... ma nella maggior parte dei casi, non riuscirei ad individuare una fonte precisa di ispirazione. Talvolta la musica nei film ha il potere di commuovermi tremendamente...

In molti hanno cercato di definire la vostra musica. Il fatto che il vostro lavoro sia difficile da definire ormai è diventato una sorta di cliché. Potete dare un aiuto a questo sforzo collettivo?

Sì, è vero, ci sono stati diversi tentativi. Noi diciamo che facciamo cabaret pseudo-emigrante, o che suoniamo musica per “dita nervose e asciutte”... Ci hanno piazzato un po’ ovunque, a noi va bene; dicono che siamo disco, ethno-punk, psychedelic trance, alter electro-pop... di tutto. Può essere che sia difficile, a noi piace il termine “cabaret pseudo-emigrante”. E’ un po’ una sorta di minimo comune denominatore di ciò che facciamo...

Ascoltando i vostri due ultimi album si direbbe che siete cambiati molto rispetto ad "Arhimed", con cui siete diventati famosi nel 2000... All’inizio vi ho visto esibirvi in "Arhimed": in pratica non avevate alcuno strumento usuale sul palco, eccetto il basso. Siete diventati più “mainstream” nel corso degli anni?

Vero, siamo cambiati. Ma in generale siamo rimasti coerenti con il nostro lavoro. Intendo dire che usiamo ancora quegli strumenti teatrali. Ma non ci approcciamo alla musica in termini tanto consapevoli... l’album semplicemente prende forma... alla fine non ricordiamo neanche così bene tutto il processo che porta al risultato finale. Le canzoni cambiano con noi.

Potete fare cabaret anche allo stadio?

Tecnicamente è possibile. Abbiamo suonato in spazi aperti molto grandi, ma preferiamo quelli più piccoli e intimi, 300-500 persone, al massimo mille, ma non di più. Non ci piace particolarmente suonare per i passanti, vogliamo suonare per il pubblico che sa perché si trova lì. Allora ci può essere un vero scambio, un’unione...

Suonate veramente molto, per essere un gruppo macedone... non vi stancate?

Suoniamo molto per essere un gruppo che fa musica propria, che non fa cover... a noi piace suonare dal vivo, è ciò che ci dà carica, che ci tiene vivi. Ma sicuramente ci stanca. Dobbiamo scegliere quando e dove suonare, dobbiamo ridurre le offerte... Non so, lo scorso anno abbiamo fatto circa 80 concerti, ci piace molto, abbiamo perfino registrato qualche album live...

C’è un concerto che per voi è stato speciale?

Non saprei proprio. Certe volte è fantastico perché ci sentiamo estasiati lì sul palco, come ci è successo di recente nel nostro tour per i Balcani. Altre volte è l’eccitazione del pubblico che lo rende elettrizzante... ma non saprei citare un evento in particolare.

Avete fatto molta musica per il teatro... come si inserisce questo nei vostri piani futuri?

Sì, negli ultimi tempi abbiamo scritto diversa musica per opere di teatro. Abbiamo realizzato anche la musica per il documentario “Cash and marry”... Vorrei tanto, e lo spero, non dover scegliere tra i nostri progetti e la musica per il teatro nel prossimo futuro. Vorremmo fare entrambi. Mi piacerebbe che le cose andassero in maniera tale da non trovarci di fronte ad una scelta esclusiva...

Com’è successo? Prima i Foltin e poi la musica per il teatro, oppure viceversa?

Abbiamo iniziato come gruppo interessato alle performance. Alcuni di noi non avevano neanche un percorso musicale alle spalle. Abbiamo realizzato i nostri strumenti, e poi ci siamo spontaneamente avvicinati al teatro...

Leggendo i commenti sul vostro lavoro, ho notato che c'è chi non riusciva a credere che un gruppo simile potesse venire dalla Macedonia...

Qualcuno non sa molto della Macedonia [sorride]. E’ un paese piccolo, ma ricco di sorprese.

La gente pensa che se siete così “fuori dal comune” come band, allora dovete essere altrettanto eccentrici come persone. Lo siete? Votate, siete patiti di calcio...?

Non posso parlare per gli altri. Io sono timido, e posso appassionarmi molto al calcio. Una volta ho avuto quasi un infarto per una partita! Salire sul palcoscenico è tutta un’altra cosa. Devi sentirti speciale per riuscire a trasmettere qualcosa a tutta quella gente che è venuta a vederti... e io mi sento così quando suono sul palco... è una sensazione incomparabile!
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