A venti anni dalla caduta del regime comunista in Romania, il premio Nobel per la letteratura è stato assegnato a Herta Müller, 56 anni, nata nel 1953 a Niţchidorf in una famiglia di svevi nel Banato romeno. Il padre della scrittrice ha combattuto nell'esercito tedesco Waffen-SS durante la Seconda guerra mondiale, la madre, come molti altri romeni di origine tedesca, è stata deportata nel 1945 nell'Unione Sovietica e condannata ai lavori forzati per cinque anni in Ucraina. La stessa Herta Müller è stata perseguitata dalla polizia segreta di Ceauşescu, la Securitate.
Dopo tre nomine negli anni scorsi, quest’anno il grande riconoscimento è andato alla Müller “per aver descritto l’universo dei diseredati, con la densità della poesia e la nitidezza della prosa”, secondo la motivazione dell'Accademia svedese.
La scrittrice, che aveva già vinto decine di premi, vive da 22 anni a Berlino dove è stata costretta a trasferirsi (insieme al marito Richard Wagner, anch'egli scrittore) in seguito alle interminabili persecuzioni subite dalla Securitate, la temuta polizia politica del regime comunista di Ceauşescu, i cui metodi sono stati tra i più duri dell'Europa dell'Est.
In Romania, negli anni '70 aderisce al gruppo di scrittori e poeti “Aktionssgruppe Banat”, che critica il regime di Ceauşescu. In seguito la Müller verrà sempre tenuta d'occhio, pedinata e fatta oggetto di informative di numerosi collaboratori della Securitate, tra cui la sua miglior amica, nome in codice “Cristina”.
Nonostante la laurea conseguita all'Università di Timişoara in Letteratura tedesca e romena, Herta Müller, come molti altri intellettuali romeni, non trova lavoro a causa delle sue idee sul sistema, perché considerata “elemento pericoloso”. Dopo diversi tentativi, riesce a trovare un posto di traduttrice in una fabbrica di macchinari (1977-1979), ma viene licenziata quando si rifiuta di diventare informatrice della polizia segreta.
Da allora si susseguono le persecuzioni nei suoi confronti, dai traumatici interrogatori fino alle visite degli agenti in casa. In caso di sua assenza durante le perquisizioni, la Securitate lascia quasi sempre un segno del suo passaggio, nel tentativo di terrorizzare psicologicamente la scrittrice.
“Spesso lasciavano in modo intenzionale mozziconi di sigarette, quadri tolti dai muri e appoggiati sul letto, sedie spostate. L'episodio più terribile è durato qualche settimana. Da una pelliccia di volpe stesa per terra gli agenti tagliavano ogni settimana alcune parti: all'inizio la coda, poi le gambe e alla fine anche la testa, pezzi messi accanto alla pancia della volpe”, ricorda la Müller.
Subito dopo l'annuncio di Stoccolma la stampa romena, come quella di tutto il mondo, l'ha messa in prima pagina. Ancora poco conosciuta al grande pubblico, la luce del Nobel ha improvvisamente attirato sulla Müller un'attenzione planetaria.
I romeni (almeno sui forum dei giornali on-line) si sono dichiari subito molto fieri di lei. In genere la stampa romena l'ha presentata come una scrittrice di origine romena, e sono stati casi isolati quelli di quotidiani che hanno “osato” definirla una scrittrice romena.
In realtà Herta Müller, nata nella minoranza tedesca del Banato romeno, ha spiegato in diverse occasioni che in Romania è sempre stata considerata una tedesca, mentre in Germania era considerata una romena. Anche le sue due lingue, tedesco e romeno, le considera “lingue prestate”.
Qualche giorno fa, invitata d'onore alla 61esima edizione della fiera del Libro di Francoforte, Herta Müller ha raccontato: “Ho imparato il romeno a 15 anni, quando sono arrivata in città, al liceo. Avevo già l'età in cui leggevo libri, avevo già lo sguardo indirizzato verso le parole. Ho scoperto quanto sono meravigliose le immagini poetiche nella lingua romena, che immagini sensuali crea. Dopo aver imparato il romeno, il significato delle cose ha avuto sempre due colori. E visto che questi coesistono, il romeno scrive sempre con me”, ha raccontato la Müller.
Se si esclude il libro “Este sau nu Ion”, la Müller ha scritto solo in tedesco. La stessa scrittrice ha confessato però che trova più vicine al suo modo di essere alcune parole romene rispetto a quelle della sua lingua madre, un dialetto del tedesco.
Il tema del comunismo e dell'oppressione dell'individuo rappresentano il
leit motiv dei libri di Herta Müller. Del resto, la scrittrice ha voluto precisare nella sua prima conferenza stampa come vincitrice del Nobel che “in Romania c'è gente che non mi vuole molto bene .”
Una delle cause, secondo la scrittrice, è il fatto di dire cose scomode, che danno fastidio, ma che “devono essere dette”. Come ad esempio che “il 40% di quelli che si trovano oggi al potere provengono dalla vecchia Securitate e si proteggono uno con l'altro.” Oppure che la corruzione è dappertutto e questo accade perché “l' ex nomenclatura e parti dell'apparato del regime di allora si sono divise il paese”.
Emigrata in Germania dal 1987, Herta ha continuato a ritornare in Romania dopo la caduta del regime di Ceauşescu per presentare i suoi libri o per partecipare ad incontri letterari. E ogni volta non ha esitato a puntare il dito sui difetti della democrazia romena, sul fatto che ex agenti della Securitate occupano posti nella pubblica amministrazione, fanno affari, mentre le loro vittime non riescono nemmeno a vedere i propri dossier.
La Müller è entrata in conflitto anche con il direttore dell'Istituto Romeno di Cultura, Horia Roman Patapievici: nel luglio dell'anno scorso ha pubblicato una lettera aperta sul Frankfurter Rundschau in cui ha espresso la sua profonda indignazione sul fatto che due ex collaboratori della polizia politica di Ceauşescu, Andrei Corbea-Hoise e Sorin Antohi, erano stati invitati alla scuola estiva dell'istituto a Berlino.
Non è difficile capire quindi perché i rappresentanti dello stesso istituto Culturale Romeno a Berlino, che hanno voluto subito congratularsi con la Müller per il Nobel, siano rimasti con il loro mazzo di fiori in mano.
Mentre il cancelliere tedesco Angela Merkel trasmetteva i suoi complimenti alla scrittrice, da Bucarest arrivavano congratulazioni da parte del ministero degli Esteri romeno, insieme ai complimenti fatti da intellettuali romeni capaci di lasciare l'orgoglio alle spalle. Il filosofo e scrittore Andrei Pleşu, rettore della New Europe College ha confessato: “per me Herta Müller e la sua scrittura sono una combinazione rara di meraviglia e rigorosità. L'ammiro per il modo in cui è sempre sopra le convenzioni e i modelli e quasi inventerei per lei il premio Nobel per la qualità umana. Tramite lei una parte nera della storia della Romania è entrata nel circuito della storia europea”.
Per l'attore Ion Caramitru, direttore del Teatro Nazionale di Bucarest, “questo premio è un riconoscimento internazionale dell'oppressione avuta in Romania e nell'Europa dell'Est.”
Durante la Fiera del libro di Francoforte Herta Müller ha detto che quando “la vita di una persona è più corta che quella di una dittatura, questa vita è rubata dallo Stato”, aggiungendo poi una nota di solidarietà con gli scrittori cinesi.
“Le dittature operano con una visione ideologizzata dell'uomo, mai vera. L'uomo sovietico, ad esempio, non è stato reale o vero. Sono stata fortunata a sopravvivere alla dittatura, ma ho amici che non sono stati così fortunati e questo provoca ancora dolore.”
Ora i romeni, come molti altri lettori di tutto il mondo, potranno conoscere meglio le opere di Herta Müller, mentre nel suo villaggio natale il direttore della scuola spera che una proposta fatta anni fa, cioè quella di dare il nome della scrittrice alla scuola, verrà accettata dalla novella vincitrice del Nobel. Anche se la Müller ha sempre dichiarato di voler essere ricordata solo per le sue opere.