Diventare la “Svizzera dei Balcani”. Una metafora perfetta, usata e spesso abusata dai politici della regione per promettere benessere e buona amministrazione, il tutto condito da solida tolleranza etnica. I tempi però cambiano e la politica, così come le metafore, si adattano alle nuove circostanze.
Forse ispirato dal controverso
referendum sui minareti, tenuto di recente in Svizzera, il premier bulgaro Boyko Borisov ha annunciato lo scorso 17 dicembre che intende chiamare il popolo alle urne, per decidere se oscurare o meno dalla tv nazionale il breve telegiornale in lingua turca, in onda ogni giorno a metà pomeriggio.
In una conferenza stampa tenuta col promotore dell'iniziativa, il leader del movimento nazionalista Ataka, Volen Siderov, negli ultimi mesi l'alleato più affidabile di Borisov e del suo partito (GERB), il premier ha affermato di sostenere il referendum sul tg in turco, “perché solo attraverso questo strumento possiamo essere assolutamente certi della volontà del popolo bulgaro [sulla questione]”.
Siderov, che promuove da tempo l'idea di cancellare questo spazio informativo, è stato più esplicito: “La tv pubblica viene pagata con i fondi dello stato. Sul canale pubblico non devono esserci notizie in altra lingua se non in quella bulgara”.
Lo stesso leader di Ataka ha poi annunciato che le 48 firme necessarie a presentare la domanda di referendum, (un quinto dei deputati in parlamento) sono già state raccolte: 21 provengono dal gruppo nazionalista, le altre sono state assicurate (presumibilmente) dai rappresentanti di GERB.
La decisione di creare un tg in lingua turca (la minoranza turca è la più grande in Bulgaria, e conta circa il 10% della popolazione) venne presa nel 2000, ai tempi del governo di destra di Ivan Kostov. Da allora non ha mai smesso di provocare dibattiti anche infuocati nell'opinione pubblica e tra le forze politiche in Bulgaria.
Il notiziario della discordia dura appena dieci minuti, viene trasmesso in una delle fasce orarie meno appetibili e ha un
audience molto basso, appena 50-60mila spettatori al giorno. Una cifra irrisoria rispetto alle centinaia di migliaia di persone incollate ogni giorno a “Perla”, “Le strade del destino”, “Matrimonio con uno straniero” e alle altre
soap-opera prodotte ad Istanbul, che da mesi furoreggiano (in versione doppiata) sugli schermi bulgari, senza disturbare i sonni dei patrioti dell'etere.
Il tg sulla rete pubblica, che passa quasi inosservato alla maggioranza dei telespettatori, ha però un significato simbolico molto più vasto, e proprio per questo ha sollevato negli anni varie ondate di proteste da parte dei movimenti nazionalisti, poi regolarmente rientrate.
Negli ultimi mesi i toni della polemica sono tornati a farsi acuti. Tra novembre e dicembre l'eccentrico Rosen Markov, leader del piccolo Partito degli Uomini Bulgari, è arrivato prima a darsi fuoco e poi a minacciare un clamoroso
harakiri di protesta contro il contestato notiziario.
L'inaspettata decisione del premier Borisov di appoggiare i nazionalisti di “Ataka” nella loro richiesta referendaria solleva ora molte domande. La prima e più importante è sull'opportunità di aprire la nuova stagione della democrazia diretta in Bulgaria su un tema così delicato.
A differenza della Svizzera, dove il suo utilizzo ha una lunga tradizione, nella storia bulgara il referendum è stato tenuto soltanto due volte: la prima nel 1946, quando la repubblica popolare sostituì la monarchia, la seconda nel 1971 quando gli elettori confermarono (senza grosse sorprese) la decisione di garantire al Partito Comunista Bulgaro “il ruolo guida nello Stato e nella società”.
Nel maggio di quest'anno il parlamento di Sofia ha votato una nuova legge sull'istituto referendario, con l'idea di semplificarlo e incoraggiarne l'uso. In pochi però avrebbero pronosticato che il primo referendum avrebbe avuto per oggetto il telegiornale in lingua turca.
“Tenere una consultazione di questo tipo è un atto privo di logica”, ha dichiarato l'esperto in comunicazione Georgi Lozanov. “Non è normale che sia la maggioranza a essere consultata sui diritti delle minoranze”.
Il risultato della consultazione sembrerebbe scontato. Il notiziario in turco non ha mai raccolto troppi sostenitori nella maggioranza bulgara, e il malcontento generalizzato verso il DPS (Movimento per le Libertà e i Diritti), il partito che rappresenta in modo ufficioso la minoranza turca, e verso il suo leader Ahmed Dogan, accusato di essere uno dei motori della corruzione nel paese, si trasforma spesso in un atteggiamento negativo verso i turchi
tout-court.
Pur non essendo uno strumento scientifico di misurazione degli umori della collettività, il social-network Facebook può dare qualche idea del rapporto di forze: i gruppi subito creati “contro” e “a favore” del tg in turco hanno raccolto in poche ore rispettivamente 1734 e 67 adesioni.
All'atto pratico, però, anche il supporto di una forte maggioranza a favore dell'oscuramento potrebbe rivelarsi inutile. Perché un referendum sia valido, infatti, devono recarsi alle urne almeno tanti elettori quanti hanno partecipato alle ultime elezioni politiche che lo hanno preceduto. Il boicottaggio di massa da parte di uno qualsiasi dei principali partiti, (DPS compreso) rende quindi quasi impossibile superare questa soglia.
Qual è allora l'obiettivo politico di Borisov nel proporre il tema, forse sentito, ma certo non all'ordine del giorno in una situazione economica ancora delicata? Secondo il quotidiano di Sofia "Sega", l'idea del premier è proprio quella di distrarre l'opinione pubblica dalle difficoltà della crisi, con l'inverno alle porte e le casse dello stato vuote.
Tra l'altro, l'organizzazione del referendum avrebbe un costo di circa 18 milioni di leva (9 milioni di euro) che andrebbero racimolati dal budget del 2010, che il ministro delle Finanze Simeon Dyankov ha definito di recente in parlamento “una pizza piccola e senza condimento”.
A livello regionale ed europeo si alzano già le prime voci di protesta: Borisov ha dovuto rassicurare telefonicamente il premier turco Recep Erdoğan, mentre il gruppo europarlamentare dei liberali ha annunciato di voler introdurre il tema nell'ordine del giorno di Strasburgo il prossimo gennaio.
L'invito del premier “a non politicizzare un tema tanto delicato”, sembra piuttosto bizzarro, visto che la strada del referendum porta inevitabilmente allo scontro politico.
A beneficiare di un clima più teso, sarebbero senza dubbio sia il DPS che Ataka. Il DPS, in difficoltà dopo l'esclusione dall'esecutivo e per le accuse di corruzione di molti dei suoi esponenti di spicco, troverebbe un tema, quello dei diritti della minoranza turca, su cui ricompattare comodamente il proprio elettorato, anche e soprattutto in caso di oscuramento del tg.
Ataka potrebbe specularmente presentare ai propri elettori una vittoria nella lotta “contro il giogo ottomano che continua a sottomettere la Bulgaria”, e mostrare che la decisione di appoggiare l'attuale governo paga dal punto di vista dei dividendi politici.
Proprio in questo contesto, l'iniziativa referendaria sul tg in turco rende evidente una questione di importanza centrale per il futuro dell'esecutivo Borisov. L'appoggio all'iniziativa di Siderov è la controparte dell'appoggio incondizionato che Ataka fornisce oggi al governo di minoranza di GERB? E in questo caso, qual è oggi il reale potere dei nazionalisti di Siderov di dettare l'ordine del giorno nella politica bulgara?