Nuda veritas - Gustav Klimt 1899
Il funzionamento della Procura di Belgrado per i crimini di guerra, la percezione dell’opinione pubblica e l’iniziativa di un gruppo di Ong per istituire una commissione regionale per la verità. Ce ne parla Bogdan Ivanišević, consulente dell’International Center for Transitional Justice
Ha suscitato scandalo, un paio di settimane fa la presentazione di una
ricerca promossa da OSCE, Centro per i diritti Umani di Belgrado e condotta da Ipsos. In un sondaggio infatti si rileva che il 64% dei serbi si oppone all’arresto di Mladić, e solo il 25% pensa che dovrebbe essere catturato e portato all’Aja. Stesse percentuali per la presunta colpevolezza del generale serbo-bosniaco, il 56% pensa che non sia colpevole e il 22 che lo sia.
La percezione è negativa anche per quanto riguarda la giustizia per i crimini di guerra: il 72% ha una opinione negativa del Tribunale dell’Aja e il 71% non crede che contribuisca alla riconciliazione nella regione. Un po’ più alta, ma non troppo, la fiducia nella locale procura per i crimini di guerra istituita a Belgrado nel 2003. Il 66% degli intervistati crede che la magistratura serba ha la capacità di trattare i crimini di guerra, ma solo il 33% crede che la procura abbia il coraggio di aprire tutti i casi.
Anche da questo tipo di contesto nasce l’iniziativa REKOM, una commissione regionale per la verità promossa da una coalizione di ong dell’area balcanica che ha lo scopo di far parlare le vittime di tutti i paesi e ricostruire finalmente una storia completa e comune. La coalizione utilizza l’assistenza di esperti dell’International Center for Transitional Justice (ICTJ), centro che si occupa di giustizia e diritti umani in tutto il mondo. Osservatorio Balcani e Caucaso ha intervistato Bogdan Ivanišević, consulente di ICTJ che ha redatto nel 2008 il report dei primi 5 anni (2003-2008) del lavoro della belgradese Procura per i crimini di guerra.
Come funziona la giustizia per i crimini di guerra a Belgrado?
Ci sono chiari e scuri riguardo la Procura e la sezione per i crimini di guerra del tribunale di Belgrado. Se si guardano i numeri è un po’ deludente ci sono solo 6 sentenze finali in 6 anni di lavoro. È anche vero che il personale è ridotto al minimo, ci sono 7 vice-procuratori oltre al procuratore capo, Vladimir Vukčević, a fronte di un lavoro immenso. Sono centinaia se non migliaia i sospetti criminali di guerra residenti in Serbia.
Un altro problema è che la procura ha poca iniziativa, molto spesso i casi sono imbastiti da altri e consegnati alla procura di Belgrado. Un esempio è il caso degli Scorpioni, in cui il ruolo attivo di ricerca di prove e testimoni è stato svolto dal Centro per il diritto umanitario e da Nataša Kandić.
Gli unici casi in cui l’ufficio della procura è particolarmente attivo sono quelli che vedono come imputati o sospettati i non-serbi, quando sarebbe meglio che ci si concentrasse sui “propri” criminali.
Mi rendo conto che la procura agisce in un certo senso per rassicurare l’opinione pubblica serba, ma non è un modo professionale di procedere. Senza contare che l’opinione pubblica serba non è proprio un osservatore neutrale, come si vede dall’indagine recentemente pubblicata sull’arresto di Mladić.
Cosa pensa dell’apertura del filone di indagine sui giornalisti?
Penso che sia molto difficile riuscire ad aprire un buon processo su questo argomento. Se c’erano giornalisti che facevano una propaganda di tipo nazionalista, dubito che qualcuno abbia mai detto “andate e uccidete” i musulmani piuttosto che gli albanesi. C’era soprattutto incitamento all'odio dell’altro, ma non si tratta di un crimine di guerra. Anche in questo caso pare più un modo per attirare l’attenzione pubblica per far vedere come siamo progressisti, come dire: “vedete? Neanche l’Aja è arrivata a tanto!”.
Non mi fraintenda, i procuratori conoscono il loro mestiere, il problema è la mancanza di iniziativa che non è neanche del tutto imputabile a loro visto che è la politica a decidere il budget della procura. Diciamo che il governo è soddisfatto con una sentenza definitiva all’anno.
Alcuni giudici sono un po’ discutibili, perché hanno un debole background in campo penale e sui crimini di guerra e alcune sentenze lasciano spazio a dubbi. Ad esempio la recente sentenza che ha condannato Ilija Jurišić a 12 anni per il processo della “Colonna di Tuzla”, [Jurišić, ex comandante della polizia bosniaca, è accusato di aver ordinato l’attacco di una colonna dell’esercito Jugoslavo, JNA, mentre stava uscendo da Tuzla, il 15 maggio 1992, nonostante ci fosse stato un accordo per la pacifica fuoriuscita dalla JNA dalla città ndr.].
Nel corso del processo un esperto ha analizzato il video dell’attacco alla colonna e ha dichiarato che la differenza di tempo fra chi ha sparato per primo (i bosniaci) e chi ha risposto (la JNA) è meno di un secondo, 0,60 secondi, questo non sembra essere un tempo di reazione ma piuttosto un tempo simultaneo. Insomma, è più probabile che abbiano iniziato a spararsi reciprocamente. Nella sentenza viene menzionata questa testimonianza, ma è subito liquidata come se fosse irrilevante, mentre è assolutamente decisiva. Questa sentenza fa pensare che la Corte aveva già deciso la sentenza in anticipo ed il motivo è che l’attacco alla colonna di Tuzla è uno dei crimini contro i serbi di cui si parla da 17 anni, ormai nella memoria collettiva nazionale. Sarebbe stato molto difficile far affermare il contrario ad una corte serba.
Il tribunale, però, non dovrebbe seguire queste considerazioni, deve condannare solo quando è al di là di ogni ragionevole dubbio e questo non sembra il caso. Con ciò non dico che il crimine non sia stato commesso, se la colonna della JNA è stata effettivamente attaccata mentre usciva da Tuzla dopo un accordo preso in precedenza, si configura come crimine di guerra, ma è necessario essere al di là del ragionevole dubbio.
Come potrebbe cambiare le cose il progetto della commissione REKOM?
Se la commissione nasce, arriverà dove i tribunali non possono arrivare e contribuirà a fornire una fotografia completa del conflitto in ex Jugoslavia. La sua efficacia dovrebbe derivare dal carattere governativo e multilaterale. Saranno i governi stessi a mantenerla e promuoverla in accordo tra loro, questo diminuirà la possibile demonizzazione. Nessuno potrà dire è anti-serba, anti- albanese etc...
La novità dovrebbe essere appunto la testimonianza delle vittime: non verranno più ascoltate solo dalla loro comunità, ma anche dalle altre. Inoltre saranno più forti delle testimonianze fatte ai processi perché non avranno contraddittorio, che ovviamente in tribunale è più che legittimo ma mette in questione sempre la verità della vittima indebolendo la sua storia.
Per arrivare alla nascita di REKOM ci vuole una forte richiesta dal basso. Per questo una coalizione di ong sta portando avanti in tutta la ex Jugoslavia incontri e consultazioni per allargare la presa di coscienza da parte della società civile. Lo scopo della coalizione è quello di raccogliere un milione di firme tra il 2010 e l’inizio del 2011 da presentare ai rispettivi governi.