Al bando il partito kurdo
21.12.2009
scrive Fazıla Mat
Jay-chilli/flickr
La Corte costituzionale turca mette al bando il DTP, partito filo kurdo. Sale la tensione nel paese e aumentano gli scontri. La posizione di Öcalan e le divisioni interne alla politica kurda nella cronaca della nostra corrispondente
Il percorso di pace avviato in Turchia negli scorsi mesi in merito alla questione kurda ha subito un duro colpo per la decisione della Corte costituzionale che lo scorso 11 dicembre ha decretato la messa al bando del filo-kurdo Partito della società democratica (DTP), perché ritenuto “un centro di raccordo dove vengono commessi atti contrari all’unità inscindibile dello Stato con il suo paese e la sua nazione”.
Nella valutazione avrebbero pesato “le azioni e i legami del partito con l’organizzazione terroristica” [PKK, Partito dei lavoratori del Kurdistan, ndr]. Con questa la sentenza, trentasette membri del DTP tra cui i due parlamentari Aysel Tuğluk e Ahmet Türk – co-leader della formazione – sono stati estromessi dalla politica per i prossimi cinque anni. La stessa sanzione è stata assegnata anche alla ex deputata del DEP (Partito della democrazia) Leyla Zana, rea di essere stata iscritta al partito per una settimana.
In Turchia è quasi una “prassi normale” veder chiudere i partiti, anche se sostenuti da un elettorato di oltre due milioni di persone come nel caso del DTP. I giudici della Corte hanno affermato di aver seguito unicamente il dettame della legge (la legge sui partiti politici e gli articoli 68 e 69 della Costituzione, redatta nel 1982 da un governo marziale). Ma anche se la decisione non avesse un movente politico, come sostiene il DTP, resta sintomatico il fatto che tra undici giudici non ce ne sia stato uno solo contrario alla decisione, o che nella commissione non ci sia nemmeno un membro di origine kurda.
È la quinta volta in vent’anni che un partito fondato sull’identità etnica kurda viene chiuso su ordine del Tribunale. Il percorso politico kurdo “legale” iniziato nel 1990 con il Partito del lavoro del popolo (HEP) e troncato con una decisione della Corte costituzionale nel 1993, è stato replicato altre tre volte con le formazioni che hanno raccolto l’eredità dello HEP: il Partito della libertà e della democrazia (ÖZDEP), il partito della Democrazia (DEP), il Partito della democrazia del popolo (HADEP) tutte estromesse dalla politica nel giro di pochi anni con la stessa motivazione avanzata per il caso del DTP.
“La Turchia si è trasformata in un cimitero di partiti”, ha affermato il premier Erdoğan, sostenendo l’erroneità della pratica di chiusura delle formazioni politiche. Ma nonostante il suo stesso partito (AKP - Partito della giustizia e dello sviluppo) abbia rischiato di subire la stessa sorte nell’agosto dell’anno scorso, fino ad ora il governo non ha apportato alcuna modifica alle leggi che regolano i criteri per i quali un partito può essere chiuso.
La decisione della Corte Costituzionale si è inserita in una serie di episodi che nelle ultime settimane hanno rincarato la tensione nel paese, a scapito di ogni incerto tentativo di rappacificazione con i kurdi avanzato dal governo.
Alle manifestazioni iniziate a fine novembre nel sudest e in alcune province orientali del paese per protestare contro le condizioni carcerarie del leader del PKK Öcalan, e sfociate in centinaia di arresti, l’8 dicembre ha fatto seguito un’imboscata a Tokat, nell’Anatolia centrale, dove hanno perso la vita 8 soldati.
L’ulteriore sconcerto è arrivato con la rivendicazione dell’attentato da parte del PKK, proprio un giorno prima che la Corte costituzionale annunciasse il proprio verdetto. A questo punto le manifestazioni hanno subito un’impennata e centinaia di manifestanti si sono riversati sulle strade per protestare per la chiusura del DTP. A Istanbul sono avvenuti scontri tra i simpatizzanti del partito e altri gruppi d’opposizione, alcuni armati di seghe e armi da fuoco, che la polizia ha domato a fatica.
Martedì scorso a Muş, sempre nel sudest del paese, durante una manifestazione a favore del DTP, oltre un centinaio di partecipanti ha iniziato a lanciare sassi su veicoli e botteghe. Un negoziante, membro del contingente statale dei guardiani volontari, ha aperto il fuoco sulla folla con un kalashnikov uccidendo due persone e ferendone altre otto. La folla ha poi dato fuoco alla sede dell’AKP, ad alcune banche ed automobili e gli scontri con la polizia sono durati fino a tarda ora.
Secondo diversi analisti, gli avvenimenti di queste ultime settimane hanno contribuito a acutizzare la divergenza che da un po’ di tempo a questa parte interesserebbe alcuni (ex) membri del DTP. I due deputati banditi dalla politica per cinque anni, Tuğluk e Türk, sono ritenuti tra i componenti "colombe" del partito, che pur ribadendo il ruolo di riferimento del PKK e di Öcalan hanno condannato, per esempio, l’attentato di Tokat. Le personalità più radicali, i “falchi”, come vengono definiti dalla stampa, farebbero invece capo alla co-leader del partito Emine Ayna, che ha esibito in diverse occasioni un linguaggio minaccioso e aggressivo. Questa possibile divergenza però, come viene sottolineato da Oral Çalışlar sul quotidiano Radikal, rischia di essere trasformato dagli opinionisti nel cliché dei kurdi buoni contro quelli cattivi.
“Vedremo nei prossimi giorni se ci sarà una separazione all’interno dei kurdi. Si tratta di un loro problema. O dobbiamo decidere ancora una volta noi turchi per loro? (…) Bisogna soprattutto capire che i punti convergenti delle due correnti interne al DTP sono di gran lunga maggiori rispetto alle divergenze. Se il movimento politico kurdo potesse disporre di possibilità democratiche potrebbe esprimere meglio anche le proprie divergenze interne. Quello di cui abbiamo bisogno noi invece è di capire le differenze presenti al loro interno e di sviluppare la politica anche in considerazione di queste differenze, anziché dividere i kurdi in scompartimenti di ‘buoni’ e ‘cattivi’”.
D’altra parte, secondo quanto riporta il quotidiano Taraf, lo stesso Öcalan, parlando ai suoi legali lo scorso 16 dicembre, avrebbe criticato l’atteggiamento tenuto da Emine Ayna evidenziando che anche all’interno del PKK esistono “migliaia di diramazioni e unità”. Öcalan avrebbe preso nettamente le distanze dall’attentato di Tokat dichiarando “di non sapere né come fosse accaduto e nemmeno chi e con che scopo l’avesse fatto”, facendo riferimento alle infiltrazioni dell’organizzazione sovversiva Ergenekon all’interno del proprio partito: “Io avevo già detto nel 1999 che volevo dare le dimissioni dal PKK, ed ero arrivato sul punto di farlo. Avevo detto che quello non era il PKK che volevo creare io, perché il PKK non stava andando propriamente nella direzione che volevamo noi”.
Le affermazioni di Öcalan hanno avuto un effetto determinante anche nella scelta degli ex deputati del DTP, diventati ora indipendenti, di non presentare le proprie dimissioni all’Assemblea Nazionale. All’inizio, dopo la decisione di chiusura, i dirigenti del partito avevano annunciato che i deputati avrebbero presentato le dimissioni, poiché “il parlamento non era riuscito a metabolizzare” la presenza del DTP.
“Io la penso diversamente”, avrebbe invece affermato Öcalan, “la soluzione sta nella lotta democratica. Secondo me non si è ancora arrivati al punto di dare le dimissioni. Si può tornare in parlamento e sviluppare una politica democratica”.
E alla fine le dimissioni non sono state presentate. Il partito ha motivato la decisione dichiarando di aver tenuto in considerazione la volontà dell’elettorato, il sostegno dato a riguardo dalle organizzazioni della società civile kurde, dagli ambienti accademici, da alcuni scrittori e politici, nonché le dichiarazioni di Öcalan. Anche il governo, dal canto suo, si è mobilitato affinché non venissero date le dimissioni, ed ha affermato che il processo di dialogo avviato non verrà intaccato dalla chiusura del DTP.
Ora che i membri del DTP sono confluiti nel nuovo partito kurdo BDP (Barış ve demokrasi partisi – Partito della pace e della democrazia fondato nel 2008 in considerazione dell’eventuale chiusura del DTP), per i suoi 19 deputati si tratta di ricompattare il proprio gruppo in parlamento. Questo avverrà probabilmente con l’appoggio offerto dall’indipendente Ufuk Uras, senza il quale i venti seggi minimi necessari a questo fine non sarebbero raggiunti. Sembra che, nonostante tutto, ci sia ancora speranza per la pace e la democrazia.