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La Serbia bussa alle porte dell’Unione europea, presentando la domanda di ingresso. È una data storica per Belgrado ma dentro l’Unione non tutti sono favorevoli, restano gli ostacoli del Kosovo e del Tribunale penale internazionale dell’Aja
Toc toc. Il presidente serbo Boris Tadić bussa a Stoccolma per consegnare al presidente di turno Ue, il premier svedese Fredrik Reinfeldt, la domanda di ingresso all’Unione europea. Un “passo storico”, ha dichiarato il padrone di casa, che conclude un mese in cui Belgrado ha ottenuto lo
sblocco dell’Accordo di stabilizzazione e associazione (Asa) con Bruxelles e l’
abolizione dei visti per l’area Schengen. Quanto basta per dimenticare un anno di profonda crisi economica, e per riaccendere le speranze per il processo di integrazione Ue di tutti i Balcani occidentali, visto che la Serbia è percepita come la locomotiva della regione. Ma è ancora presto per parlare di una svolta: a ostacolare il cammino europeo di Belgrado ci sono ancora i nodi sul Kosovo e la continua latitanza di Ratko Mladić.
“L’adesione serba è importante non solo per la Serbia, ma per l’intera regione. È un’aggiunta importante per la famiglia europea”, ha affermato Reinfeldt martedì 22 dicembre, dopo aver ricevuto il presidente serbo.“E’ una giornata storica per il mio Paese”, ha commentato Tadić, ricordando che la “giornata storica” arriva a dieci anni dalla fine della guerra sul Kosovo. “La Serbia – ha chiosato il commissario Ue all’Allargamento, Olli Rehn – è un Paese chiave nei Balcani occidentali, e ora possiamo constatare che l’intera regione si sta avvicinando all’Ue. Questo è importante dal punto di vista della pacificazione e per il futuro dell’Europa”.
I segnali dalle altre capitali europee, tuttavia, sono contrastanti. Lunedì, ricevendo a Roma i primi 50 cittadini serbi che hanno goduto dell’abolizione dei visti, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha sottolineato che l’Italia “è stato l’avvocato più convinto della causa serba per l’ingresso in Europa” e ha auspicato che Belgrado “entri al più presto” perché “questo è il momento giusto”. Mentre il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, pur concordando sul fatto che la Serbia “merita un posto nell’Unione europea”, ha ricordato che la cooperazione con il Tribunale penale internazionale dell’Aja (Tpi) resta “indispensabile per consentire nuovi progressi”. E il suo collega olandese Maxime Verhagen – l’uomo che per un anno e mezzo ha imposto il congelamento degli accordi Ue-Serbia – ha dichiarato la settimana scorsa che “la presentazione della domanda non accelererà il processo di adesione”.
L’arresto degli ultimi due ricercati dal Tribunale dell’Aja – oltre a Mladić è ancora alla macchia l’ex leader serbo-croato Goran Hadžić – resta lo scoglio da superare. All’inizio di dicembre il procuratore capo del Tpi, Serge Brammertz, ha certificato che le autorità di Belgrado si stanno impegnando al massimo. Un attestato di buona volontà che ha convinto Verhagen a dare il via libera all’applicazione provvisoria degli accordi Ue-Serbia, ma non ad avviare la ratifica formale dell’Asa. Senza la quale – avvertono gli olandesi, con il sostegno cruciale della Germania – la domanda di adesione di Belgrado non verrà nemmeno presa in considerazione.
L’altro ostacolo riguarda il Kosovo. Pristina ha dichiarato la propria
indipendenza il 17 febbraio 2008, e a oggi è stata riconosciuta da 22 Paesi Ue su 27, mentre Belgrado continua a considerarla parte integrante del suo territorio. E’ possibile ammettere nell’Ue un Paese senza confini ben definiti? Per Cipro è stata fatta un’eccezione, ma è improbabile che gli Stati membri Ue vogliano ripetere l’esperienza. La
Serbia spera che la Corte internazionale di giustizia, che si dovrebbe pronunciare sulla legittimità della secessione kosovara nel corso del 2010, le dia ragione, riaprendo il tavolo dei negoziati. Ma la sentenza non sarà vincolante, ed è difficile immaginare che Paesi come Francia, Germania e Gran Bretagna si rimangino il sostegno espresso finora ai kosovari.
Nell’immediato, la Serbia potrà contare almeno sulla Spagna, l’unico Paese occidentale medio-grande che non ha riconosciuto il Kosovo. Nel corso dei prossimi sei mesi, quando reggerà la presidenza di turno Ue, Madrid organizzerà un summit sul rilancio dell’integrazione europea dei Balcani, e a giugno sarà chiamata a fare il punto sulla possibile ratifica degli accordi Ue-Serbia, secondo il calendario stabilito dai Ventisette lo scorso 8 dicembre. A lungo termine, Tadić conta di centrare il traguardo Ue entro il 2014, cent’anni dopo l’attentato di Sarajevo che diede inizio alla Prima guerra mondiale e alla disgregazione dei Balcani. Rehn lo ha invitato a più miti consigli: per lui l’adesione serba si realizzerà “nel corso della prossima decade”.