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Un lettore di Osservatorio Balcani e Caucaso, appassionato di Balcani. Il suo viaggio estivo tra Spalato, Mostar, Sarajevo e Belgrado. Un diario di viaggio
Di Gennaro Imbriano
Il viaggio
Partito.
Nottata in treno, poi Ancona. La stazione, e il porto, non mi regalano ancora alcuna emozione.
Ma adesso sono in mare aperto. Mi guardo intorno e non c’è niente, solo un immenso blu aperto, sereno, infinito, che scolorisce lentamente nell’azzurro del cielo, dominato da una palla rossa infuocata.
Il mare aperto, strana sensazione di libertà. Ma è una libertà inutile, faticosa, che tenta di correre più veloce del dolore che si lascia dietro. Una macchina potente, che pulsa motore, che mangia il mare, rapida, snella, sa dove andare, traccia una direzione precisa, convinta, priva di incertezze.
Lascia dietro di sé una scia bianca, lunghissima, e mano a mano che procede ogni punto del suo percorso, ch’era apparso solo un attimo prima un fuoco d’eternità vivente, insuperabile, si trasforma in dimenticato approdo già lasciato, sostituito, invisibile, solo traccia e segno che non tornerà più.
È la prima volta che mi trovo in mare aperto. In verità no, c’ero già stato, ma la notte regala sensazioni differenti. Il mare chiaro e illuminato dal sole alto e forte in ogni suo punto svela ogni mistero, recide ogni indefinito, traccia bagliori inequivocabili, sinceri, netti. Tutto quello che si lascia dietro piange, freme, spinge e sbuffa contro le pareti della nave.
Un canto sordo, inutile, e che resterà non più ascoltato.
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