I 300
05.02.2010
scrive Gilda Lyghounis
(foto: mike138/flickr)
Sono pronti a tutto come i 300 Spartiati guidati da re Leonida che fermarono i persiani alle Termopili. Ma non sono guerrieri, sono gli agricoltori greci che coi loro trattori stanno mettendo in ginocchio il Paese. Per far fronte alla grave crisi economica chiedono 350 milioni di euro di risarcimenti
Hanno bloccato il passo delle Termopili, come i 300 Spartiati guidati da re Leonida per fermare gli invasori Persiani nel 480 a.C. Hanno tagliato la Grecia in due, impedendo la circolazione di automobili private e camion sull’autostrada che da Lamia va ad Anfissa, nel cuore nevralgico del Paese. Ma sono molto più di 300 guerrieri pronti a tutto, gli agricoltori ellenici inferociti. Di giorno in giorno aumenta il numero delle superstrade, degli aeroporti e dei posti di confine presidiati dalla loro rivolta cominciata il 15 gennaio e ancora in pieno corso. La loro arma? I trattori che, schierati in formazione di battaglia in lunghissime file, hanno finora bloccato 23 nodi stradali strategici da Creta all’Epiro. Ci sono tutti. Dai produttori del profumato olio della Calcidica ai coltivatori del cotone tessalo. Dai lavoratori del tabacco della Tracia ai proprietari delle serre cretesi che assicurano in febbraio a mezza Europa primizie come pomodori e cetrioli.
Sono scesi sul piede di guerra come già avevano fatto l’anno scorso, quando avevano assediato la capitale Atene. Ma ora la crisi morde feroce e ha dimezzato i prezzi all’ingrosso mentre, a causa della catena di distribuzione, i prezzi al dettaglio nei supermercati sono rimasti invariati. E i guadagni degli agricoltori sono precipitati.
Così gli uomini della terra e delle fattorie sono tornati a far ruggire i loro trattori sulle strade, a costo di rischiare incidenti diplomatici con i Paesi confinanti e sanzioni, “per impedimento alla libera circolazione dei beni e delle persone” (come ha detto recentemente il presidente della Commissione Ue Manuel Barroso), nei confronti di un Paese che già è “tenuto sotto stretto controllo” da parte dell’Unione europea per le sue finanze statali da brivido.
“Non ci sono soldi per nessuno” continua a ripetere ai contadini il ministro dello Sviluppo Agricolo Katerina Bazeli che deve gestire, insieme al resto del governo guidato dal socialista Georghios Papandreu, uno scenario che ha fatto addirittura ipotizzare agli analisti l’uscita della Grecia dall’euroclub: 12,7% il deficit sul Pil mentre il debito del Paese sul Pil marcia dal 99% del 2008 al 135% del 2011, con i titoli di Stato decennali greci a tassi d’interesse che schizzano, per il loro alto rischio, a più di 4 punti sui tassi dei titoli decennali tedeschi.
Ma a Ghiannis Voghiatzis, portavoce degli agricoltori macedoni che giovedì 4 febbraio hanno bloccato l’accesso all’aeroporto di Salonicco dalle strade circostanti, della crisi economica “scatenata dalle banche e dal capitalismo selvaggio” importa poco. Lui innalza sul proprio trattore lo striscione “Basta prese in giro” e snocciola nei suoi comizi le richieste di tutti i colleghi.
Primo: via le tasse dai terreni coltivabili. Secondo: abbassare l’età pensionistica a 60 anni per gli uomini e a 55 per le donne e raddoppiare l’entità degli esigui assegni di anzianità e di
vecchiaia. Terzo: assicurazione totale del raccolto perduto a causa di calamità naturali (vedi gli incendi che hanno sconvolto la Grecia negli ultimi due anni). Quarto: tutelare la produzione nazionale contro le imitazioni straniere. Quinto: abolire le tasse sull’acquisto di nuove macchine e sull’acquisto di carburante, per diminuire i costi di produzione. “Il governo non ha ancora capito la
disperazione di chi lavora la terra. Ci hanno detto che non hanno soldi, eppure il ministro ha ammesso che abbiamo avuto una perdita secca del 40 per cento del nostro reddito”. La loro richiesta? Un risarcimento di 300-350 milioni di euro.
A partecipare alla rivolta dei trattori sono sia i sindacati “azzurri” (conservatori, legati al partito Nuova democrazia che ha perso le ultime elezioni lo scorso ottobre) sia i sindacati di sinistra. “Se abbandonerete i blocchi stradali, perderete tutto” si è schierata dalla loro parte Aleka Papariga, leader del Partito comunista KKE, terza forza politica del Paese con circa il 10 per cento dei voti.
Il governo si trova in un vicolo cieco. Da una parte rischia il commissariamento da parte dell’Unione europea, la quale teme che il crollo dei titoli greci contagi anche quelli di altri Paesi deboli dell’euroclub (Irlanda, Portogallo, Spagna) colpendo la moneta unica. Dall’altra i trattori stanno bloccando la già difficile ripresa dell’economia. Al posto di frontiera fra Grecia e Bulgaria di Promachonas, si è fatto vedere persino il primo ministro bulgaro Boyko Borisov minacciando di ricorrere al Tribunale europeo contro la Grecia a causa della chiusura dei confini, chiusura che impedisce anche ai camionisti di Sofia di portare le loro merci verso il resto del vecchio Continente.
Come andrà a finire, con gli agricoltori che da un lato chiedono 350 milioni di euro, e dall’altra il governo Papandreu costretto ad annunciare a tutti i greci misure da “lacrime e sangue” per rendere credibile il proprio piano di risanamento che vede una riduzione al 3 % del deficit di qui al 2013?
Il governo prevede misure draconiane tra le quali l’innalzamento dell’età pensionistica fino a 67 anni, il congelamento degli stipendi dei dipendenti pubblici (se non il loro taglio del 20%), l’aumento della benzina. Proprio il contrario di quello che chiedono gli agricoltori, abituati, anche questo è vero, da decenni al “foraggio” fornito regolarmente dai fondi di mamma Bruxelles. Ora però l'Unione europea sta chiudendo i rubinetti: gli aiuti comunitari agli agricoltori ellenici saranno fortemente ridimensionati, un po’ a causa della crisi globale, un po’ a causa dell’ampliamento a 27 paesi membri, alcuni dei quali, come i paesi dei Balcani, sono spesso più bisognosi di sostegno della Grecia in questo campo.