Foto tratta da www.mladina.slo
Lo propone il settimanale sloveno Mladina: abolire l'esercito e trasformare i soldati in badanti o addetti alla protezione civile. La petizione ha raccolto immediatamente 5000 firme con annesse polemiche. Un approfondimento del nostro corrispondente
In pochi giorni in Slovenia sono state raccolte più di 5000 firme in calce ad una petizione per l'abolizione dell'esercito. L’iniziativa, lanciata dal settimanale
Mladina, vorrebbe “riqualificare” i militari in “badanti” per gli anziani ed in addetti alla protezione civile. La petizione ha subito visto l’entusiastica adesione dell’ala pacifista ed antimilitarista della società slovena, che fa più o meno capo all’attuale centrosinistra liberale.
La ministra per la Difesa, Ljubica Jelušič, ha subito bollato la proposta come rivolta direttamente contro la costituzione e la legge sulla difesa. Nel batti e ribatti a più di qualcuno è sembrato di risentire le polemiche sull’esercito che avevano accompagnato, alla fine degli anni Ottanta, la dissoluzione della Jugoslavia.
L’avversione nei confronti dei militari nel paese ha radici profonde. Negli anni Ottanta, infatti, feroci bordate partirono proprio dalla Slovenia all’indirizzo dell’Armata popolare jugoslava. Quegli attacchi all’epoca vennero considerati inauditi nel resto della federazione. I generali non mancarono di lanciare strali nei confronti di Lubiana, non nascondendo che, a loro avviso, dietro a quelle critiche ci fosse la volontà di minare l’ordinamento costituzionale dello Stato.
Subito dopo le prime elezioni democratiche, soprattutto alcuni esponenti dell’ex Lega della gioventù, che avevano dato vita al partito Demo–liberale, avrebbero voluto una Slovenia senza esercito. Il modello a cui ci si richiamava era quello del Costarica. L’allora ministro della Difesa, Janez Janša, se la prese moltissimo. Cercò di far capire, infatti, che non era quello il momento di sognare, ma che al contrario bisognava mettere in piedi una struttura in grado di difendere la Repubblica al momento della proclamazione dell’indipendenza.
In effetti i suoi soldati riuscirono a creare seri grattacapi all’armata federale, quando nel 1991 intervenne in Slovenia. Lubiana considera oggi quegli scontri una vera e propria guerra vinta.
Una maglietta per sponsorizzare l'iniziativa di Mladina
Janša e i militari uscirono da quel conflitto come degli eroi agli occhi del proprio popolo. Il connubio pareva indissolubile, ma si ruppe nel 1994, quando il parlamento defenestrò il ministro. L’esercito, infatti, aveva tratto in arresto un informatore della polizia che sarebbe stato in possesso di documenti compromettenti. Il fatto venne considerato inaudito e Janša dovette lasciare il suo posto in un clima surreale di duro confronto tra esercito e polizia.
Ad ogni modo all’epoca non fu tollerato che l’esercito potesse in qualche modo immischiarsi nella sfera civile. Gli sloveni ne avevano evidentemente abbastanza del ruolo che i militari avevano giocato in tutto il periodo della Jugoslavia socialista, quando avevano più o meno il peso politico di una Repubblica a sé stante.
Feroci polemiche sono nate anche in questi giorni a causa delle dichiarazioni del generale di brigata, Alen Geder. A suo avviso l’esercito si starebbe addestrando per inviare nel 2012 propri elicotteri in Afghanistan. Subito i demo-liberali e Zares hanno chiesto al ministro di rendere conto in parlamento di quelle dichiarazioni, visto che nessuno ha ancora deciso di spedirli in Afghanistan. La Jelušič ha cercato di cincischiare, ma è stata tallonata da due esponenti di spicco della sua stessa maggioranza, il demo liberale Anton Anderlič e Franco Juri di Zares.
I soldati sloveni sono presenti in Afghanistan dal marzo del 2004. Solo recentemente è stato stabilito che avrebbero assunto maggiori compiti operativi, con proprie squadre di addestramento per l’esercito afghano. Proprio questa è la missione più contestata e c’è chi vedrebbe di buon grado il ritiro del contingente. Qualche polemica, del resto, era nata anche alla fine dello scorso anno quando una sessantina di soldati dovettero attendere per settimane un passaggio degli americani per rientrare in patria, visto che l’esercito sloveno non dispone di un proprio aereo per il trasporto truppe e la situazione non consentiva di partire con un volo civile.
Al ministero, comunque, in queste settimane, la situazione non sembra proprio tranquilla. Il viceministro Aleš Krek prima ha rassegnato e poi ritirato le sue dimissioni. Secondo la stampa all’origine della decisione ci sarebbero stati dei non meglio precisati dissidi con il capo dicastero. I giornali intanto parlano di un vero e proprio conflitto di competenze. Il Večer ha scritto senza mezzi termini che la Jelušič “con troppa comprensione” accetta che l’esercito si immischi nelle politiche della difesa.
I problemi sarebbero iniziati con la nomina del nuovo capo di Stato maggiore, il generale di divisione Alojz Štajner. La Jelušič, infatti, oltre ad essere ministro della Difesa è anche relatore della sua tesi di dottorato. Per il quotidiano di Maribor sarebbe proprio questa stretta collaborazione ad essere “problematica” dall’ottica del controllo del sistema difensivo.
Štajner è entrato in carica nel maggio scorso ed ha sostituito il generale di corpo d’armata Albin Gutman. Su quell’avvicendamento hanno pesato anche le polemiche sulla fornitura dei
blindati finlandesi Patria all’esercito sloveno. A fine anno Gutman ha dovuto incassare inoltre la richiesta fatta dalla magistratura di procedere nei suoi confronti per “gestione infedele di un ufficio pubblico”. Lo stesso addebito era stato mosso anche contro l’ex ministro della Difesa Karl Erjavec.
Oggi le forze armate slovene sono composte da soldati di professione. La leva è stata definitivamente abbandonata alla fine del 2003. L’organico comprende poco più di 9300 uomini, tra effettivi e riservisti. Lo scorso anno per la difesa sono stati spesi più di 550 milioni di euro, cioè circa l’1,5% del prodotto interno lordo. In un periodo di crisi economica non sono mancate pressioni per diminuire i fondi all’esercito che sono stati comunque ridotti di 80 milioni di euro. La Jelušič ha precisato che ulteriori tagli avrebbero messo a rischio la partecipazione dei militari sloveni alle missioni internazionali.
L’esercito, oltre ad essere presente in Afganistan, ha suoi uomini nelle “missioni di pace” in Libano, Siria, Somalia, Bosnia Erzegovina e Kosovo. Proprio da quest’ultima regione è rientrata in patria anche la prima bara di un soldato sloveno morto all’estero. Una ragazza che s’è suicidata con il suo fucile d’ordinanza.