Dopo i due approfondimenti sulla FBiH, concludiamo la parte bosniaca di questo aggiornamento sulla situazione degli sfollati e rifugiati nella penisola balcanica
E’ così la vita nella penisola balcanica. Finita la guerra, la gente inizia a ricostruire come se non fosse accaduto nulla, e dopo un anno dalla fine della guerra tutti sono sicuri che non succederà più. Ci sono persone però che da ormai sette anni vivono in centri collettivi per rifugiati e che raccontano senza enfasi di come siano stati condannati a vivere in una sorta di limbo, degradati come persone e privati dei propri diritti in quanto membri della società. Non credono a nessuno e lunghi anni in attesa di avere un proprio tetto sopra la testa ne hanno minato la salute e la speranza in un futuro migliore. In dicembre abbiamo incontrato qualcuno di loro, che ci ha raccontato di essere stato privato della gioventù, della salute, dei soldi e del sostegno della società nella lotta per i diritti umani e civili.
Ci sono 20 centri collettivi nella Republika Srpska, e 12 di questi sono registrati. In questi centri vivono 655 famiglie per un numero totale di 1438 persone. Secondo i dati (agosto 2002) del Ministero per i rifugiati e gli sfollati, ci sono centri collettivi a Srpsko Sarajevo, Visegrad, Bijeljina, Banja Luka, Derventa, Modrica, Prijedor, Cajnice, Bratunac. In Erzegovina non esistono ufficialmente centri di raccolta, ma un certo numero di rifugiati provenienti dalla Croazia vivono a Trebinje in un ex ospizio utilizzato come ricovero. Si tratta in questo caso per lo più di singoli o di persone che hanno bisogno di cure geriatriche od ospedaliere.
Secondo gli stessi dati, la situazione più difficile è quella di Visegrad, dove ci sono 7 centri collettivi. Qui vivono 339 famiglie (829 persone).
Ma chi si occupa dei rifugiati che vivono in questi centri?
A partire dal 1998, quando fu adottata la risoluzione della Assemblea Nazionale della RS sulla chiusura dei centri collettivi per rifugiati, il governo della RS ha fatto costruire 1.150 dei previsti 1.615 appartamenti. Mancano 4.337.000 marchi convertibili (km) per costruire le restanti 314 unità abitative. Il governo della RS spende inoltre ogni anno dai 3 ai 4 milioni di km per energia elettrica, tasse urbane e riscaldamento.
La comunità internazionale, presente in RS dal 1995, non partecipa più alla erogazione di mezzi per i rifugiati nei centri collettivi.
I partiti politici, che non hanno ancora reso noto quanto speso per la campagna elettorale, non hanno mai contribuito neppure simbolicamente per aiutare le persone che vivono nei centri.
VISEGRAD
Sette anni, sette centri collettivi. Le condizioni di vita sono grosso modo le stesse. Ai confini con l’Europa del 21° secolo, miseria e condizioni indegne di un essere umano. Uno di questi centri si chiama Nuovo Zoranovo. E’ sulle rive della Drina. Ravijojla Dragicevic, una madre sola, vive lì con tre figlie.
OB: da quanto tempo vivete in questo centro collettivo?
RD: siamo qui dall’aprile dell’anno scorso. Vivevamo nella casa di un musulmano, poi siamo stati sgomberati e siamo dovuti venire qui. Prima della guerra vivevamo a Ilijas.
OB: cosa è successo alla vostra proprietà?
La nostra interlocutrice cambia espressione e risponde a tratti, singhiozzando.
RD: prima della guerra vivevo con mia madre, che è stata uccisa, e con tutti gli altri. Sedici persone della mia famiglia sono state uccise. Ho dovuto abbandonare il mio appartamento a Ilijas. Mio fratello deve raccogliere le carte dell’appartamento e lo aspetto ogni giorno. Vorrei restare qui fino a quando le condizioni me lo permettano. Ma è impossibile. Guarda: non vedi come si vive qui?
OB: chi vive con lei adesso?
RD: vivo qui da sola con le mie tre figlie. Sono una madre sola. Lotto ogni giorno, raccolgo funghi e mele nel bosco. Raccolgo qualsiasi cosa che posso usare. Non so come riesco a sopravvivere. Ho una figlia in prima elementare, una in terza e una che ha finito la scuola.
OB: avete il necessario per la scuola?
RD: no, assolutamente. A volte trovo una soluzione solo per lo stretto necessario. Ma nessuna delle mie figlie ha quello che le serve. Capita anche di non aver niente da mangiare, ma grazie all’aiuto dei vicini sopravviviamo in qualche modo.
OB: vi ha mai aiutato nessuno, ad esempio organizzazioni umanitarie, autorità municipali o istituzioni della repubblica? Qualcuno è mai venuto a chiedervi come state vivendo?
RD: non è venuto nessuno. Quando mi sono rivolta al centro sociale ho avuto farina e un po’ di altro cibo. Sono andata da loro due o tre volte, mi hanno aiutata e gli sono grata per questo.
Bosiljka Jovic, una rifugiata proveniente da Zenica, è anziana e da tempo costretta a letto dalla malattia. Racconta di essere in questo centro da sette anni. E’ scappata da Zenica a Ilidza, prima di venire qui:
“Il mio appartamento è a Zenica. Ho presentato domanda tre anni fa. Cosa dovrei fare? Mio figlio è qui con me, non mi può lasciare…”
OB: qualcuno la ha mai visitata?
BJ: no. Non ho mai chiesto niente e nessuno mi ha mai visitata.
Kosava Turuntas, rifugiata da Hadzici, vive nel centro collettivo Nerci dal 1996. E’ venuta qui da Ilidza subito dopo la firma degli accordi di Dayton.
KT: siamo arrivati nel deserto più totale. Non abbiamo niente. Cucinavamo nelle tende e io ero responsabile di turno. All’inizio cucinavamo per 1500 persone, che significa 4500 pasti al giorno. E’ stata dura dopo Dayton... Siamo venuti qui sperando in una qualche prospettiva migliore.
OB: avete cercato di costruire una nuova casa?
KT: secondo il programma della nostra associazione dobbiamo avere un certo numero di ore di lavoro per gli appartamenti che stiamo costruendo qui a Garca. Io ho 3000 ore di lavoro, e vivo qui da sola. Se vuoi competere, dovresti avere almeno 2000 ore. Abbiamo fatto di tutto, ad esempio abbiamo raccolto e pulito vecchi elementi, scaricato materiale datoci dai donatori. La comunità locale ci ha dato la terra, ma in seguito la proprietà di quella terra è stata oggetto di controversie. Abbiamo iniziato a costruire appartamenti al piano superiore, ma per il momento non abbiamo niente. Gli appartamenti sono protetti, ma a noi non danno niente.
OB: come vivete?
KT: qui potete vedere come stiamo vivendo. Siamo in centri collettivi, non ci sono donatori e nessuno ci dà nulla. Prima io lavoravo alle ferrovie. Ora le ferrovie ci hanno restituito i nostri documenti e ci hanno dato 1200 km di indennità di licenziamento. Da quel momento non siamo più stati in grado di vivere normalmente. Non possiamo né lavorare né guadagnare qualcosa per vivere decentemente. Siamo andati in Serbia e abbiamo lavorato due, tre mesi come lavoratori stagionali. Raccoglievamo la frutta. Molti di noi sono all’ufficio di collocamento. I miei fratelli mi aiutano e io sopravvivo in questo modo. Qui vedete dove viviamo. Ho lasciato la mia proprietà a Ilidza. Avevo un appartamento in un edificio che è bruciato e non posso riavere niente. Lotterò fino alla fine, ma non tornerò mai indietro.
Jeftic Koviljka è nel centro collettivo di Nezlice da un anno e mezzo:
“Mi sono rivolta alla comunità locale, alle associazioni dei veterani… Non ho nessun diritto di ricevere un appartamento. Non posso ricevere niente e non ho niente. Da oltre un anno e mezzo non posso andare a Prijedor, dove c’è mio figlio in ospedale. Siamo la famiglia di un soldato ucciso. Mio marito è stato ucciso qui a Visegrad nel 1992. Mi sono rivolta a tutti. Vivo con la pensione, ma la verso per mio figlio malato e pago 215 marchi al mese per l’ospedale. Per l’educazione dei miei due figli spendo 130 marchi al mese. Uno fa il primo e l’altro il secondo anno di scuola superiore.”
OB: qualcuno vi ha mai visitato o dato dell’aiuto?
JK: nessuno
OB: cosa è successo alla vostra proprietà?
JK: non voglio tornare nella parte musulmana, perché i miei figli sono piccoli. Uno è nato nell’84 e l’altro nell’87. E mia figlia è sposata.
Per quanto siano dure le condizioni di vita nei centri collettivi di Visegrad, i rifugiati hanno paura di essere sloggiati da quegli edifici. Dicono di non aver altri posti dove andare e di non voler tornare nella Federazione. La prospettiva di spostarsi in appartamenti progettati per gli sfollati, e alla cui edificazione loro stessi hanno partecipato, è ancora aleatoria.
I Serbi che sono emigrati dalla Bosnia centrale hanno formato una loro associazione. Il presidente, Bozidar Skobic, ci racconta che la decisione dell’Alto Rappresentante, secondo cui i centri collettivi diventano alloggi alternativi, li ha danneggiati moltissimo. Queste persone potrebbero essere sfrattate secondo la nuova strategia della comunità internazionale:
“Il centro collettivo Nuova Zoranovo deve essere escluso da quella decisione, dal momento che lo abbiamo trasformato dallo stato fatiscente in cui era in progetto abitativo temporaneo. Abbiamo tutte le carte. Non dovete confondere il ritorno così come disciplinato dall’Annesso 7 degli accordi di Dayton con il ritorno coatto al luogo in cui si viveva precedentemente. Le nostre domande e aspettative non sono cambiate dal 1996. Vogliamo lasciare queste baracche e spostarci in appartamenti a Garca. Vorremmo che quegli appartamenti diventassero nostri, o più esattamente che venisse riconosciuta la nostra partecipazione alla loro costruzione. Vorremmo anche pagare la differenza per questi appartamenti così da potervi alloggiare stabilmente con le nostre famiglie.”
BASSIFONDI
Dalla strada si sentono le voci dei bambini che giocano. C’è lezione di educazione fisica alla scuola elementare Ivan Goran Kovacic. Ma a che gioco stanno giocando? Calcio, basket o pallavolo? Non si riesce a vedere il campo sportivo, per i mille vestiti stesi ad asciugare. I rifugiati vivono qui dal 1995.
Mentre fuori si avvertono le grida e gli scherzi, nella palestra c’è silenzio. Le mura sono nere per il fumo che sale dai piccoli fornelli che cercano inutilmente di riscaldare i loro proprietari. Le stufette sono accese anche d’estate, per cucinare. I letti sono sistemati sotto i canestri e ci sono dei pannelli che cercano di dividere questo 'appartamento' in stanzette. Negli angoli ci sono sacchi di farina, vestiario, piatti e fiori. Le cose di maggior valore sono appese alle pareti. I volti dei compagni di stanza e dei vicini sono tristi e già scocciati. Dicono di aver avuto abbastanza reporters, giornalisti, radio e tv. Non gli piacciono neppure le ONG o le organizzazioni umanitarie, perché quelle persone li visitano per prenderli in giro e fare promesse che non mantengono. Evitiamo di riportare i loro nomi come ci hanno chiesto.
Signora anziana: “E’ difficile vivere qui. Sedici persone in una unica sala. Le finestre sono rotte, la porta è aperta tutto il giorno, c’è un puzzo costante che proviene dal bagno che usano anche gli studenti.”
Signore anziano con gli occhiali: “Non posso dirti quante persone hanno vissuto qui. E’ impossibile ricordarlo. Tutte le stanze di questa scuola erano piene. Noi viviamo sempre allo stesso modo, e così da sei anni. Non so come potrei definire questa vita. Una vita miserabile...”
Signora anziana (la stessa): “Dobbiamo vivere. Se potessimo permetterci degli appartamenti non saremmo qui. Ci basterebbe una stanzetta. Abbiamo lavorato tutta la vita, e adesso non abbiamo niente. Non sappiamo neppure chi siamo.”
Signore anziano con gli occhiali (lo stesso): “Come puo’ vivere qui una persona che non si abitua alla vita in comune? Io sono stato fortunato, o sfortunato, mi ci sono abituato e tollero qualsiasi cosa. Ma molti non ci riescono. Ci sono sempre dei dettagli che ti danno sui nervi.”
Donna più giovane: “Ho un figlio di diciassette anni. Studia qui, fa i suoi compiti, i suoi disegni tecnici e così via. Per lo più si nasconde dietro la scuola e studia in macchina.”
Signore anziano con gli occhiali (lo stesso): “Mi ritrovo allo stesso tempo nel 'Cortile dannato' di Andric e in un racconto di Maksim Gorki, 'Bassifondi'. Noi siamo esattamente al fondo. Quando guardo ad altri avvenimenti qui, riconosco Laza Lazarevic, Domanovic dall’inizio della guerra fino ad ora, ma Nusic è al primo posto, dato che parliamo sempre dei ministeri.”
Nel 2000 in RS c’erano 46 centri collettivi con 4800 rifugiati e sfollati. Nel novembre 2002 il numero è sceso a 20, con 1438 persone. La situazione oggi è sicuramente migliore, ma nei centri rimasti le condizioni di vita sono al di sotto della dignità. Si sarebbero potute aiutare di più queste persone?
I RESPONSABILI
Sette anni dopo la fine della guerra e la firma degli accordi di Dayton, molti ancora vivono nei centri collettivi. Il governo della RS, più esattamente il Ministero per i rifugiati e gli sfollati, si è assunto la responsabilità della loro chiusura.
Slavko Peric è il responsabile della gestione della accoglienza presso il Ministero dei rifugiati e sfollati della RS: “La situazione più difficile è quella dei centri collettivi a Preleva e Nezuci, ma non siamo soddisfatti neppure con lo spazio a Srpsko Sarajevo, nelle due caserme Slavina Vajner Cica e Slobodan Princip Seljo. Speriamo che il ministero riesca a realizzare le condizioni affinché tutti i centri siano chiusi per la fine dell’anno, eccetto Visegrad. Per ora il governo è riuscito a terminare solo una parte degli appartamenti previsti all’interno del programma di chiusura dei centri collettivi.
OB: il 26 giugno del 1998 la Assemblea Nazionale della Rs ha accolto una risoluzione secondo la quale tutti i centri collettivi dovrebbero essere chiusi. Questa risoluzione non è ancora stata realizzata e al contrario continuano ad apparire nuovi problemi. Come mai?
SP: è vero. La Assemblea Nazionale ha adottato il programma di chiusura dei centri. A quel momento (1998) c’erano più di 5000 persone che vivevano in 74 centri collettivi. Quel programma ha ricevuto un certo impulso a partire dal 1999. Nel corso di quell’anno sono state consegnate 83 unità abitative, nel 2000 757 e ad oggi in totale sono state consegnate 1155 unità abitative.
OB: perchè il programma si è interrotto?
SP: non posso dire che si sia interrotto. Le necessità di reperire sistemazioni alternative e aiuti ai rifugiati erano in crescita quando questo programma non era ancora concluso, a causa della scarsità dei mezzi a disposizione. Il Ministero ha richiesto per quest’anno 30 milioni di km. Questa richiesta non è stata accolta completamente e a causa di questo il programma non è stato completato.
OB: le storie delle persone che vivono in questi centri nella RS sono drammatiche. Si tratta di uomini e donne che da anni sono in condizioni al di sotto di ogni standard accettabile. Il Ministero e il Governo sentono una qualche responsabilità?
SP: le condizioni di vita nei centri collettivi sono molto difficili. Il Ministero dei rifugiati e sfollati mette un grande impegno nella costruzione e assegnazione di nuove unità abitative, così come nella distribuzione di alimenti e nel pagamento della elettricità. Ma il programma alimentare mondiale è stato ridotto. Il Ministero deve anche fronteggiare in continuazione nuovi compiti, e provvedere alle necessità abitative di altre categorie di persone. Penso che altri Ministeri dovrebbero essere inclusi quando si tratta di questioni sociali e sanitarie. Secondo la legge, gli appartamenti provenienti dal programma di chiusura dei centri collettivi sono considerati alloggi alternativi, e coloro che soddisfano le condizioni per accedere a questo tipo di alloggi possono esservi inseriti per sei mesi con una possibilità di estensione del periodo. Significa che hanno sottoposto una domanda per la restituzione della proprietà, che non hanno visto riconosciuto il proprio diritto, non hanno entrate sufficienti e necessitano di alloggio alternativo. Significa che non hanno risolto la questione abitativa dal 4 aprile 1991.
OB: quando sarà risolto il problema della chiusura dei centri collettivi in RS?
SP: non ho titolo per assumere impegni a nome del governo, ma penso che la costruzione di appartamenti sarà presto terminata a Srpsko Sarajevo, Banja Luka e Pale, mentre nel caso di Visegrad non sono sicuro. Lì abbiamo pianificato la costruzione di 102 appartamenti. Insomma, penso che possiamo realisticamente aspettarci che nel 2003 questo programma si concluda. La vendita e distribuzione di appartamenti non può essere terminata prima della adozione della legislazione sulla proprietà in RS e solo allora il Governo e l’Assemblea Nazionale decideranno come quegli appartamenti verranno assegnati.
Abbiamo chiesto a Srdjan Jolovic, coordinatore dei centri di accoglienza presso il Ministero dei rifugiati e sfollati di spiegarci meglio la questione:
“La situazione dei centri collettivi è molto difficile, perchè si tratta di edifici che non sono stati costruiti per abitarvi. Si tratta per lo più di scuole o di altri centri di vario tipo… Ci sono aule scolastiche in cui vivono dieci o anche venti persone. E’ dal 1995 che cerchiamo di fornire condizioni minime di assistenza nei centri attraverso la comunità internazionale, organizzazioni umanitarie locali e negli ultimi due anni principalmente attraverso il governo della RS.”
OB: quali sono i centri nelle condizioni peggiori?
SY: Prelovo, vicino a Visegrad, poi un centro a Bratunac e alcuni centri di Banja Luka. Ma non posso dire che la vita sia facile in nessuno di questi luoghi.
OB: la gente che vive nei centri dice di essere stata abbandonata. Chi ha la responsabilità di questa situazione?
SY: è una situazione che sta durando da troppo tempo. Sono passati sei anni da quando sono stati formati gli ultimi centri collettivi. Alcuni sono stati creati nel 1993, nel ‘94 o nel ‘95. Noi lavoriamo costantemente sul campo, e queste persone ci conoscono. Non si può dire che non sia stato fatto niente. Devo sottolineare ad esempio che non ci sono state malattie contagiose in questi centri negli ultimi 6/7 anni e neppure nel periodo quando c’erano 12.000 persone che ci vivevano. Non ci sono state epidemie. Il governo ha preso una decisione nel giugno 1998, questo significa che la costruzione di appartamenti è iniziata e che sta continuando. Anche se queste persone avrebbero potuto lasciare i centri prima, penso che molte cose siano state fatte.
IL TERZO SETTORE
Ci siamo resi conto, chiedendo informazioni e visitando i loro uffici attraverso la RS, che né le ONG né le organizzazioni umanitarie hanno fatto alcunché di significativo per i centri collettivi. Per lo più affermano di essere impegnati con la problematica dei rifugiati, ma non con i centri collettivi e che per quello bisogna chiedere all’UNHCR. Queste organizzazioni sono per lo più occupate con le leggi di implementazione della proprietà e in linea di principio non sono interessate con la vita dei rifugiati, ma solo con il fatto che ritornino.
“La Croce Rossa una volta era molto forte, specialmente nel fornire aiuto umanitario, ma oggi le nostre capacità sono diminuite. Ci sono sempre meno donazioni purtroppo. Quasi niente. Questa organizzazione continuerà ad esistere solo se riusciamo ad offrire qualcosa alla gente, per la quale esistiamo – ci ha detto Svanimir Djokic, segretario generale per la RS.”
La presidentessa del comitato civico Helsinki, Lidija Zivanovic, è stata l’unica interessata ad incontrarci per parlare della questione dei centri collettivi.
OB: signora Zivanovic, il comitato Helsinki sa quanti centri collettivi esistono in RS? Secondo voi le ONG sono competenti e vanno incluse nella soluzione di questo problema vitale?
LZ: sicuramente la questione rientra nell’area di interesse delle ONG, ma queste ultime non hanno né il potere né la capacità di risolvere il problema. Il nostro ruolo nella società è quello di far conoscere i problemi della vita dei rifugiati. Il comitato Helsinki si occupa di educazione ai diritti umani. Si tratta di un problema complesso, non abbiamo mai parlato così tanto e rispettato così poco i diritti umani quanto oggi. In particolare, vi posso dire che i diritti umani delle persone che vivono in condizioni drammatiche all’interno dei centri collettivi sono violati, e questo è un problema enorme per la nostra società. Ma le ONG non possono essere responsabili per i centri collettivi, altre istituzioni del nostro sistema, precisamente il Ministero dei rifugiati e sfollati, dovrebbero rispondere alle vostre domande.
OB: i loro diritti sono gli stessi delle persone che non vivono in tali luoghi e in tali condizioni?
LZ: certamente, hanno gli stessi diritti umani e civili di tutte le persone che vivono qui. Ma la situazione sociale e la povertà generale del Paese sono la scusa delle istituzioni per non aver ancora risolto questo problema. Si tratta di questioni enormi da affrontare sistematicamente. Non possiamo risolvere solo il problema abitativo, ma prendere in considerazione la vita dei rifugiati complessivamente. Sono in grado di lavorare in quella città o nel Paese? Quali sono le loro professioni?
OB: l’Assemblea Nazionale della Rs ha approvato una risoluzione relativa alla chiusura dei centri collettivi nel 1998. I politici promettono sempre un miglioramento delle condizioni di vita dei rifugiati. Qual è la vostra opinione?
LZ: i nostri cittadini sono in grado di scegliere, ma si sono dimenticati molto in fretta di chi ha creato questi problemi. Questa è la vera questione rispetto alla quale chiedere conto alle autorità.
Oggi ci sono 1438 persone nei 20 restanti centri collettivi della Republika Srpska. Si tratta per lo più di persone anziane. 409 di loro hanno più di 60 anni, 202 sono malati cronici e 127 sono persone senza nessun tipo di assistenza. Ci sono anche 157 bambini e ragazzi tra i 7 e i 18 anni. Malgrado il Governo dica che risolverà il problema della abitazione, 655 famiglie dovranno attendere a lungo prima di avere un proprio tetto sopra la testa. Loro dicono che si sono abituati ad aspettare. Si sono abituati anche alla povertà e alla insicurezza, ma non alla perdita della dignità e dei diritti umani e civili, seriamente violati durante i lunghi anni di permanenza nei centri collettivi.