Da orgoglio a incubo: zone industriali in Albania
07.01.2003
Il governo ha deciso di bonificare da 20.000 tonnellate di residui tossici l’area di Porto Romano, nei pressi di Durazzo, dove un tempo sorgeva un’industria chimica. Un progetto di riabilitazione in collaborazione con l'UNEP.
Un odore forte e penetrante ti investe avvicinandosi alla fabbrica di Porto Romano a soli 7 km da Durazzo, il porto più grande di Albania. Per più di 20 anni, fino alla sua chiusura nel 1990, l’impianto ha prodotto sostanze chimiche per l’agricoltura e per la lavorazione della pelle. Di questo impianto oggi non resta che uno scheletro di ciminiera intorno a cui giocano a calcio ragazzini e pascolano mucche. Dal 1991 ad oggi in questa zona si sono stabilite 5000 persone, emigrate dal nord del paese in cerca di un futuro migliore.
Secondo fonti dell´Agenzia regionale per la protezione dell´ambiente però, a poca profondità sotto il terreno della fabbrica, sono stati sotterrate circa 20.000 tonnellate di residui tossici, mentre altre 500 tonnellate di vecchi prodotti chimici sono ancora accatastati in un deposito. "Un fiammifero potrebbe provocare un’enorme nube tossica – sottolinea Iir Qesja –capo dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente". Il problema è che trattandosi di sostanze solubili non è facile stabilire esattamente la superficie contaminata: "se teniamo conto che il mare è in prossimità, ci rendiamo conto della catastrofe che rischiamo", dicono all´agenzia.
Lo stabilimento di Porto Romano sarà uno degli impianti che beneficerà quest’anno del programma di riabilitazione previsto dal Ministero dell’ambiente albanese in cooperazione con il programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente. Secondo le informazioni fornite dal ministero, le altre zone industriali ad alto rischio di contaminazione sono gli impianti di produzione di fosfato a Fier, la fabbrica di soda caustica di Valona, nella zona centro-meridionale del paese. Dei 1,5 milioni di dollari previsti in totale dal progetto, circa 250.000 dollari sono stati destinati a Porto Romano, dove la contaminazione delle acque sotterranee, dei campi e dell’aria rappresenta un serio pericolo per la salute degli abitanti.
Nel corso dell’ultimo decennio, l’area abbandonata della fabbrica si è trasformata in un quartiere i cui abitanti hanno approfittatto dei mattoni dell’edificio della fabbrica in disuso per costruirsi le case. "Alle pareti di casa mia sono già comparse macchie gialle", dice Adrian Ahmeti 32enne pallido e rugoso. Ma la situazione si aggrava quando piove e nelle stradine del villaggio si formano pozzanghere di acqua gialla di sostanze tossiche sciolte. Secondo il medico del centro sanitario locale, Behar Musatbelliu, il futuro peggiore si profila per le 14 famiglie che si sono sistemate nei vecchi magazzini vicino alla fabbrica. "Il veleno che stanno gradualmente assorbendo avrà effetto tra pochi anni e si manifesteranno casi di leucemia, cancro del fegato, mutazioni genetiche e infezioni della pelle", spiega il dottore.
La maggiore preoccupazione dei residenti di Porto Romano, tuttavia, è quella di guadagnarsi da vivere e non le malattie. La gente si consola dicendo che per il momento non è ancora morto nessuno. Quasi tutti sono senza lavoro e la maggior parte vive di lavori occasionali nel settore delle costruzioni a Durazzo. Hyjrie, una residente, confronta la fabbrica ai terribili campi di lavoro forzato sotto il regime comunista di Enver Hoxha e racconta: "sono 7 anni che vivo a Porto Romano e mio fratello ci ha fatto visita solo una volta per paura di prendersi la peste" e aggiunge che i suoi figli non trovano moglie perché nessuna ragazza vuole trasferirsi con loro a Porto Romano.